Chi dovrebbe guidare i palestinesi dopo la guerra di Gaza, e come?

Feb 18, 2024 | Notizie, Riflessioni

di Mahmoud Jabari e Dahlia Scheindlin,

Haaretz, 14 febbraio 2024.   

Queste sono le domande chiave che i palestinesi dovrebbero porsi su chi li guiderà, e i principi guida che i soliti nomi e la vecchia guardia non possono rispettare, nonostante il sostegno dei politici occidentali.

Bambini all’interno di un’auto mentre la gente fugge da Rafah, nel sud della Striscia di Gaza, martedì. Mohammed Abed – Afp

Mentre la guerra tra Israele e Hamas si trascina, l’elenco degli scenari del “giorno dopo” per Gaza sta stimolando nuove idee sulla risoluzione del più ampio conflitto israelo-palestinese. Ma c’è una condizione fondamentale per qualsiasi piano di questo tipo: oltre alla fine della guerra, qualsiasi tipo di pace richiederà un cambiamento radicale di leadership sia per gli israeliani che per i palestinesi.

Israele dovrà aspettare che il suo governo cada e dovrà eleggere qualcuno migliore di Netanyahu – non è una cosa difficile, come è stato discusso in un altro articolo.

Per i palestinesi, il concetto stesso di governo è in crisi, diviso per 17 anni tra Fatah e Hamas, entrambi detestati per gran parte del tempo dai palestinesi per la corruzione, il governo autoritario e il mancato raggiungimento della libertà.

Non è chiaro come i palestinesi sceglieranno un governo, con un’Autorità Palestinese decrepita che si aggrappa al potere in Cisgiordania, farfugliando di riforme, mentre la maggior parte dei gazawi è sfollata o morta. Hamas ha ricevuto una spinta nei sondaggi dopo il 7 ottobre, come per stringersi intorno alla bandiera, ma dopo la maggior parte delle guerre il suo sostegno è diminuito di nuovo, e questa è una guerra come nessun’altra. Elezioni in questo caos sembrano impossibili.

Gli estranei, compresi gli Stati Uniti, l’Unione Europea e i principali stati arabi, possono avere idee sul futuro della leadership palestinese, ma in ultima analisi sono i palestinesi che devono decidere. Molti stanno già facendo questa discussione, ben al di fuori dello sclerotico sistema politico. Scriviamo questo articolo per aprire una finestra sulle idee consolidate che provengono dagli stessi palestinesi.

Tre idee in particolare sono essenziali per costruire una migliore leadership palestinese in futuro, evitando gli errori del passato.

Restituire credibilità all’Autorità Palestinese

Per un decennio dopo gli accordi di Oslo, i leader dell’Autorità Palestinese non sono riusciti a porre fine all’occupazione o a raggiungere l’indipendenza attraverso la diplomazia. Il fallimento della leadership, insieme alle pratiche autoritarie e alla corruzione, ha rovinato la credibilità dell’Autorità e ha portato alla Seconda Intifada, contribuendo poi alla vittoria di Hamas nel 2006, proprio l’esito più temuto da Israele.

L’ironia è che per Israele (e troppo spesso per altri potenti paesi occidentali), l’Autorità Palestinese esiste principalmente per soddisfare gli imperativi di sicurezza israeliani. La sicurezza israeliana, piuttosto che il buon governo, è diventata l’unica misura della legittimità dell’Autorità Palestinese. Israele e i Paesi occidentali si sono accontentati di vedere l’Autorità Palestinese che sacrificava il buon governo, le istituzioni trasparenti, la lotta alla corruzione e le riforme democratiche in nome della stabilità.

Questa immagine fornita dall’Ufficio stampa dell’Autorità Palestinese (PPO) mostra il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi (a destra nel centro) mentre riceve il presidente palestinese Mahmud Abbas (a sinistra nel centro) al Cairo, l’8 gennaio. Thaer Ghanaim / PPO / AFP

I palestinesi lo sentono più di chiunque altro; vedono i loro leader, persino i sindaci locali, come asserviti al dominio israeliano. In pratica, i funzionari di governo sembrano impotenti. Ma i palestinesi sanno anche che quando questi stessi funzionari hanno bisogno di un aiuto personale egoistico, collaborare con le autorità di occupazione per ottenere dei privilegi sembra una buona cosa.

Invece di considerarla come il fondamento della governance per un futuro stato, l’Autorità Palestinese è stata vista come una robusta guardia di sicurezza armata – o, per i palestinesi, come una leadership di yes-man. I palestinesi con cui abbiamo parlato hanno inveito contro la mancanza di trasparenza, il nepotismo e la forza che passa per governance. A settembre 2023, l’87% dei palestinesi riteneva che ci fosse corruzione nelle istituzioni dell’Autorità Palestinese (il 72% diceva lo stesso di Hamas)

L’installazione di leader fantoccio a Gaza o altrove è un mezzo sicuro per alienare coloro che potrebbero essere una giovane nuova guardia nella politica palestinese. Alcuni si allontaneranno del tutto dalla politica. Altri incanaleranno la loro frustrazione nella violenza.

Gli elettori palestinesi dovrebbero anche esser sicuri che le loro scelte elettorali contano; troppi hanno invece la sensazione che gli Stati Uniti e l’Occidente decidano in pratica il risultato. Anche questo è alienante; Hamada Jaber, un analista politico quarantenne di Ramallah, ha detto che non entrerebbe in politica in queste circostanze: “Per la maggioranza dei palestinesi è disgustoso che l’Occidente e gli Stati Uniti pensino di poter imporre qualcosa al popolo palestinese”.

L’analista palestinese Zaha Hassan del Carnegie Endowment for International Peace ha scritto che i palestinesi diffidano persino degli appelli a riformare l’Autorità Palestinese, perché “si è visto che diversi attori esterni con strumenti insidiosi per manipolare i risultati palestinesi si sono fatti sentire, anche a spese dei presunti valori democratici”.

Questo non significa ignorare i rischi. E se ad Hamas fosse stato permesso di formato davvero il governo dopo le elezioni del 2006? Dopo tutto, i sondaggi indicano che Hamas potrebbe vincere di nuovo. Ma i tempi sono cambiati.

Anche se rispettare la diversità politica palestinese significa includere Hamas nella politica, la sua vittoria non è inevitabile: infatti, nelle elezioni municipali in Cisgiordania del 2022, quasi due terzi dei palestinesi della Cisgiordania hanno scelto candidati indipendenti. In ogni caso, le elezioni non si terranno immediatamente e, a quel punto, l’umore del palestinese comune si sarà evoluto; la gente sarà già concentrata su nuove sfide.

Palestinesi ispezionano le macerie degli edifici distrutti dopo gli attacchi aerei israeliani sulla città di Khan Yunis, nel sud della Striscia di Gaza, ottobre 2023. Mohammed Dahman / AP

Ma la percezione che degli estranei abbiano il controllo finale, alimentando una leadership a loro compiacente ma odiata dai palestinesi, sta soffocando un autentico rinnovamento politico in Palestina.

Al contrario, l’avanzamento di un orizzonte politico orientato verso una vera indipendenza potrebbe motivare volti nuovi a entrare nella politica palestinese. “Se ci sarà un nuovo ambiente di questo tipo” – riferendosi a una vera possibilità di indipendenza – “sicuramente sì”, ha detto Jaber, specificando che “elezioni libere” e “pari opportunità” di partecipazione sarebbero tra i fattori motivanti.

Una vita politica più vivace e avvincente potrebbe non avere esiti ideali per Israele nel breve termine, ma potrebbe incanalare le richieste politiche verso la discussione, piuttosto che verso la violenza.

Un dimostrante palestinese brucia un manifesto con una foto del Segretario di Stato americano Antony Blinken con la scritta “criminale di guerra”, durante una protesta contro la sua visita, nella città cisgiordana di Ramallah, il 7 febbraio. Nasser Nasser /AP

Spersonalizzare

Privilegiare gli individui rispetto al sistema è la strada sbagliata per il buon governo. Così come un vero percorso politico conta più del risultato, il sistema politico dovrebbe contare più degli individui.

Quando Yasser Arafat è morto nel 2004, la transizione del potere è avvenuta senza problemi “perché abbiamo semplicemente seguito la Legge Fondamentale Palestinese”, ha detto Jaber. Lo speaker del parlamento è diventato presidente ad interim e le elezioni si sono tenute due mesi dopo, nel gennaio 2005, come stabilito. L’elezione di Mahmoud Abbas ha segnato un cambiamento pacifico nella vita politica palestinese.

Ma col tempo, Abbas ha accentrato il potere nella sua piccola cerchia di compari. Ha istituito una Corte Costituzionale controversa, che nel 2018 ha deciso di sciogliere il parlamento, e non è riuscito a organizzare nuove elezioni parlamentari entro sei mesi, come decretato dalla sua Corte, né mai. Il suo attaccamento al potere ha demotivato ancora una volta ogni nuovo impegno politico e ha reso ancora più importante l’identità del prossimo leader.

Ormai l’Autorità Palestinese è come le altre dittature arabe, ha detto Jaber, ma peggio: “almeno [quei paesi] hanno buone condizioni di vita, ma nel nostro caso, [non abbiamo] nessun diritto, nessuna democrazia e nemmeno buone condizioni di vita o orizzonte politico”.

È pericoloso attribuire tutto a un singolo individuo. Eppure, i politici stranieri si limitano a discutere su una lista molto breve di nomi associati a Fatah – per lo più Marwan Barghouti, il personaggio palestinese imprigionato in Israele per oltre 20 anni che è in cima ai sondaggi palestinesi, oppure Mohammed Dahlan, Hussein al-Sheikh o Jibril Rajoub, che non sono tra i preferiti.

Queste figure hanno un nome ben noto e possono governare con i muscoli, certo, ma senza guadagnarsi la legittimità pubblica – compresa la fiducia nei sistemi di governo – e potrebbero evolvere in nuove versioni della leadership inefficace di oggi.

I piani per il day after dovrebbero invece concentrarsi sul rafforzamento di buone procedure e di una migliore governance. I responsabili politici internazionali dovrebbero smettere di presumere che i palestinesi saranno guidati da un uomo forte e presumere che i leader palestinesi guadagneranno gradualmente credibilità attraverso una buona governance, controlli ed equilibri e istituzioni funzionali. I palestinesi meritano di più del pregiudizio di avere basse aspettative democratiche.

L’autorevole leader di Fatah Marwan Barghouti fa il segno della vittoria davanti ai media, al suo arrivo per testimoniare in un processo presso un tribunale di Gerusalemme nel gennaio 2012. Bernat Armangue /AP

Dopotutto, questa è una società che dimostra un grande impegno nei processi democratici: Zaha Hassan ha notato che il 90% degli aventi diritto al voto si è registrato per le abortite elezioni del 2021, e Jaber ha osservato che non meno di 36 partiti avrebbero gareggiato. L’istinto democratico è una cosa terribile da sprecare e, di fronte una leadership geriatrica, motivare i giovani attivisti politici ispirerebbe sicuramente altri.

Se i cittadini hanno fiducia nel processo, riterranno il governo responsabile di eventuali fallimenti. Un governo del genere sarà sottoposto a maggiori pressioni per ottenere risultati.

Sicurezza, totale e reciproca, non solo forza

Il fatto che Israele si sia concentrato solo sul controllo militare sui palestinesi è stato un fallimento. Gaza ha continuato a soffrire sotto il blocco di Israele e l’effettivo contenimento entro il suo perimetro, senza alcuna speranza od orizzonte di risoluzione politica del conflitto – il risultato è stata una violenta vendetta culminata nel catastrofico attacco del 7 ottobre.

Nel frattempo, durante il 2022 e il 2023, la Cisgiordania è diventata un’area più letale che mai dai tempi della Seconda Intifada e, nonostante i 694 posti di blocco, un’esplosione di violenza potrebbe avvenire da un momento all’altro.

E con i palestinesi che muoiono a un tasso molto più alto degli israeliani, dovrebbe essere chiaro che la sicurezza è un bisogno reciproco, non solo una richiesta israeliana.

Fazioni palestinesi lanciano razzi contro Israele, il 7 ottobre 2023. Momen Faiz/NurPhoto via Reuters Connect

Ma anche la sicurezza sociale è essenziale. Le condizioni disastrose di Gaza e l’impennata della disoccupazione in Cisgiordania (peggiorata dalla guerra) evidenziano la necessità di un governo in grado di garantire la salute, l’istruzione, l’amministrazione pubblica e le infrastrutture, invece di lasciare che l’80% dei gazawi dipenda dagli aiuti finanziari come succedeva già prima della guerra.

Ahmed Fouad Alkhatib, scrittore e analista palestinese di Gaza che vive negli Stati Uniti, è un critico senza mezzi termini di Hamas, Fatah e Israele. Propone due “sistemi paralleli” per la futura governance palestinese, separando le preoccupazioni della vita quotidiana dalla causa nazionale. Uno dei due sistemi sarebbe “fortemente incentrato sulla promozione del progetto nazionale di statualità, liberazione e autodeterminazione attraverso mezzi politici, diplomatici e non violenti”.

L’altro si concentrerebbe sulla costruzione di istituzioni e sulla fornitura di servizi come l’istruzione, l’assistenza sanitaria e la sicurezza pubblica. Se gli obiettivi politici dovessero fallire, almeno il governo tecnico separato sarebbe protetto e potrebbe “prendersi cura dei bisogni del proprio popolo anche se c’è una stagnazione politica” sul fronte diplomatico.

Il futuro della leadership palestinese sta nel raccogliere il sostegno interno per una visione di potenziamento, che dia priorità alla fine dell’occupazione e all’avanzamento di uno stato indipendente, rifiutando la violenza e impegnandosi a rispettare gli accordi; promuova le libertà civili e il buon governo, e fornisca buone politiche pubbliche e una trasformazione economica. Una leadership dovrebbe essere responsabile, inclusiva e rappresentativa, non alienante.

Ma nessun orizzonte politico può produrre tutto questo. La costruzione di una vera leadership si basa sulla speranza che -alla fine della guerra- rimanga una parte adeguata della società e della terra palestinese per creare il suo governo.

Mahmoud Jabari è un analista di affari globali, oratore e leader di pensiero della città di Hebron, in Palestina, esperto di governance, partenariati pubblico-privati e affari economici. Ha conseguito un Master of Arts in Law & Diplomacy presso la Fletcher School della Tufts University.

Dahlia Scheindlin è un’analista dell’opinione pubblica e una consulente politica che ha lavorato a nove campagne nazionali in Israele e in altri 15 Paesi. È autrice di The Crooked Timber of Democracy in Israel: Promise Unfulfilled’ (2023) ed è policy fellow presso la Century Foundation.

https://www.haaretz.com/israel-news/2024-02-14/ty-article-magazine/.premium/who-should-lead-the-palestinians-after-the-gaza-war-and-how/0000018d-a81d-d0cb-a5ef-bb3f13cc0000?utm_source=mailchimp&utm_medium=Content&utm_campaign=haaretz-today&utm_content=6fa9e08dba

Traduzione a cura di AssoPacePalestina

Non sempre AssoPacePalestina condivide gli articoli che pubblichiamo, ma pensiamo che opinioni anche diverse possano essere utili per capire.

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