+972 Magazine, 4 gennaio 2024.
Israele ha ordinato a migliaia di persone di evacuare nella zona di Al-Mawasi, dove ora stanno lottando per trovare cibo, acqua e riparo in mezzo alla guerra e al freddo invernale.
Al-Mawasi è una stretta striscia di terra costiera a Gaza, larga un chilometro e lunga quattordici, che si estende dalla città di Khan Younis fino a Rafah che è la città all’estremo sud. Prima della guerra, l’area ospitava circa 6.000 residenti, per lo più famiglie beduine palestinesi, che si dedicavano principalmente all’agricoltura e alla pesca lungo la costa; per il resto, la terra era in gran parte vuota e non utilizzata.
Ora, invece, Al-Mawasi si è trasformata in un’area densamente popolata, con centinaia di migliaia di palestinesi in fuga dalla feroce guerra di Israele contro la Striscia assediata, bloccati dal freddo invernale e privi delle più elementari risorse per vivere.
Dall’inizio di dicembre, Israele ha chiesto ai palestinesi di evacuare circa il 20% della superficie di Khan Younis, che prima della guerra era abitata da più di 620.000 persone, secondo le Nazioni Unite. Questo si aggiunge agli ordini israeliani, emessi a metà ottobre, per oltre 1 milione di persone nel nord della Striscia di evacuare a sud di Wadi Gaza (Valle di Gaza), portando a sfollamenti di massa da luoghi come Gaza City e il campo profughi di Jabalia.
Ma i palestinesi sfollati ad Al-Mawasi, che era stata designata da Israele come zona umanitaria, non vi hanno trovato alcun riparo o infrastruttura. Al contrario, sono stati costretti a trovare un’area vuota dove poter piantare una tenda, aspettando la fine dei combattimenti e resistendo al clima sempre più freddo. Nel frattempo, la massa di persone che arrivano in questa piccola area continua ad aumentare.
Non è stato possibile confermare il numero esatto di persone che si sono trasferite ad Al-Mawasi nelle ultime settimane, ma la cifra è stimata in circa 300.000 persone. Quasi l’85% della popolazione della Striscia di Gaza – circa 1,9 milioni di persone – è stata sfollata dalle proprie case a partire dal 7 ottobre.
Muhammad Sadiq, 36 anni, prima della guerra viveva nel centro di Khan Younis, ma di recente è fuggito ad Al-Mawasi. “Pensavamo che la nostra zona [a Khan Younis] fosse sicura”, ha detto. ” Durante le guerre passate non abbiamo lasciato la nostra casa. Ma questa volta siamo rimasti scioccati dall’ordine dell’esercito israeliano di evacuare la zona. Mi aspettavo che l’evacuazione riguardasse solo le zone orientali della città, ma l’occupazione ha chiesto di evacuare anche i residenti del centro”.
“Non avevamo un posto dove andare”, ha continuato Sadiq. “Tutti i nostri parenti e amici vivono nella stessa zona, quindi l’unica opzione era andare ad Al-Mawasi. È una terra arida, dove c’è solo sabbia”.
Sadiq ha sottolineato le condizioni di vita in Al-Mawasi che sono inadeguate per le famiglie, soprattutto dopo l’improvviso afflusso di migliaia di persone nella zona. “Abbiamo lasciato la nostra casa piangendo per la sicurezza e il calore che stavamo lasciando, e siamo arrivati in una terra deserta vicino al mare”, ha lamentato. “Abbiamo preso la biancheria da letto necessaria, ma quando siamo arrivati qui era come se fossimo in un deserto vuoto, senza acqua, senza bagni, senza niente”. Sadiq e la sua famiglia hanno montato le loro due tende, una di nylon e l’altra di tela, e hanno costruito un semplice bagno all’interno della tenda per poterlo utilizzare.
“Non posso credere che abbiamo lasciato le nostre case e dormiamo qui, all’aperto e con un freddo estremo”, ha detto. “Ci siamo tutti ammalati, ma non possiamo essere curati perché non possiamo muoverci. La marina israeliana spara bombe anche qui. Non c’è un luogo sicuro a Gaza. Se usciamo, è per cercare di salvare i nostri figli [col cibo e l’acqua che troviamo], più che per noi stessi”.
‘I miei figli andranno a dormire affamati’
Tra i nuovi abitanti dell’area ci sono molti palestinesi fuggiti dal nord della Striscia. Reem Al-Atrash, una madre quarantenne di Beit Hanoun, ha descritto una situazione simile a quella di Sadiq. All’inizio della guerra, lei e la sua famiglia di sei persone sono fuggite a sud verso Khan Younis, rifugiandosi in una scuola dell’UNRWA. Ma poco dopo il loro arrivo, l’esercito israeliano ha ordinato di evacuare anche la loro zona, costringendoli a fuggire un’altra volta, questa volta verso Al-Mawasi.
“Non so cosa sia successo alla mia casa, ma non posso vivere in questo deserto”, ha detto. “Non c’è acqua né cibo. I miei figli vanno a dormire affamati e non so cosa fare per loro. La notte si svegliano tremanti per il freddo. Dico loro che domani torneremo a casa. Siate pazienti, dico. Forse non sono sincera. Ma spero di tornare a casa. Qui nessuno si sente a proprio agio”.
Poiché Al-Mawasi è davvero un’area remota, coloro che attualmente vivono qui faticano ad accedere alle risorse di base – una sfida aggravata dal blocco totale imposto da Israele alle merci che entrano a Gaza, ad eccezione di piccoli rivoli di aiuti umanitari.
“Io faccio il pane con le altre donne, ma poiché qui non c’è molta legna, gli uomini vanno in gruppi a raccogliere quello che possono”, ha detto Al-Atrash. “A volte il pane non è sufficiente e i miei figli vanno a dormire affamati, ma non posso fare nulla per loro. La distanza [dalla città] è molta e avrei bisogno di acqua per lavarmi e per bere. Stiamo cercando di trovare una fonte d’acqua qui, e a volte ne troviamo un po’, ma con grande difficoltà.
“Speriamo che la guerra finisca presto”, ha aggiunto. “Basta con le sofferenze e le ingiustizie”.
Come Al-Atrash, anche Aya Awad, 27enne di Khan Younis, madre di due figli, è stata sfollata due volte negli ultimi tre mesi. “La seconda volta non ho pianto”, ha detto. “Sono rimasta in silenzio di fronte all’orrore di questa guerra, alla sua follia, alla sua oppressione e alle scene spaventose dello sfollamento”.
Anche Awad ha descritto la costante ricerca delle cose più elementari. “Tutti si mettono in fila portando taniche gialle [per l’acqua]. Cercano legna da ardere ma non la trovano. Sono costretti a sradicare vecchi alberi, fronde di palma e pali dell’illuminazione che tanto non servono più a causa dell’interruzione della corrente. Raccolgono anche carte sparse e sacchetti di nylon. Le donne indossano abiti da preghiera e cucinano; gli uomini accendono il fuoco e i ragazzi lo alimentano per mantenere le fiamme. Tutti i membri della famiglia hanno un ruolo per sopravvivere”.
Le sofferenze, nel frattempo, stanno causando un grave tributo emotivo alle famiglie. “Le persone si muovono in modo inconsapevole”, ha detto. “Nessuno conosce la propria strada. Queste strade ci sono estranee: strade vuote e senza edifici. La maggior parte sono terreni agricoli ed ex insediamenti [come Gush Katif, un blocco di insediamenti israeliani smantellato nel 2005].
“Gli sfollati portano con sé le tende, le lenzuola, i vestiti e i dispiaceri e camminano verso l’ignoto, appesantiti da tutte le paure che attraversano le loro menti, dalla sensazione di insicurezza e dal desiderio di sparire da tutto questo scenario”, ha lamentato Al-Atrash. “Come siamo arrivati qui? Siamo solo passanti che vivono i loro incubi prima ancora di sognarli”.
Ruwaida Kamal Amer è una giornalista freelance di Khan Younis.
https://www.972mag.com/al-mawasi-gaza-refugees/
Traduzione a cura di AssoPacePalestina
Non sempre AssoPacePalestina condivide gli articoli che pubblichiamo, ma pensiamo che opinioni anche diverse possano essere utili per capire.
.