20 novembre 2024.
Questa è la trascrizione e traduzione del discorso di Regev Nathansohn al Parlamento Europeo. Può essere ascoltata nella versione originale a questo LINK.
Mi chiamo Nathansohn e sono un antropologo. Una delle prime lezioni dell’antropologia è: le cose non sono come sembrano.
Non sono venuto qui per parlare di quegli ebrei israeliani che cercano vendetta e spingono brutalmente per l’espansione del loro controllo: supremazia ed esclusività nella terra tra il fiume e il mare. Né sono venuto qui per parlare delle loro innumerevoli vittime.
Sono venuto qui per parlare degli israeliani considerati liberali, quelli che ci si aspetterebbe che si preoccupino dei valori umani universali e che si schierino contro il genocidio, in particolare quelli che lavorano nell’Accademia e nei media. Quelli che si considerano liberaldemocratici, illuminati, ma che in realtà privilegiano la supremazia ebraica rispetto al discorso razionale.
La loro facciata di liberalismo è resa possibile dal loro muoversi su due fronti: possono criticare il governo israeliano per le sue mosse antidemocratiche contro i cittadini ebrei, ma allo stesso tempo mettono a tacere le voci critiche contro la guerra e il genocidio. Voci che denunciano anche le pratiche non liberali di queste istituzioni.
So come funziona, perché sono stato professore presso l’importante Dipartimento di Comunicazione del Sapir College, dove viene formata la prossima generazione di giornalisti. Formati al silenzio.
Alla fine di marzo, l’amministrazione del mio College ha cercato di mettermi a tacere dopo che avevo firmato una petizione contro le azioni di Israele a Gaza, come molti dei miei colleghi. Si tratta di un’università situata a 3 km dalla Striscia di Gaza. Conoscevo personalmente alcune delle vittime del 7 ottobre. Parenti di persone a me care sono stati rapiti. Altre persone che conosco bene hanno perso le loro famiglie, i loro amici e le loro case, ma la profondità del dolore dopo l’attacco guidato da Hamas non ha offuscato la mia convinzione che non poteva esserci una soluzione militare.
Man mano che arrivavano le prove delle atrocità dalla Striscia di Gaza, ho firmato diverse petizioni, una delle quali è stata presentata da accademici di tutto il mondo che chiedevano al Presidente degli Stati Uniti Biden di interrompere il trasferimento di tutte le armi offensive e dei relativi fondi a Israele, per fermare un genocidio ritenuto plausibile dai giuristi. Nel giro di pochi giorni è stata lanciata una campagna contro gli accademici israeliani che hanno firmato la petizione e sono stati lanciati appelli per il mio licenziamento. In risposta, il College ha rilasciato una dichiarazione fuorviante alla stampa in cui – cito testualmente – “condannava fermamente le dichiarazioni contro i soldati dell’IDF”. Hanno anche aggiunto che non avrei più potuto utilizzare la mia affiliazione accademica in contesti personali e politici.
In seguito alla loro risposta, l’incitamento contro di me si è intensificato anche sulle piattaforme di social media dell’università. A un certo punto, l’università stessa ha messo un like su un commento che mi definiva un sostenitore del terrorismo. Ho comunicato all’amministrazione che avevano creato un ambiente di lavoro ostile, che mi impediva di svolgere i miei doveri accademici, e ho chiesto loro di rivedere la loro posizione pubblica e di proteggere attivamente la libertà di parola e la libertà accademica, in modo che potessi tornare a insegnare.
Purtroppo, hanno respinto la mia richiesta e mi hanno immediatamente messo in aspettativa non retribuita per 6 mesi. A settembre il mio congedo non retribuito è terminato e l’amministrazione ha annunciato che de facto io stesso mi ero dimesso. Durante tutto questo tempo, la maggior parte dei miei colleghi del dipartimento ha scelto di tacere. Così facendo, hanno contribuito a nascondere il caso sotto il tappeto e hanno dato ai nostri studenti, che presto diventeranno giornalisti, una terribile lezione di silenzio e di omertà.
Ad essere onesti, anch’io mi sono astenuto dal parlare in alcune occasioni. Non ho detto nulla quando il dipartimento era orgoglioso che dei docenti indossassero la loro uniforme da riservista mentre insegnavano giornalismo. Ho anche avuto paura di suggerire che il mio dipartimento, il Dipartimento di Comunicazione, condannasse l’uccisione di circa 100 giornalisti a Gaza.
Il modo in cui il Sapir College ha gestito il mio caso non era una novità. Casi simili al mio mostravano chiaramente che l’università vedeva l’educazione al pensiero critico come un ostacolo all’iscrizione e alla soddisfazione degli studenti. Questo è stato anche il caso di altre istituzioni accademiche in Israele. Secondo Academia for Equality, un’organizzazione di membri per la democratizzazione dell’accademia e della società israeliana, gli studenti e i docenti palestinesi ed ebrei sperimentano più che mai un crescente senso di paura e di silenzio. Si autocensurano e si astengono dall’esprimere pubblicamente opinioni critiche a causa del crescente rischio di essere sanzionati, definiti sostenitori del terrorismo o semplicemente considerati una minaccia per la comunità universitaria. Questo colpisce soprattutto i docenti e gli studenti palestinesi e porta direttamente a un calo significativo delle iscrizioni di studenti palestinesi alle istituzioni israeliane. La loro paura si basa su casi concreti di sospensione di studenti e docenti e persino sul licenziamento di membri della facoltà che sono stati critici nei confronti della guerra.
Le cose non sono come sembrano. Sotto la facciata liberale delle istituzioni accademiche israeliane, ci sono condizioni impossibili per la vita accademica se si è uno studente palestinese o un membro della Facoltà con opinioni critiche riguardo alla guerra e al genocidio in corso. In queste condizioni non c’è quasi nessuna possibilità di cambiamento dall’interno. In queste condizioni, solo la pressione internazionale può salvare efficacemente le vite umane dal fiume al mare. Grazie.
Traduzione a cura di AssoPacePalestina
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