Una lettera a Trump da Gaza

di Hassan Abo Qamar

Al Jazeera, 18 febbraio 2025.  

Gaza era già la “Riviera del Medio Oriente” e lo sarà di nuovo – quando noi, i palestinesi, la ricostruiremo.

Palestinesi che si godono la spiaggia in una giornata calda a Gaza City il 17 luglio 2023 [File: Mohammed Salem/Reuters].

Palestinesi che si godono la spiaggia in una giornata calda a Gaza City il 17 luglio 2023 [File: Mohammed Salem/Reuters].

Caro signor Trump,

Le scrivo come palestinese e sopravvissuto a un genocidio, nato e cresciuto a Gaza – una città di amore e resilienza.

Ho letto le sue dichiarazioni su Gaza e francamente sono confuso.

Lei sostiene di essere un “costruttore di pace”, ma incoraggia Israele a continuare il suo genocidio, chiedendo che si scateni “l’inferno” se le sue richieste non vengono soddisfatte.

Signor Trump, abbiamo già attraversato l’inferno. Abbiamo perso 60.000 martiri.

Lei rivendica il merito dell’accordo per il cessate il fuoco, eppure il suo governo – uno dei garanti dell’accordo – si rifiuta di fare pressione su Israele affinché adempia a tutti i suoi obblighi.

Lei definisce Gaza un “sito di demolizione”, ma omette opportunamente di nominare il criminale responsabile, mentre contemporaneamente lo rifornisce di altre bombe, finanziamenti e copertura diplomatica.

Lei parla di Palestinesi “sicuri” e “felici”, eppure si riferisce a noi come se fossimo un peso da scaricare sulla Giordania, sull’Egitto o su qualsiasi paese disposto ad accoglierci.

Lei sostiene che “vogliamo stare nella Striscia di Gaza solo perché [non] conosciamo altro”.

Signor Trump, credo che lei abbia profondamente frainteso chi siamo e cosa sia Gaza per noi.

Lei pensa a noi come a un semplice ostacolo alla sua visione di tanti resort di lusso, ma siamo un popolo con radici profonde, una lunga storia e diritti inalienabili. Siamo i legittimi proprietari della nostra terra.

Gaza non è la sua prossima impresa commerciale e non è in vendita.

Gaza è la nostra casa, la nostra terra, la nostra eredità.

E no, non è vero che vogliamo restare qui perché “non conosciamo altro”. Sebbene l’assedio israeliano, durato 17 anni, ci abbia reso la vita incredibilmente difficile, alcuni di noi sono ancora riusciti a viaggiare – per istruzione, cure mediche o lavoro. Ma queste persone tornano ancora perché Gaza è la loro casa.

Un esempio significativo è il dottor Refaat Alareer, una figura ispiratrice, che l’occupazione israeliana ha preso di mira e ucciso nel 2023. Aveva conseguito un master nel Regno Unito e successivamente aveva completato il dottorato di ricerca presso l’Universiti Putra Malaysia.

Pur avendo l’opportunità di rimanere all’estero, aveva scelto di tornare a Gaza, dove ha insegnato scrittura creativa e letteratura all’Università Islamica. Ha anche co-fondato We Are Not Numbers, un’iniziativa che abbina giovani scrittori palestinesi ad autori esperti per amplificare le loro voci e resistere all’occupazione attraverso la narrazione. Una di queste voci è la mia.

La scorsa primavera anch’io avevo avuto l’opportunità di partire, ma ho deciso di non farlo. Non potevo lasciare la mia famiglia, i miei amici e Gaza in mezzo a una guerra genocida. Tuttavia, come molti altri, ho intenzione di viaggiare per completare la mia istruzione e poi tornare per aiutare a ricostruire e sostenere il mio popolo.

Questa è la via palestinese: cerchiamo conoscenze e opportunità, non per abbandonare la nostra patria, ma per costruirla e rafforzarla.

A proposito di edilizia, lei parla dei suoi piani per trasformare Gaza nella “Riviera del Medio Oriente”. Il fatto è che Gaza era la Riviera del Medio Oriente. I nostri antenati l’avevano trasformata in un fiorente snodo commerciale, in una città portuale e in un centro culturale. Era “magnifica” – per usare le sue parole – fino a quando non è stato creato Israele che ha iniziato a distruggerla.

Eppure, dopo ogni brutale assalto israeliano a Gaza, i palestinesi la ricostruivano. Nonostante tutte le violenze, le restrizioni e le ruberie israeliane, i palestinesi si sono assicurati che Gaza fosse un luogo sicuro con un ritmo di vita accogliente, dove i giovani facevano del loro meglio per procurarsi mezzi di sussistenza dignitosi, dove le famiglie erano felici e unite e dove le case prosperavano.

Israele ha ora cercato di ridurre tutta Gaza in macerie e morte, in modo che noi non possiamo più viverci. Lei ha ripreso l’idea, avallando di fatto la nostra pulizia etnica sotto l’apparenza dell’umanitarismo.

No, signor Trump, non saremo “felici” e “sicuri” altrove.

Ma sono d’accordo con lei su un’altra delle cose che ha detto: “Bisogna imparare dalla storia”. In effetti, la storia ci insegna che il colonialismo in epoca moderna è insostenibile. In questo senso, i suoi piani e quelli di Israele sono destinati a fallire.

Noi, il popolo di Gaza, come ogni popolo indigeno, rifiutiamo di essere sradicati. Ci rifiutiamo di essere espropriati. Ci rifiutiamo di essere costretti all’esilio perché la nostra terra possa essere consegnata al miglior offerente. Non siamo un problema da risolvere; siamo un popolo che ha il diritto di vivere nella propria terra in libertà e dignità.

Nessuna quantità di bombe, blocchi o carri armati ce lo farà dimenticare. Non saremo trasferiti, reinsediati o sostituiti.

Il potere e la ricchezza non decideranno il destino di Gaza. La storia non è scritta dai ladri – è scritta da coloro che resistono, dalla volontà del popolo. A prescindere dalle pressioni, il nostro legame con questa terra non sarà mai reciso. La resa e l’abbandono non sono un’opzione. Onoreremo i nostri martiri della resistenza nutrendo questa terra con amore, cura e ricordo.

Le auguro il meglio nei suoi inutili tentativi,

Hassan Abuqamar

Hassan Abo Qamar è uno scrittore di Gaza.

https://www.aljazeera.com/opinions/2025/2/18/a-letter-from-gaza-to-mr-trump

Traduzione a cura di AssoPacePalestina

Non sempre AssoPacePalestina condivide gli articoli che pubblichiamo, ma pensiamo che opinioni anche diverse possano essere utili per capire.

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