di Qassam Muaddi,
Mondoweiss, 15 gennaio 2025.
Il genocidio di Israele a Gaza è fallito perché, pur avendo distrutto le infrastrutture di Gaza, non è riuscito a distruggere Gaza stessa; non è riuscito a distruggere la gente. Così come Israele non è riuscito a distruggere la Palestina dopo 76 anni di tentativi.

La guerra genocida israeliana su Gaza si avvicina alla fine, l’accordo per il cessate il fuoco sarà presto annunciato. Come festeggiare? È un momento che tutti desideriamo da 14 mesi. I gazawi hanno iniziato a festeggiare, anche se le bombe israeliane non hanno smesso di cadere sulle loro teste. Solo oggi, mercoledì 15 gennaio, gli attacchi israeliani hanno colpito cinque famiglie, uccidendo non meno di 23 persone. Per quanto la fine di questa fase della guerra israeliana contro il popolo palestinese sia una buona notizia, la questione è più grande di quanto si possa pensare. Come si può festeggiare?
Un anno e mezzo fa, c’era una città chiamata Gaza. C’erano città palestinesi chiamate Deir al-Balah, Khan Younis e Rafah. Soffrivano di un blocco disumano e di traumi accumulati da precedenti bombardamenti israeliani, ma esistevano. C’era una vita che andava avanti, collettivamente, in uno spazio comune dove i palestinesi continuavano ogni giorno la storia millenaria della loro esistenza in quel luogo. Era una vita difficile, ma i palestinesi avevano basi fisiche abbastanza forti per continuare a costruirla, un pezzetto alla volta, ogni giorno, contro formidabili difficoltà. Oggi quelle basi fisiche sono inesistenti. Sono state cancellate.
A Gaza non ci sono più ospedali. Non ci sono più scuole. Le strade sono scomparse e le case sono state trasformate in cumuli di rovine, con tutte le vite e i ricordi che contenevano. Un milione di bambini di Gaza subisce traumi troppo pesanti da sopportare per la loro età. Molti di loro hanno perso almeno un genitore, mentre molti altri hanno perso tutti i loro familiari. Intere famiglie sono state sterminate e centinaia di migliaia di vite, progetti, sogni, costruiti con sudore e sacrificio, sono stati ridotti in polvere. È stato un genocidio in tutte le accezioni possibili del termine, e sta per finire. Ma la dimensione della perdita è troppo grande per essere seppellita sotto l’euforia del momento. Come si può festeggiare?
Tre settimane fa, milioni di persone in tutto il mondo stavano celebrando un’altra ricorrenza. Era il Natale, che per molti è una festa consumistica con poco o nessun significato spirituale. Ero in compagnia di un piccolo gruppo di amici cattolici devoti, non palestinesi, per i quali il Natale è la commemorazione della nascita di Gesù. Si sono riuniti intorno a un presepe, con piccole rappresentazioni di Gesù bambino circondato da sua madre e da alcuni pastori, ma io non ho potuto festeggiare. L’unica nascita che avevo in mente era quella di Zein.
Zein è un bambino palestinese di un anno a Gaza. Come migliaia di bambini gazawi nati lo scorso anno, è nato sotto una tenda di fortuna nell’area di Mawasi, sulla costa di Khan Younis, tra fame, freddo e bombe. Lui e la sua famiglia sono sopravvissuti a tre attacchi israeliani al loro accampamento di sfollati. Gli è stata diagnosticata un’infiammazione alla spina dorsale dopo settimane di sofferenza per altri problemi di salute minori, in totale assenza di cure mediche. Il solo fatto che sia ancora vivo lo rende un bambino miracolato dei nostri giorni.
I genitori di Zein non stavano festeggiando. Non c’è nulla nella loro realtà che meriti di essere festeggiato. Il padre di Zein è un architetto. Aveva il suo studio di architettura, che gli ha permesso di garantire una vita dignitosa alla famiglia nel bel mezzo delle tristi condizioni di Gaza prima del 7 ottobre. Lui e sua moglie avevano un proprio appartamento, che avevano pagato con il duro lavoro. Tutto questo è stato distrutto nella prima settimana di guerra. Tutto, l’ufficio, l’appartamento, l’intero edificio residenziale e lo stesso quartiere di Tal Al-Hawa nella città di Gaza sono stati ridotti in polvere e macerie. Dopo essere stati costretti a lasciarsi alle spalle la loro vita e a sfollare nel sud, sotto una tenda di fortuna allagata dalla pioggia, senza cliniche o scuole, senza un futuro chiaro davanti a sé e con la minaccia di morte dietro l’angolo in ogni momento, Zein è venuto al mondo. Come potevano festeggiare i suoi genitori?
Dal Natale dell’anno scorso, nel dicembre 2023, ho avuto la sensazione che il Natale non fosse una festa. Dopo tutto, Gesù era un bambino palestinese nato sotto l’occupazione, da genitori costretti a lasciare la loro tranquilla città di Nazareth per un ordine militare di farsi registrare a Betlemme; è andato a finire in una povera mangiatoia, ed è stato lui stesso sfollato poco dopo la sua nascita, sopravvivendo a un massacro di bambini. Che cosa c’è da festeggiare? Semmai è la commemorazione della tragedia che i bambini in Palestina continuino a nascere nelle stesse condizioni, a distanza di 2000 anni!
La scorsa vigilia di Natale, mentre i miei amici devoti cantavano inni intorno al presepe, ho inviato un messaggio al padre di Zein, chiedendo notizie della famiglia. Più tardi nella notte, il padre di Zein, un musulmano laico, ha risposto al mio messaggio, augurandomi buone feste “nella notte della nascita del più grande palestinese della storia, che è un simbolo di speranza per tutti i bambini come Zein”.
Speranza? Come ha potuto, in mezzo alle condizioni apocalittiche di Gaza, in mezzo all’abbandono di gran parte del mondo, essere lui a tirare fuori questa parola? E poi che cos’è la speranza?
Ricordo che il sentimento di speranza è arrivato per brevi momenti durante questo genocidio, ma molti di noi non l’hanno preso abbastanza sul serio, forse perché la continuazione della tragedia di Gaza ha sopraffatto la nostra attenzione in quel momento.
Il sentimento di speranza si è affacciato quando i palestinesi sono tornati all’ospedale al-Shifa dopo la prima incursione israeliana, nel novembre 2023. Le forze israeliane avevano evacuato con la forza l’ospedale e avevano ucciso e arrestato molte persone al suo interno e nei dintorni. Ma poi, subito dopo la loro partenza, i palestinesi sono tornati e hanno iniziato a ripulire e a cercare di rendere di nuovo funzionali alcune parti dell’ospedale. Sono arrivate anche le prime notizie dei dipendenti della municipalità di Gaza, che non appena le forze israeliane si sono ritirate dai locali, hanno riaperto i loro uffici e hanno iniziato a valutare le perdite in città. La speranza è tornata brevemente quando i giovani palestinesi hanno iniziato a organizzare aule nelle tendopoli di Rafah, nonostante l’intero sistema educativo fosse stato distrutto.
Non c’era alcuna ragione fisica per sperare in qualcosa, ma quei palestinesi nell’ospedale al-Shifa, nella municipalità di Gaza, nelle aule-tenda e in molti altri luoghi, avevano speranza. Qualcuno potrebbe definirla una speranza cieca. La speranza che, se si mantengono uniti e se mantengono la loro coesione sociale, riusciranno a sopravvivere al genocidio come comunità, anche se le loro città e le loro case saranno distrutte. Ecco perché il genocidio è fallito. Perché Israele ha distrutto le infrastrutture di Gaza, ma non è riuscito a distruggere Gaza e il suo popolo, proprio come non è riuscito a distruggere la Palestina dopo 76 anni di tentativi.
Ecco perché la nascita di Zein è stata un segno di speranza per i suoi genitori. Ecco perché i nostri antenati in Palestina hanno continuato a tramandare alle generazioni la storia di un bambino miracoloso nato da una coppia di genitori sfollati a Betlemme, prima che l’Occidente la trasformasse in una festa consumistica. Perché è una storia di persone che si tengono unite, senza alcun motivo per credere di avere qualche possibilità, per proteggere una nuova vita che spunta in mezzo alla distruzione e alla morte.
Il tiranno che massacrò i bambini di Betlemme morì e il suo regno finì, ma il bambino che voleva uccidere divenne un simbolo eterno e la sua nascita spaccò la storia in due. Anche i macellai che hanno ucciso i bambini di Gaza negli ultimi 14 mesi passeranno, e la loro tirannia finirà. Ma Gaza risorgerà dalle sue ceneri. Una nuova Gaza. La Gaza di Zein e dei suoi coetanei, le cui vite saranno un punto di svolta anche nella storia della Palestina.
Nonostante il dolore, che richiederà generazioni per guarire, sono loro un motivo per festeggiare.
Qassam Muaddi è il Palestine Staff Writer di Mondoweiss.
https://mondoweiss.net/2025/01/palestine-letter-how-gaza-taught-us-hope/
Traduzione a cura di AssoPacePalestina
Non sempre AssoPacePalestina condivide gli articoli che pubblichiamo, ma pensiamo che opinioni anche diverse possano essere utili per capire.
Grazie per la descrizione.
Ricostruire Gaza non dove ci sono le macerie, queste dovrebbero essere lasciate così come sono a futura memoria.