Un’OLP riformata che includa Hamas è l’unica speranza

Feb 17, 2024 | Notizie, Riflessioni

di Mitchell Plitnick,  

Mondoweiss, 16 febbraio 2024

Una riforma dell’OLP che includesse Hamas e altre fazioni farebbe rivivere a molti palestinesi l’idea che l’OLP sostenga ancora il diritto alla resistenza. Sebbene questo risultato rimanga un azzardo, è l’unica strada percorribile per un futuro positivo.

L’emiro del Qatar Tamim Bin Hamad Al Thani riceve il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas a Doha, in Qatar, l’11 febbraio 2024. (Ufficio del Diwan Emiri/APA Images)

Recenti informazioni suggeriscono che Hamas e Fatah stanno lavorando con la mediazione di diversi tati arabi a un accordo che consentirebbe un “governo” tecnocratico per la Palestina, che Hamas accetterebbe il principio di uno stato palestinese lungo i confini del 1967 e che si unirebbe a un’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) “rivitalizzata”.

È un vecchio ritornello, già sentito molte volte. E, proprio come in tutte le altre occasioni, ci sono seri ostacoli che dovrebbero essere superati perché un tale accordo si concretizzi. È giustificato un immenso scetticismo. Inoltre, questi piani si inseriscono in un più ampio sforzo degli Stati Uniti, insieme a Egitto, Giordania, Qatar, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Autorità Palestinese (AP), per formulare l’irrealizzabile sogno di Biden di porre fine al conflitto di Gaza, liberare tutti gli ostaggi, creare uno stato palestinese e raggiungere un accordo globale che includa la normalizzazione tra Arabia Saudita e Israele.

Questa è solo un’altra delle illusioni di Biden. L’idea che un accordo così monumentale possa essere forgiato senza l’acquiescenza o il coinvolgimento di Israele è assurda. Inoltre, Israele potrebbe facilmente distruggere l’intero accordo semplicemente andando avanti, come ha già iniziato a fare, con il suo piano di rovesciare la sua potenza militare su Rafah. Il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha chiarito in modo inequivocabile di non avere alcuna intenzione – anzi, alcun incentivo – a deviare da questa rotta omicida.

Ma i colloqui di cui si parla potrebbero essere ancora importanti. Diversi aspetti dei negoziati vengono affrontati su binari diversi, e uno di questi è lo sforzo di Arabia Saudita e Qatar per forgiare un accordo tra Hamas e Fatah per una rinnovata Organizzazione per la Liberazione della Palestina e un’Autorità Palestinese tecnocratica, ciò che aprirebbe la strada a un governo di tutti i partiti.

Si tratta, ovviamente, di un ritornello noto e logoro, dato che i ripetuti tentativi di governi di unità sono completamente falliti. Ma in questo momento, con la massiccia devastazione che Israele sta portando a Gaza e la sua repressione in Cisgiordania, ci sono tutte le ragioni perché queste due principali fazioni palestinesi trovino un modo per riunirsi finalmente.

Il fatto che il Qatar e l’Arabia Saudita stiano mediando il processo promette bene. È probabile che i sauditi si attengano alla linea statunitense-israeliana su qualsiasi accordo “del giorno dopo” a Gaza che vieti il coinvolgimento di Hamas. Ma il fatto che stiano lavorando con il Qatar implica che riconoscono la realtà che qualsiasi piano che tenti di escludere Hamas, la Jihad Islamica palestinese e altre fazioni armate – come gli Stati Uniti e Israele certamente insisteranno – è destinato a fallire prima ancora di iniziare.

Se esiste questo tipo di pragmatismo da parte dei sauditi, potrebbe esserci una speranza per questa mediazione.

Il fattore chiave per quanto riguarda Hamas e Fatah è la loro impotenza da soli.

“Nessuno può governare Gaza senza Hamas, e Hamas non può governare senza il legittimo governo palestinese”, ha dichiarato un funzionario di Fatah al giornalista palestinese Daoud Kuttab. “Pertanto, questo è un matrimonio necessario che nessuna delle due parti può rifiutare”.

In altre parole, nel cosiddetto “giorno dopo”, Hamas sarà ancora radicato nella società di Gaza e la sua rete, costruita in quasi due decenni di amministrazione della Striscia, sarà fondamentale per riassemblare la società. Mentre la scelta delle parole fatta dai funzionari di Fatah – il governo palestinese “legittimo” – riflette la loro visione politica: Hamas avrà bisogno di Fatah, delle sue relazioni con i principali stati arabi e del suo accreditamento con l’Occidente per ricostruire. Il Qatar non sarà in grado di sostenere da solo l’amministrazione di Gaza come faceva prima del 7 ottobre.

L’ostacolo israelo-americano

Questo non rappresenta un grande cambiamento per Hamas come potrebbe sembrare. Sette anni fa, Hamas ha formalmente accettato l’idea di uno stato palestinese lungo i confini del 1967. L’accordo non è mai stato riconosciuto o affrontato in alcun modo da Israele o dagli Stati Uniti.

L’obiezione verso il nuovo statuto di Hamas era che lo stesso statuto rivendicava ancora tutta la Palestina storica e chiedeva ancora il diritto al ritorno in tutti i luoghi da cui i palestinesi erano stati espulsi nel 1947-49. Naturalmente, chi faceva questa obiezione non si curava di ricordare che David Ben-Gurion aveva lo stesso identico atteggiamento riguardo al fatto che uno stato ebraico nascente fosse un primo passo per assicurarsi tutta la Grande Israele, ospitando alla fine un afflusso di massa di ebrei da tutto il mondo.

Più recentemente, lo statuto originale del Likud del 1977 afferma chiaramente che “tra il mare e il Giordano ci sarà solo la sovranità israeliana”. Sebbene lo statuto sia stato rivisto per dare ai leader politici del Likud un po’ più spazio di manovra, questo principio non è mai stato revocato. A gennaio, il leader del Likud e Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha dichiarato esplicitamente che non avrebbe tollerato alcun controllo palestinese su Gaza, ed è stato altrettanto esplicito riguardo a tutta l’area della Palestina storica, affermando che proprio la sua personale “insistenza è ciò che ha impedito – nel corso degli anni – la creazione di uno stato palestinese che avrebbe costituito un pericolo esistenziale per Israele”.

“Finché sarò primo ministro”, ha detto Netanyahu, “continuerò a insistere con forza su questo punto”.

Tutto ciò non ha mai suscitato un’obiezione da parte di nessun presidente degli Stati Uniti. Il doppio standard tra Israele e i palestinesi è un cosa familiare come l’alba o il tramonto. Tuttavia, se gli Stati arabi sono seri, accetteranno una formulazione in cui Hamas e altri gruppi più militanti mantengano le proprie ideologie individuali, proprio come fanno i partiti politici in tutto il mondo, senza che questa sia necessariamente la posizione del governo.

Il recente fallimento della missione del capo della CIA Bill Burns al Cairo ha dimostrato che Israele non ha alcun interesse a porre fine alla sua campagna di genocidio a Gaza. Nonostante il fatto che le operazioni israeliane a Gaza abbiano probabilmente portato alla morte di decine di ostaggi e che i negoziati ne abbiano liberati ben oltre 100, Netanyahu ha chiarito che si accontenterà solo del tipo di operazione che ha portato a termine domenica scorsa: una pericolosa missione di salvataggio condotta sotto la copertura di un ennesimo massacro.

Questo atteggiamento si estenderà sicuramente a un rifiuto assoluto di trattare con qualsiasi governo palestinese che includa elementi di Hamas.

È una questione aperta se il lavoro qatariota-saudita con le fazioni palestinesi possa avere successo quando il più ampio piano americano fallirà, come certamente accadrà. Ma se dovesse dare frutti, bisognerà vedere se i sauditi saranno disposti a sostenere un governo di unità palestinese di fronte al rifiuto americano. Molto dipenderà dal calcolo che i sauditi faranno in quel momento. Se riterranno che l’acquiescenza agli americani li porterà a ottenere il patto di difesa e il sostegno nucleare che vogliono da Washington, lasceranno cadere i palestinesi come una patata bollente.

Se invece credono che, stando al fianco dei palestinesi, possano ottenere una sorta di indipendenza palestinese a lungo termine, o almeno sufficiente a permettere loro di prendersi il merito di una vittoria importante, e di poter comunque scambiare la normalizzazione con Israele con i vantaggi che vogliono dagli Stati Uniti, saranno volentieri d’accordo.

Questo è in realtà abbastanza possibile perché se si arriva a una risoluzione accettabile per il popolo palestinese, nonostante i calci e le urla degli Stati Uniti e di Israele, un presidente americano, di qualsiasi partito, avrà ancora gli stessi incentivi politici per mediare la normalizzazione tra Arabia Saudita e Israele. E Israele, se la libertà palestinese sarà un fatto compiuto, avrà tutte le ragioni per normalizzare le relazioni con l’Arabia Saudita.

Qual è la novità di questo tentativo di unità palestinese?

L’ex leader di spicco di Fatah in esilio, Muhammad Dahlan, ne ha illustrato i dettagli in un’intervista al New York Times. Dahlan è rimasto in stretto contatto con persone di Hamas e con molti all’interno del partito Fatah, compresi coloro che sostengono Abbas e coloro che lo avversano.

Dahlan ha ribadito che gli Stati Arabi stanno cercando di trovare un modo per far sì che la fine del massacro di Gaza dia inizio a un percorso inarrestabile per porre fine al costante confronto tra Israele e i palestinesi, che essi definiscono come una soluzione a due stati. In particolare, e in netto contrasto con l’approccio dell’amministrazione Biden, lo sforzo saudita-qatariota, come lo ha descritto Dahlan, si è concentrato sulla mediazione di accordi tra le fazioni palestinesi, piuttosto che imporre loro quello che dovrebbe essere il risultato.

Dahlan non ha tenuto conto delle obiezioni israeliane, una forte indicazione del fatto che queste discussioni si stanno svolgendo all’interno di un quadro di consapevolezza che Israele e gli Stati Uniti rifiuteranno comunque ciò che ne uscirà. Questa consapevolezza è di buon auspicio perché qualsiasi successo nel riunire le fazioni dipenderà dalla voglia di sfidare gli Stati Uniti e Israele. 

Una possibile unità

L’imperativo immediato per Fatah e soprattutto per Hamas è fermare il massacro a Gaza, e il fatto è che questo piano del “day after”, anche se dovesse avere successo, non lo farà. Al contrario, non farà altro che approfondire la sensazione di Israele che tutti i palestinesi siano un nemico implacabile, un’opinione che, possiamo star certi, la Casa Bianca di Biden farà riecheggiare come un coro di fedeli.

Ma cambierebbe drasticamente il panorama politico dei palestinesi. La nuova AP iniziale sarebbe un governo tecnocratico. Un’OLP rinnovata che includa tutte le principali fazioni palestinesi sarebbe accolta con favore, anche se in sordina, da gran parte dell’Europa, dall’intero mondo arabo e musulmano e dalle Nazioni Unite.

In pratica, un’OLP con Hamas al suo interno è esattamente ciò che serve. Farà rivivere a molti palestinesi l’idea che l’OLP, anche se persegue principalmente risoluzioni diplomatiche, sostiene ancora il diritto alla resistenza, una posizione che molti vedono come vuota retorica nelle rare occasioni in cui Abbas e i suoi alleati la menzionano. Questo darà all’OLP molta più legittimità. E significherà che la politica palestinese più in generale può iniziare ad allontanarsi dalla scelta disperata tra un Fatah debole e corrotto e un Hamas autoritario e islamista. Questi partiti continueranno a rappresentare una parte significativa della politica palestinese, ma ci sarà spazio per altre opzioni, sia all’interno di Fatah e Hamas che al di fuori di essi. 

Il fatto che il riallineamento e la riforma dell’OLP non serviranno a fermare l’assalto di Israele cambia le cose solo se si crede che qualcosa possa fermare l’assalto, a meno che non si eserciti una pressione esterna massiccia e incisiva, che non sembra essere imminente, anche se ci sono stati alcuni segnali di speranza. Non ci sono prove che indichino che Israele si fermerà fino a quando Netanyahu non sarà costretto a lasciare il suo incarico o crederà di essersi assicurato la posizione completando il suo programma genocida. L’unica alternativa a queste possibilità è che gli americani creino abbastanza problemi a Biden e ai Democratici da indurli a interrompere almeno temporaneamente il flusso di armi.

Ma il comportamento barbaro di Israele ha già fatto arrabbiare milioni di persone in tutto il mondo, molte delle quali erano solite sostenere Israele o non gli avevano prestato molta attenzione. Ciò rende questo momento particolarmente opportuno per una leadership palestinese unificata che finalmente si coalizzi e inizi a incanalare il considerevole sostegno popolare di cui gode in tutto il mondo, compresi gli Stati Uniti.

Alcuni potrebbero obiettare che il formato a due stati previsto da questo piano di unità rimane una fantasia. Sono d’accordo. Ma per arrivare a qualcosa di più realistico sarà necessario un importante cambiamento di paradigma che, a sua volta, richiederà una leadership palestinese che includa tutti gli aspetti della società palestinese. Questo piano può fornirlo. Anche in questo caso, non è probabile che abbia successo a causa dei gravi ostacoli che si frappongono sul suo cammino, non ultimo l’inimicizia tra Fatah e Hamas. Ma se si dovesse scommettere sull’esito a lungo termine, un risultato positivo avrebbe probabilità molto alte. Ma in questo momento di mancanza di speranza, è necessario che qualche colpo di fortuna vada a segno. E sperare non fa mai male.

https://mondoweiss.net/2024/02/a-reformed-plo-that-includes-hamas-is-the-only-hope/

Traduzione a cura di AssoPacePalestina

Non sempre AssoPacePalestina condivide gli articoli che pubblichiamo, ma pensiamo che opinioni anche diverse possano essere utili per capire.

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