Nuova condanna per Sami Hourani: Masafer Yatta resta nel mirino

di Micol Meghnagi

Il Manifesto, 30 novembre 2024.  

L’accusa: aver aggredito un soldato nel 2021, ma le prove dicono altro. La guerra silenziosa nella Cisgiordania occupata.

Coloni nelle comunità a sud di Yatta. Youth of Sumud

Nelle prime ore del 26 novembre, nel piazzale polveroso davanti al tribunale militare israeliano di Ofer, nei sobborghi di Ramallah, decine di attivisti palestinesi e solidali si sono riuniti in attesa del verdetto giudiziario a Sami Hourani, fondatore di Youth of Sumud e coordinatore dei Comitati Popolari palestinesi. Sull’asfalto giacciono i resti di pallottole di gomma esplose e di munizioni usate.

All’inizio del 2021 Hourani e altre centinaia di palestinesi avevano organizzato una marcia per chiedere verità e giustizia per Harun Abu Aram, ucciso dall’esercito israeliano per aver tentato di evitare il furto di un generatore elettrico da parte delle forze dell’esercito israeliano. Abu Aram è stato colpito da una pallottola in testa mentre si trovava nella sua casa ad Al-Rakeez, villaggio palestinese alle pendici delle colline di Masafer Yatta, nell’area C della Cisgiordania occupata, sottoposta al completo controllo militare e amministrativo israeliano e regolata da circa 2.500 ordini militari che condizionano quasi ogni aspetto della vita dei palestinesi.

Nonostantele centinaia di prove presentate da attivisti palestinesi, internazionali e israeliani che dimostrano come Hourani non abbia aggredito nessuno, ma sia stato invece l’esercito israeliano ad attaccare la manifestazione pacifica, il tribunale ha emesso un verdetto a suo sfavore per «aggressione a un soldato» e «ostruzione a un soldato durante il servizio»: «Dopo tre anni di lotta giudiziaria, vengo condannato a un mese di carcere con la sospensiva per aver preso parte a una manifestazione non violenta, mentre gli assassini di Harun Abu Aram sono ancora liberi», ha dichiarato Hourani che sarà automaticamente costretto a scontare un mese di carcere se verrà condannato per lo stesso reato entro il prossimo anno.

La famiglia Hourani è da decenni bersaglio delle vessazioni dell’occupazione militare israeliana. «Solo qualche giorno fa mio fratello Mohammed è stato picchiato a sangue da un gruppo di coloni armati mentre pascolava con il nostro gregge, mentre mio padre è vittima di soprusi quotidiani e incarcerazioni illegali», aggiunge Sami. La dimora della sua famiglia, nel villaggio di At-Tuwani, è da tempo un crocevia di attivisti solidali e simbolo della resistenza non violenta nella regione di Masafer Yatta, che negli anni ’80 è stata dichiarata zona di addestramento militare. Da allora «i residenti palestinesi si vedono negato l’accesso a reti idriche ed elettriche e sono sotto la minaccia costante di demolizioni e sfratti».

La sentenza contro Hourani si colloca all’interno di un sistema punitivo legalizzato, in cui la detenzione è usata come strumento di controllo e oppressione nei confronti della popolazione palestinese. Secondo il report «Welcome to Hell», pubblicato ad agosto dall’organizzazione israeliana per i diritti umani B’Tselem, il tasso di condanna dei palestinesi processati nei tribunali militari raggiunge il 99,9%.

Poco primadell’inizio dell’offensiva contro Gaza, il numero complessivo di palestinesi incarcerati da Israele e classificati come «prigionieri di sicurezza» era di 5.192, di cui circa 1.319 in detenzione amministrativa, ovvero senza accuse formali e possibilità di difesa. A luglio 2024, il numero di palestinesi incarcerati nelle prigioni israeliane è salito a 9.623, di cui 4.781 detenuti senza processo.

«Sotto la copertura della guerra a Gaza, i coloni stanno lavorando per realizzare l’obiettivo statale di annichilire la Cisgiordania», ha avvertito B’Tselem a qualche giorno dall’attacco di Hamas nel sud di Israele lo scorso 7 ottobre. In Cisgiordania è in corso una guerra silente: coloni armati, avallati dall’esercito, si aggirano tra i villaggi, reprimono gli attivisti, arrestano, minacciano, distruggono le comunità palestinesi. «L’obiettivo ultimo è portare a termine il processo di pulizia etnica in Palestina», conclude Hourani.

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