European External Action Service (EEAS), 15 novembre 2024.
Dopo un anno di appelli inascoltati da parte delle autorità israeliane sul rispetto del diritto internazionale nella guerra di Gaza, non possiamo continuare a fare ‘tutto come al solito’. Per questo ho proposto agli stati membri dell’UE di vietare le importazioni dagli insediamenti illegali e di sospendere il dialogo politico con Israele. Discuteremo queste misure al Consiglio Affari Esteri della prossima settimana.
Mentre noi non abbiamo parole per descrivere la situazione sempre più grave a Gaza, la gente del posto sta esaurendo tutto. In molte zone della Striscia di Gaza, non c’è quasi nulla che possa sostenere una vita umana organizzata. La parte settentrionale di Gaza, che un tempo ospitava più di un milione di persone, è stata completamente svuotata dopo diverse settimane di bombardamenti incessanti, che hanno distrutto gli ultimi centri sanitari, rifugi e scuole rimasti.
Pulizia etnica nel nord di Gaza
Senza aiuti per settimane, i 400mila residenti rimasti sono stati costretti ad andarsene sotto la minaccia delle armi. Le poche immagini che sono emerse mostrano una terra desolata e apocalittica. Non è un caso che le parole “pulizia etnica” siano sempre più utilizzate per descrivere ciò che sta accadendo nel nord di Gaza.
Quello che vediamo della tragedia di Gaza, tuttavia, è solo la punta dell’iceberg da quando la Striscia è stata sigillata. Da più di un anno a Gaza non entra quasi nessun giornalista o osservatore internazionale. Si tratta del più lungo blackout informativo mai imposto da uno stato democratico. Inoltre, ci sono ragioni per credere che i giornalisti siano stati presi di mira dalle forze di difesa israeliane. A tutt’oggi ne sono stati uccisi oltre 130.
Questo schema, in atto da troppo tempo a Gaza, viene ora replicato altrove. Nel Libano meridionale, circa 30 villaggi sono stati cancellati – non a seguito di pesanti combattimenti, ma in modo controllato, pubblicato sui social media. In Cisgiordania, la violenza dei coloni estremisti sta costringendo molti agricoltori e pastori palestinesi a lasciare le loro terre. Ulivi sradicati, bestiame ucciso o rubato e veicoli incendiati sono diventati parte della realtà quotidiana di molte comunità rurali. Gli attacchi aerei israeliani a Jenin e Tulkarem, i primi in più di due decenni, si sono aggiunti alla distruzione delle infrastrutture civili lasciate dai bulldozer all’inizio dell’anno.
Condannare con la massima fermezza l’attacco del 7 ottobre
Quando il massacro del 7 ottobre ha portato sui nostri schermi immagini raccapriccianti di persone picchiate a morte nelle loro case, di terroristi che facevano irruzione in un festival musicale, di corpi carbonizzati, abbiamo compreso il trauma di secoli di pogrom e persecuzioni che l’assalto terroristico ha risvegliato. La nostra reazione immediata è stata quella di mostrare piena solidarietà al popolo israeliano, condannare gli attacchi con la massima fermezza e sostenere il diritto di Israele a difendersi entro i confini del diritto internazionale.
Quando il 9 ottobre 2023 l’ex ministro della Difesa israeliano Gallant ha dichiarato che Gaza non avrebbe avuto “né cibo, né elettricità, né acqua” perché Israele stava combattendo contro “animali umani e avrebbe agito di conseguenza”, abbiamo pregato Israele di non lasciarsi consumare dalla sua rabbia. Un orrore non può giustificarne un altro. Quando l’autodifesa ha iniziato a somigliare sempre più a una vendetta, i nostri appelli sono diventati più forti, ma abbiamo riaaffermato il nostro impegno per la sicurezza di Israele.
Dopo poche settimane, gli alti funzionari israeliani hanno iniziato a parlare di una “nuova Nakba”, lo sfollamento nel 1948 di 700 mila palestinesi da quello che è poi diventato Israele. Molti di questi rifugiati sono fuggiti a Gaza, dove costituiscono i due terzi della popolazione. A gennaio, dodici ministri del governo hanno partecipato a una manifestazione di massa per il reinsediamento di Gaza. La settimana scorsa abbiamo sentito che il nord di Gaza è stato svuotato dai civili, ai quali non sarà permesso di tornare. Alcune di queste idee illegali e immorali stanno evidentemente iniziando a diventare realtà.
Inoltre, la Knesset israeliana ha adottato in ottobre una legge che mette al bando l’agenzia delle Nazioni Unite istituita dall’Assemblea Generale in risposta allo sfollamento del 1948, l’Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l’Occupazione dei Rifugiati palestinesi (UNRWA). L’agenzia doveva durare pochi anni, in attesa che il problema dei rifugiati venisse risolto, ma in assenza di una soluzione politica è diventata l’ancora di salvezza per milioni di palestinesi nei territori occupati. L’UE ha condannato la legge, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha ribadito il ruolo indispensabile dell’UNRWA come fornitore di servizi, soprattutto nelle circostanze attuali, come abbiamo visto nella recente campagna di vaccinazione contro la polio. Ma non ci sono segni che questi appelli vengano ascoltati.
L’elenco degli appelli caduti nel vuoto in Israele è troppo lungo per essere raccontato.
Rispettare il diritto umanitario internazionale, rispettare gli ordini vincolanti della Corte Internazionale di Giustizia, garantire l’accesso umanitario, accettare la proposta di cessate il fuoco del presidente Biden, permettere ai giornalisti internazionali e agli investigatori incaricati dalle Nazioni Unite di entrare a Gaza… Guardando indietro, l’elenco degli appelli caduti nel vuoto in Israele è ormai troppo lungo da raccontare.
L’ordine mondiale basato sulle regole e sul diritto internazionale è già stato messo a dura prova dalla guerra di aggressione di Putin contro l’Ucraina. Dopo Gaza, è appeso a un filo.
Il diffuso disprezzo per il diritto umanitario internazionale da parte di tutti i belligeranti in Medio Oriente, compreso Israele, contraddice le fondamenta stesse dell’Unione Europea: lo stato di diritto per proteggere i deboli dai forti. Per l’UE questo principio non è solo fondamentale, è esistenziale. Così come la libertà di informazione e la responsabilità.
Non dobbiamo farci illusioni: questa catastrofe umanitaria nel nostro vicinato ci perseguiterà a casa nostra. L’effetto a catena delle crisi all’estero spesso si manifesta con ritardo, ma anche con vendetta. Le ripercussioni sull’Europa, in termini di migrazione, sicurezza interna, tensioni sociali, razzismo contro ebrei, musulmani, arabi ecc. stanno già iniziando a farsi sentire, come abbiamo visto nelle strade di Amsterdam la scorsa settimana.
Possiamo vedere i segnali di allarme e non dobbiamo ignorarli. In prospettiva, dobbiamo riconoscere che l’approccio che abbiamo utilizzato per oltre un anno con il governo israeliano è fallito.
Applicare le regole internazionali senza distinzioni
Il mantenimento dell’ordine mondiale basato sulle regole si inizia applicando le regole senza distinzioni e difendendo le istituzioni incaricate di attuarle. Ciò vale per il Segretario Generale delle Nazioni Unite, il Consiglio di Sicurezza e l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, nonché per il Tribunale Penale Internazionale, la Corte Internazionale di Giustizia, l’UNRWA e tutte le Agenzie delle Nazioni Unite.
In altre situazioni in cui queste regole internazionali vengono sistematicamente violate, abbiamo messo in atto numerose sanzioni – dal divieto di rilascio del visto all’inserimento in liste di terroristi, dalla restrizione delle importazioni alle sanzioni economiche. Finora Israele è stato risparmiato da qualsiasi conseguenza significativa.
La situazione deve cambiare. Per questo ho proposto un divieto di importazione dei prodotti degli insediamenti illegali, sulla base del recente parere consultivo della Corte Internazionale di Giustizia, simile al divieto di importazione dei prodotti provenienti dai territori ucraini occupati, perché l’equità è la chiave di volta della credibilità dell’Europa.
Ho anche richiesto al rappresentante speciale dell’UE per i diritti umani una valutazione della conformità di Israele all’accordo di associazione con l’UE, che presenterò presto ai nostri stati membri. Sulla base di questa valutazione, proporrò agli stati membri dell’UE di sospendere il dialogo politico con Israele. Dopo un anno di appelli inascoltati, non possiamo continuare a fare tutto come al solito.
https://www.eeas.europa.eu/eeas/war-gaza-we-cannot-continue-business-usual_en