MicroMega, 3 novembre 2023.
Più di 8.000 palestinesi uccisi al momento in cui scriviamo, tra cui oltre 3.000 bambini, ospedali al collasso, un milione e mezzo di sfollati; totale carenza di ogni bene di prima necessità. Dopo tre settimane di incessanti bombardamenti israeliani, nella Striscia di Gaza la situazione è drammatica. Le Nazioni Unite e le organizzazioni per i diritti umani denunciano gravi violazioni del diritto internazionale e chiedono un cessate il fuoco, a cui invece l’Unione Europea e il nostro governo si oppongono. Mentre continuano a permettere l’esportazione di armi verso Israele.

Secondo le dichiarazioni di numerose organizzazioni non-governative, in queste settimane di bombardamenti su Gaza Israele avrebbe compiuto gravi violazioni del diritto internazionale umanitario, e addirittura crimini di guerra. Il diritto internazionale umanitario, che si basa principalmente sulla Convenzione di Ginevra e sullo Statuto di Roma, è l’insieme delle norme internazionali volte a limitare gli effetti dei conflitti armati. I principi fondamentali del diritto internazionale sono la distinzione tra militari e civili e la proporzionalità: lanciare attacchi indiscriminati che colpiscono i civili costituisce un crimine di guerra, così come lanciare intenzionalmente attacchi sproporzionati in cui i previsti danni ai civili siano “manifestamente eccessivi rispetto all’insieme dei concreti e diretti vantaggi militari previsti”. Allo stesso modo, attaccare le infrastrutture civili, i luoghi di culto, le scuole, gli ospedali civili in modo intenzionale o intenzionalmente sproporzionato costituisce un crimine di guerra.
Un’indagine di Amnesty International pubblicata pochi giorni fa sulla situazione di Gaza ha concluso che, nei casi documentati, Israele ha violato il diritto internazionale umanitario “non prendendo le fattibili precauzioni per risparmiare vite civili, portando a termine attacchi indiscriminati che non hanno fatto distinzione tra obiettivi civili e obiettivi militari o compiendo attacchi che possono essere stati diretti contro obiettivi civili”. Gli attacchi aerei israeliani non hanno infatti risparmiato scuole, ospedali, chiese e moschee, e hanno distrutto interi quartieri residenziali: secondo l’ONU, il 45 % degli edifici residenziali della Striscia è già stato distrutto o danneggiato. Human Rights Watch ha inoltre denunciato l’uso di bombe al fosforo bianco, armi particolarmente distruttive; “l’uso del fosforo bianco a Gaza amplifica i rischi per i civili e viola il divieto del diritto umanitario internazionale di esporre i civili a rischi inutili”. Secondo il diritto internazionale, inoltre, è proibito attaccare infrastrutture civili e in particolare gli ospedali civili, cosa che invece è successa a Gaza: secondo l’ONU, 20 ospedali e 24 ambulanze sono state danneggiate dai bombardamenti nella Striscia; Amnesty ha chiesto che Israele revochi gli ordini di evacuazione impartiti a 23 ospedali.
In un comunicato stampa rilasciato il 12 ottobre, un gruppo di esperti delle Nazioni Unite ha denunciato che la “punizione collettiva” di Israele contro i palestinesi costituisce una violazione del diritto internazionale e un crimine di guerra. Gli esperti delle Nazioni Unite hanno inoltre condannato il blocco israeliano di ogni rifornimento di cibo, acqua, farmaci e altri beni essenziali verso la Striscia, dove ormai le scorte di cibo e acqua pulita si stanno esaurendo: il responsabile delle Nazioni Unite per i diritti umani Volker Turk ha dichiarato: “l’imposizione di assedi che mettono in pericolo la vita dei civili privandoli di beni essenziali per la loro sopravvivenza è vietata dal diritto internazionale umanitario”. Secondo lo Statuto di Roma, è infatti un crimine di guerra “affamare intenzionalmente la popolazione privandola di beni indispensabili alla sopravvivenza”. Un’altra azione israeliana che è stata dichiarata una potenziale violazione del diritto internazionale è la richiesta di evacuazione degli abitanti del nord della Striscia verso sud. Ravina Shamdasani, portavoce dell’ufficio per i diritti umani delle Nazioni Unite, ha dichiarato: “temiamo che questo ordine equivalga a un trasferimento forzato di civili, in violazione del diritto internazionale”.
Anche l’organizzazione israeliana per la difesa dei diritti umani B’Tselem ha denunciato queste azioni di Israele come crimini di guerra, così come il Segretario Generale dell’ONU Antonio Guterres, che nel suo discorso al Consiglio di Sicurezza del 24 ottobre ha dichiarato: “sono profondamente preoccupato per le chiare violazioni del diritto umanitario internazionale a cui stiamo assistendo a Gaza”. L’intensificarsi degli attacchi aerei e l’inizio delle operazioni militari via terra degli ultimi giorni fanno temere che ci saranno violazioni dei diritti umani ben più gravi di quelle già viste.
“Una retorica genocida”
Molti ricercatori e esponenti di organizzazioni internazionali hanno dichiarato che le azioni dell’esercito israeliano non solo costituiscono violazioni del diritto internazionale, ma equivalgono anche a pulizia etnica e genocidio. Francesca Albanese, relatrice speciale alle Nazioni Unite per la situazione dei diritti umani nei territori palestinesi, ha affermato: “in nome dell’autodifesa, Israele sta cercando di giustificare un’operazione che equivale a una pulizia etnica”.
In una dichiarazione pubblica firmata da oltre 800 tra ricercatori e esperti del diritto internazionale e degli studi dei conflitti si legge: ‘siamo tenuti a lanciare l’allarme sulla possibilità che un genocidio venga perpetrato dalle forze israeliane contro i palestinesi’. I ricercatori parlano infatti di una ‘intenzione genocida’ e di una ‘retorica genocida’ da parte delle autorità Israeliane, citando dichiarazioni quali: ‘stiamo combattendo contro animali umani e agiremo di conseguenza’ e ‘Gaza non tornerà com’era prima, elimineremo tutto’ da parte del ministro della difesa israeliano Gallant. Anche l’Istituto Lemkin per la prevenzione dei genocidi, un’organizzazione non-governativa statunitense, ha definito quello che sta succedendo a Gaza un genocidio; l’Istituto ha inoltre criticato fortemente la complicità dei governi occidentali.
I governi occidentali tra indifferenza e ipocrisia
Mentre il mondo accademico, le organizzazioni non-governative e le Nazioni Unite denunciano le azioni di Israele in modo sempre più duro, molti governi di paesi occidentali ribadiscono un sostegno quasi incondizionato a Israele. A fronte dell’intensificarsi delle operazioni aeree e terrestri di venerdì 27 ottobre, il portavoce della Casa Bianca per la sicurezza nazionale ha dichiarato che gli Stati Uniti sostengono il diritto di Israele a difendersi e non tracciano ‘linee rosse’ a Israele. Il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha dichiarato: “siamo certi che l’esercito israeliano rispetterà le regole che derivano dal diritto internazionale in tutto ciò che fa, non ho dubbi su questo”. Sono state pochissime anche le voci governative a favore di un cessate il fuoco. Giorgia Meloni ha dichiarato: “cessate il fuoco significa che Hamas resta lì”. Il termine “cessate il fuoco” manca anche nelle conclusioni del Consiglio Europeo tenutosi in questi giorni a Bruxelles: i governi europei sono riusciti ad accordarsi solo sulla richiesta di “corridoi umanitari e pause per esigenze umanitarie”. Molte nazioni occidentali hanno votato contro, o come l’Italia si sono astenuti, alla risoluzione dell’Assemblea Generale dell’ONU per una tregua umanitaria di venerdì 27 ottobre.
L’incapacità dei governi occidentali di condannare i crimini di guerra di Israele ha sollevato critiche in tutto il mondo, per quella che è stata percepita come ipocrisia. Critiche che sono arrivate anche dalla regina Rania di Giordania, che ha accusato i leader occidentali di avere un “evidente doppio-standard”. È la prima volta nella storia moderna che c’è una tale sofferenza umana e il mondo non chiede nemmeno un cessate il fuoco’ ha detto Rania, “il silenzio è assordante e per molti nella nostra regione rende il mondo occidentale complice”.
Il coinvolgimento dell’industria delle armi italiana nel conflitto
Il governo Meloni ha espresso supporto alle azioni militari di Israele seguite al 7 ottobre, ma negli anni sono stati tanti e di ogni colore i governi italiani che hanno autorizzato esportazioni di armamenti verso Israele: negli ultimi dieci anni, secondo le relazioni fornite al Parlamento, il valore totale delle esportazioni di armi di aziende italiane verso Israele ha superato i 116 milioni di euro. Autorizzazioni all’esportazione di armamenti per un valore di oltre un milione di euro sono state rilasciate alla società Rwm Italia, che produce principalmente bombe aeree come quelle sganciate su Gaza in questi giorni.
L’esportazione di armamenti dall’Italia è regolata dalla legge n. 185 del 1990, basata sulla direttiva generale di vietare l’esportazione di armi quando ciò è in contrasto con la Costituzione e con il principio di ‘ripudio della guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali’. In particolare la legge n. 185 specifica che l’esportazione di armamenti è vietata ‘verso i paesi in stato di conflitto armato, in contrasto con i principi dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, fatto salvo il rispetto degli obblighi internazionali dell’Italia o le diverse deliberazioni del Consiglio dei ministri, da adottare previo parere delle Camere’. È importante specificare che l’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite sancisce il ‘diritto naturale di autotutela individuale o collettiva’ nel caso di un’invasione militare: la legge n. 185 non esclude quindi del tutto il sostegno militare dell’Italia a Paesi in conflitto, in particolare lo consente nel contesto del diritto alla legittima difesa sancito dal diritto internazionale. Sotto questa fattispecie per esempio ricadono gli invii di armi all’Ucraina affinché possa difendersi dall’invasione su larga scala in Russia. La legge n. 185 però vieta anche l’esportazione di armamenti “verso i Paesi i cui governi sono responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani”. All’autorità competente, ovvero l’Unità per Autorizzazione Materiale di Armamento (UAMA) presso il Ministero degli Esteri, spetta di garantire l’autorizzazione di esportazione di armamenti o sospendere il rilascio di tali autorizzazioni.
Giorgio Beretta, analista dell’Osservatorio permanente sulle armi leggere e le politiche di sicurezza e difesa, ritiene che in base alla legge n. 185 non sarebbe legale autorizzare l’esportazione di armamenti verso Israele. “Personalmente ritengo che i criteri per bloccare le esportazioni di armamenti verso Israele fossero presenti già da prima del 7 ottobre: da decenni, secondo la legge del 1990 e viste le violazioni del diritto internazionale da parte di Israele, l’Italia avrebbe dovuto applicare delle forme di divieto di esportazioni di armi verso Israele” dice Beretta “le azioni militari di Israele su Gaza di questi giorni, che secondo molte organizzazioni non governative e dichiarazioni di rappresentanti dell’ONU contravvengono il diritto internazionale umanitario, costituiscono una ragione ulteriore per porre in atto al più presto un divieto da parte dell’Italia e dell’Unione Europea di esportazioni di armi verso Israele”.
Giorgio Beretta ha poi aggiunto “la fornitura di armamenti a Israele rappresenta da parte dell’Italia un sostegno diretto alle violazioni dei diritti umani poste in campo in questi giorni da Israele: auspico che, almeno le forze di opposizione, presentino una proposta di mozione per sospendere la fornitura di armamenti a Israele, quantomeno per una questione di dignità.”
Sospensione di armamenti che fa anche parte delle richieste avanzate dalle migliaia di persone scese in piazza lo scorso venerdì 27 ottobre in occasione delle manifestazioni promosse in varie città italiane da Amnesty International e Rete italiana Pace e Disarmo. Nell’appello lanciato in occasione delle manifestazioni si legge “il governo italiano deve promuovere il rispetto del diritto internazionale umanitario, astenendosi dal fornire armi a qualsiasi parte coinvolta nel conflitto”.
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