L’esercito israeliano ha usato i civili come scudi umani a Gaza, affermano sia palestinesi che soldati israeliani.

di Louisa Loveluck, Hajar HarbJohn Hudson,

The Washington Post, 3 novembre 2024.   

I palestinesi raccontano di essere stati costretti a svolgere compiti giudicati pericolosi per la vita dalle forze israeliane a Gaza.

Riservisti israeliani fermi in un’area militare di sosta vicino al confine con Gaza, nel sud di Israele, il 21 maggio. (Heidi Levine per il Washington Post)

Per due settimane tra la fine di luglio e l’inizio di agosto, ha raccontato Mohammed Saad, 20 anni, lui e altri due uomini palestinesi sono stati costretti da un’unità dell’esercito israeliano a Gaza ad entrare in edifici che si temeva contenessero esplosivi e a fotografare ogni centimetro prima che le truppe avessero il via libera per entrare.

Quando i soldati hanno finito con lui, ha detto Saad, qualcuno lo ha ferito con un colpo sulla schiena.

Saad era tra i quattro uomini palestinesi che hanno parlato in via ufficiale per fornire vividi resoconti di ciò che hanno descritto come l’impiego da parte di Israele di Palestinesi detenuti come scudi umani a Gaza – una cosa definita dalle Convenzioni di Ginevra come ‘uso di civili o di altri detenuti per proteggere operazioni militari da attacchi’ – costringendoli, in questo caso, a svolgere compiti pericolosi per la vita e ridurre il rischio per i soldati israeliani.

I loro resoconti quasi contemporanei sono dettagliati, corroborati da altri testimoni e coerenti con la testimonianza di un soldato israeliano che ha combattuto a Gaza e con le interviste fatte da Breaking the Silence, un’organizzazione che raccoglie e verifica le testimonianze di soldati che hanno prestato servizio nei Territori Palestinesi Occupati. Hanno descritto una pratica in cui i Palestinesi vengono detenuti, interrogati e infine rilasciati, indicando che l’esercito israeliano non li riteneva militanti. Hanno descritto eventi che hanno avuto luogo tra gennaio e agosto 2024.

“Non si è trattato di qualcosa che è accaduto solo qui e là, ma che è successo piuttosto su larga scala in diverse unità, in momenti diversi, nel corso della guerra e in vari luoghi”, ha detto Joel Carmel, direttore dell’advocacy di Breaking the Silence.

Le Forze di Difesa Israeliane non hanno risposto a nessuna delle accuse specifiche fatte dagli uomini coinvolti in questa storia, ma hanno detto in una dichiarazione che l’uso di civili come scudi umani è proibito. “L’IDF lavora per affrontare le accuse concrete di violazioni che si discostano dalle direttive e dai valori che ci si aspetta dai suoi soldati e le affronta di conseguenza”, si legge nella dichiarazione. L’esercito non ha detto se qualcuna delle sue unità è stata indagata o punita per aver usato i Palestinesi come scudi umani, o se sono state prese misure per eliminare questa pratica.

Secondo il diritto internazionale, l’uso come scudi umani di civili e di altre persone protette è un crimine di guerra. L’Alta Corte di Israele ha stabilito che questa pratica è illegale. Il 16 ottobre, in risposta a un articolo del New York Times, il portavoce del Dipartimento di Stato americano Matthew Miller ha dichiarato che i rapporti sull’uso di scudi umani da parte dell’esercito israeliano sono “incredibilmente inquietanti” e che i responsabili devono essere “chiamati a rispondere”, ma non ha detto se gli Stati Uniti stiano esaminando i rapporti in modo indipendente. La legge americana richiede che il Governo degli Stati Uniti sospenda il sostegno militare alle unità israeliane credibilmente coinvolte in gravi violazioni dei diritti umani.

I giornalisti del Washington Post hanno intervistato i quattro palestinesi citati in questa storia pochi giorni o poche settimane dopo gli eventi che hanno descritto. Hanno parlato per telefono da Gaza. Il The Post ha confermato alcuni elementi della storia di Saad attraverso le cartelle cliniche e con un medico statunitense che lo ha curato a Gaza durante una visita di controllo per curare le sue ferite. Altri tre palestinesi, che hanno descritto un incidente all’interno del complesso ospedaliero al-Shifa di Gaza City, hanno parlato con il The Post separatamente e ognuno di loro ha confermato la presenza degli altri. Quanto al soldato israeliano, Il The Post è stato messo in contatto con lui attraverso Breaking the Silence, e un giornalista lo ha intervistato di persona.

Breaking the Silence ha anche fornito quelle che, a suo dire, sono prove visive della pratica. Una fotografia dal nord di Gaza, condivisa dal gruppo, mostra soldati in piedi accanto a due prigionieri che, secondo Breaking the Silence, sono stati usati come scudi umani. I due prigionieri sono seduti sul cornicione di una finestra saltata in aria in un edificio distrutto – con i polsi legati, gli occhi coperti e la testa china.

Una fotografia condivisa da Breaking the Silence mostra i soldati israeliani con due detenuti palestinesi usati come scudi umani a Gaza. (Per gentile concessione di Breaking the Silence)

‘Le nostre mani erano legate e i nostri occhi erano coperti’.

Più di 43.000 Palestinesi sono stati uccisi durante le operazioni militari di Israele a Gaza, secondo il Ministero della Salute locale, che non distingue tra civili e combattenti, ma afferma che la maggior parte dei morti sono donne e bambini. L’esercito israeliano afferma che più di 350 dei suoi soldati sono stati uccisi nella guerra contro Hamas, alcuni a causa di trappole esplosive o di imboscate tese dai militanti nelle aree urbane.

Il soldato israeliano da noi contattato, che ha 20 anni e ha prestato servizio nel nord di Gaza, ha ricordato il momento in cui il suo comandante gli ha portato due palestinesi, ammanettati e bendati, da usare come scudi. Uno era un adolescente, ha detto, mentre l’altro sembrava avere circa 20 anni. “Ho chiesto per che cosa avessimo bisogno di loro”, ha detto il soldato, parlando in condizione di anonimato perché non era autorizzato a parlare con i media.

Ricorda che il suo comandante ha risposto che sarebbe stato meglio se dei Palestinesi fossero stati uccisi da eventuali trappole esplosive e che la vita dei soldati israeliani era più importante.

Quanto a Saad, il suo calvario è iniziato a giugno, ha detto, quando è stato arrestato vicino al valico di frontiera di Kerem Shalom, nel sud di Gaza, dove lavorava come guardia pagata per proteggere gli aiuti umanitari dai saccheggiatori. “Senza preavviso, cinque jeep militari ci hanno circondato”, ha detto Saad. “Le nostre mani sono state legate e i nostri occhi coperti”.

I soldati israeliani hanno interrogato Saad per diversi giorni, ha detto, prima di portare lui e altri due palestinesi in una base dell’esercito israeliano vicino a un magazzino abbandonato delle Nazioni Unite nei pressi di Rafah, lungo il confine egiziano. “Sei qui per svolgere alcuni compiti per noi”, disse uno di loro, come Saad ricorda. “Sarai davanti a noi ogni volta che entreremo in una casa”.

Ha poi detto che gli è stata data un’uniforme militare israeliana con una telecamera attaccata all’elmetto. Per 14 giorni, ha raccontato Saad, è stato il primo ad essere inviato negli edifici, con l’ordine di filmare mentre andava, spesso con un drone che ronzava sopra la sua testa. I soldati all’esterno monitoravano le riprese e gli dicevano dove andare attraverso un auricolare.

“Ho finito la prima missione in circa mezz’ora e poi mi hanno chiesto di uscire”, ha detto. “Avevo molta paura perché non sapevo chi ci fosse in casa e indossavo un’uniforme militare”. Se ci fossero stati dei militanti, ha pensato, mi avrebbero sparato dall’interno e “sarei sicuramente morto”.

Ha raccontato di essere stato bendato e ammanettato ogni mattina, poi trasportato nel luogo successivo. Il secondo giorno, un’esplosione ha scosso un edificio dopo che Saad lo aveva controllato. I soldati credevano che lui, non segnalando l’esplosivo, li avesse ingannati di proposito.

“Mi hanno legato le mani e mi hanno gettato per terra”, ha detto. “Mi hanno picchiato a turno. Non so ancora da dove provenisse l’esplosione”.

Una volta, Saad ha detto, il capitano dell’unità gli ha mostrato una fotografia della sua casa di famiglia distrutta a Khan Younis. “Se non collabori con noi, uccideremo tutti i tuoi familiari in questo modo”, ricorda di essere stato ammonito.

Il 15° giorno è stato diverso, ha detto. Gli furono consegnati degli abiti civili e gli fu ordinato di iniziare a camminare. Poco dopo gli arrivò un dolore alla schiena che gli fece perdere i sensi.

Ricorda di essersi svegliato in un’ambulanza, che lo ha trasportato attraverso il confine israeliano al Centro Medico Soroka, nella città meridionale di Beersheba in Israele. Era la prima volta che lasciava Gaza. Non sa chi gli abbia sparato né chi abbia deciso di salvargli la vita.

“L’IDF ci ha consegnato un uomo sconosciuto da Gaza, con una ferita da arma da fuoco”, si legge nel rapporto medico dell’ospedale, una copia del quale è stata ottenuta e rivista dal The Post. Il medico ha dettagliato “estese lesioni polmonari” e una costola fratturata, tra le altre lesioni.
Saad ha detto che stava ancora sanguinando due giorni dopo, quando è stato riportato a Gaza in ambulanza e lasciato a Kerem Shalom.

“Mi hanno detto di non guardarmi indietro”, ha detto.

Palestinesi seduti accanto a un fuoco tra le macerie della loro casa distrutta a Khan Younis, nel sud della Striscia di Gaza. (Haitham Imad/EPA-EFE/Shutterstock)


Il diritto internazionale ‘non era importante’

Secondo le testimonianze fornite a Breaking the Silence, i Palestinesi sono stati utilizzati come scudi umani durante tutto il conflitto. “La prima testimonianza che abbiamo è quella di un soldato che ne era a conoscenza, poche settimane dopo l’inizio dell’invasione di terra”, ha detto Carmel di Break the Silence. “L’ultima testimonianza che abbiamo a riguardo risale all’estate”.

Il riservista che ha parlato con il The Post ha detto che la sua unità ha ricevuto due uomini palestinesi durante il suo tour a Gaza. Ricorda di aver chiesto se fossero militanti e di aver ricevuto dal suo comandante l’assicurazione che lo erano.

Uno dei detenuti, un adolescente, ha parlato poco durante le 24 ore che ha trascorso con l’unità israeliana, e il soldato credeva che fosse in stato di shock. Le bende sono state tolte agli uomini solo quando hanno raggiunto l’edificio successivo che i militari avevano designato per l’ispezione.

I ricordi del soldato sono in linea con i resoconti di tre uomini palestinesi intervistati dal The Post: hanno tutti descritto in modo indipendente di essere stati usati dall’IDF come scudi umani in un periodo simile – nei loro casi, subito dopo il raid israeliano di fine marzo sull’ospedale al-Shifa a Gaza City.

Omar al-Jadba, un chirurgo vascolare, ha raccontato di essere stato trattenuto dai soldati al momento dell’ingresso nell’ospedale, dopo essere rimasto indietro per assistere i pazienti che non potevano essere spostati facilmente. I soldati gli hanno assegnato un numero e lo hanno chiamato per convocarlo nel cortile. C’erano altri detenuti, tra cui Mohamed al-Sharafa, 48 anni, e Mohamed Hassouna, 24 anni, che hanno detto di essere stati prelevati dalle loro case vicino all’ospedale.

A Jadba è stato ordinato di annunciare attraverso un megafono che l’esercito aveva fissato una scadenza entro cui i militanti dovevano lasciare l’area. Agli uomini è stato detto cosa ci si aspettava da loro: “Rimuovere qualsiasi ostacolo alle truppe, come tende e porte” all’interno dell’ospedale, ha detto Hassouna. “Ci hanno detto che avremmo dovuto fotografare ogni luogo in cui saremmo entrati e che le immagini li avrebbero raggiunti immediatamente tramite il loro internet wireless”, ha proseguito.

I detenuti che si rifiutavano venivano picchiati, hanno raccontato i tre uomini. “Dicevo loro che le mie mani sono preziose per il mio lavoro; sono l’unico chirurgo vascolare qui”, ha detto Jadba. “Il mio ospedale si stava trasformando in macerie e mi chiedevano di demolirlo con le mie mani”.

Gli uomini erano terrorizzati all’idea di essere scambiati per soldati e colpiti dai militanti, hanno detto, anche se alla fine non ne hanno incontrato nessuno. Una volta terminato il lavoro, hanno chiamato attraverso l’altoparlante e hanno aspettato. Alla fine, hanno detto, sono stati autorizzati ad andarsene, esausti ma sollevati, con le mani in alto.

Il riservista ha detto che un gruppo di soldati della sua unità ha messo in discussione l’uso degli scudi umani. Uno ha detto a un comandante più anziano che la pratica violava il diritto internazionale.

“Lui ci ha detto che la legge internazionale non è importante e che l’unica cosa a cui i soldati semplici devono pensare è il codice etico dell’IDF”, ha detto il soldato.

Nella sua dichiarazione al The Post, l’esercito israeliano ha detto: “L’uso di civili come scudi umani, o il costringerli in qualsiasi altro modo a partecipare alle operazioni militari, è severamente vietato dagli ordini dell’IDF. Queste direttive e ordini vengono regolarmente sottolineati e chiariti alle forze sul campo. L’IDF è pienamente impegnata nel rispetto del diritto internazionale”.

Brian Finucane, ex consulente legale presso il Dipartimento di Stato e ora consulente senior presso l’International Crisis Group, ha descritto il ricordo del soldato come “una prova piuttosto schiacciante per l’accusa”, affermando che il suo resoconto sembra descrivere “una schermatura umana proibita e addirittura criminale”.

Quando il riservista ha chiesto al suo comandante cosa fare con i Palestinesi una volta terminata la missione, ha detto che gli è stato detto di rilasciarli.

“A questo punto abbiamo capito che se potevamo rilasciarli, allora non erano terroristi”, ha detto il riservista. “L’ufficiale ci aveva semplicemente mentito”.

I palestinesi hanno detto di essere stati costretti a entrare nella rete di tunnel di Hamas prima delle truppe israeliane, in caso ci fossero trappole esplosive. Uno di loro, Hakim, che il The Post ha intervistato a gennaio, ha descritto di essere stato mandato sottoterra nella parte occidentale di Gaza City con una telecamera intorno alla vita e una corda che gli è stato detto di tirare se doveva fermarsi.

“Prima di scendere, mi hanno chiesto se volevo salutare qualche familiare”, ha detto Hakim, che ha parlato a condizione di essere identificato solo con il suo nome di battesimo per paura di rappresaglie. “Pensavo che non ce ne fosse bisogno se sarei tornato sano e salvo”, ha ricordato Hakim di aver detto ai soldati, ma un uomo gli ha risposto: ‘No, tornerai solo a pezzi’, ha detto.

All’imbocco del tunnel, Hakim ricorda di essersi bloccato per la paura e di aver detto ai soldati che non poteva farlo. “Uno ha aperto il fuoco intorno ai miei piedi e poi mi ha spinto nel buco”, ha raccontato.

Hakim è sopravvissuto alla sua missione. Mentre i soldati lo riportavano alla loro base, all’interno di una scuola abbandonata, ha detto, li ha sentiti chiamare un quindicenne tra i detenuti riuniti lì. Lo stavano mandando nei tunnel.

Harb ha riferito da Londra e Hudson da Gerusalemme.

https://www.washingtonpost.com/world/2024/11/03/israel-gaza-human-shields-palestinians-idf/?utm_campaign=wp_the7&utm_medium=email&utm_source=newsletter&wpisrc=nl_the7&carta-url=https%3A%2F%2Fs2.washingtonpost.com%2Fcar-ln-tr%2F3f85d05%2F6728b6701c98a41151c6eb84%2F60c8843bae7e8a415def588a%2F49%2F96%2F6728b6701c98a41151c6eb84

Traduzione a cura di AssoPacePalestina

Non sempre AssoPacePalestina condivide gli articoli che pubblichiamo, ma pensiamo che opinioni anche diverse possano essere utili per capire.

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