Perché le donne in Israele sono terrorizzate

Ago 31, 2023 | Notizie

di Lisa Namdar Kaufman,

Haaretz, 30 agosto 2023.   

Di fronte all’intensificarsi della guerra teocratica per metterci a tacere, spingendoci in fondo all’autobus e fuori dal palcoscenico, le donne in Israele protestano. Cantiamo “non abbiamo paura”, ma siamo impaurite.

Credito: Aron Erlich

Poco dopo essermi trasferita nella città di Pardes Hanna-Karkur, più di dieci anni fa, fui invitata a una festa di Hannukah presso l’asilo pubblico e laico dove era iscritto il mio primogenito.

L’incontro prevedeva l’esibizione di 40 esuberanti bambini di cinque anni, vestiti come gli eroi della storia di Hannukah, i Maccabei. Al centro dell’aula affollata, i ragazzi alzavano spade e scudi giocattolo in segno di trionfo, mentre le ragazze, con sciarpe tintinnanti che giravano sui fianchi, ballavano intorno a loro e si inginocchiavano ai loro piedi.

I genitori erano entusiasti dello spettacolo: le tradizioni di Israele trasmesse ai loro preziosi figli.

Il giorno dopo è arrivata un’e-mail anonima, apparentemente da parte di una madre della classe, che esprimeva il suo disappunto per il fatto che i ruoli dei bambini fossero determinati dal genere. Forse sua figlia voleva essere una combattente? O forse c’erano ragazzi che avrebbero preferito ballare?

La mittente dell’e-mail è stata attaccata. Perché mai la “politica” aveva invaso il più innocente degli eventi, una festa tradizionale? Perché non si riusciva a tenere il femminismo fuori dalla classe dell’asilo? Il vero autore dell’e-mail mi si rivelò in privato: era un padre costernato che aveva erroneamente pensato che il suo messaggio sarebbe stato recepito più facilmente se proveniva da una donna.

Ho pensato a questo episodio mentre mi dirigevo a una protesta domenica sera davanti alla Base 80, la grande base militare all’ingresso della città. Con il titolo “La voce di una donna – è un suo diritto!” la protesta era una chiamata alle armi, o più precisamente, una chiamata al canto. In opposizione alla dichiarazione talmudica secondo cui “la voce di una donna è nudità” – e quindi non dovrebbe essere ascoltata in pubblico, per non sedurre l’ascoltatore (maschio) – gli organizzatori hanno invitato le donne a riunirsi e cantare per protesta.

Di recente, i media hanno dato ampio spazio a una serie di episodi di discriminazione nei confronti delle donne in tutto il Paese. Il caso più recente è avvenuto qui, alla Base 80, dove circa 8.000 soldati all’anno ricevono l’addestramento di base. La settimana scorsa, un gruppo di donne soldato, mentre erano addette ai lavori di cucina, stavano cantando una canzone pop seguendo chi la cantava  alla radio. È stato detto loro di spegnere la radio e di smettere di cantare, perché così facendo avevano offeso diversi soldati maschi religiosi.

Il cielo era rosa quando mi sono unita alle centinaia di donne (e uomini, ma soprattutto donne) che si dirigevano verso i cancelli della base militare. È sempre bello stare con gli altri manifestanti, non ribollire da sola con la mia frustrazione e la mia paura.

Quando sono arrivata, l’atmosfera era festosa, un vecchio sionista classico suonava attraverso gli altoparlanti: “Oh vedrai, vedrai, come sarà bello – l’anno prossimo, l’anno prossimo“. Anche se è un inno familiare e allegro, mi mette in ansia. Per quanto tempo canteremo questa canzone aspettando il prossimo anno?

Manifestanti che reggono uno striscione con scritto “La voce di una donna è un suo diritto” fuori dalla Base 80 di Pardes Hannah, domenica scorsa. Rami Shllush

Una dopo l’altra, le voci femminili sono salite sul palco ai margini di un campo di fronte alla base e hanno cantato a squarciagola e in modo provocatorio. La folla ha applaudito e cantato con loro.

Quando l’animatrice, una giovane donna che si è da poco diplomata, ha annunciato di aver ricevuto un sms dalle soldatesse della base che dicevano di averci sentito cantare, mi sono commossa.

Cosa succede quando si dice a una giovane soldatessa che non può cantare? Che la sua voce è un peso? Che deve stare in silenzio per rispettare la sensibilità degli uomini che la circondano?

Cosa succede quando si dice a una quattordicenne di coprirsi e sedersi in fondo all’autobus, come è stato detto a un gruppo di ragazze alcune settimane fa?

Sono rimasta sbalordita quando ho visto le foto di quelle ragazze nascoste e coperte. La spavalderia di adolescenti sfrontate, per di più israeliane, era stata soffocata.

Come i genitori di quei bambini dell’asilo, le donne israeliane si sono scrollate di dosso il sessismo casuale da un bel po’ di tempo. Spesso le mie domande sono state accolte con una sorta di “pshaw” ebraico, un “chissenefrega”. Ma dove sono le squadre sportive femminili? (Poche e disperse nel paese. Nel 2021, meno del 22% di chi faceva sport dai 7 anni di età in poi erano ragazze o donne). E gli amministratori delegati donna? (Su 125 delle maggiori società israeliane quotate in borsa, c’è solo un amministratore delegato donna).

Qual è la rappresentanza femminile nel settore dell’alta tecnologia per cui Israele è così rinomato? (Si aggira intorno al 30%, senza grandi cambiamenti negli ultimi 30 anni. Nel top management di queste aziende?: il 16%, mentre il 94% del personale amministrativo è femminile). Rappresentanza nella Knesset? (Questi numeri non sono mai stati stellari, ma con il nuovo governo sono scesi in picchiata. Oggi, solo il 27% dei legislatori sono donne e dei 33 ministeri del governo, solo uno – il ministero per l’avanzamento delle donne – è diretto da una donna).

Ma ora “ci siamo svegliate”, come recita un nuovo slogan di protesta. L’essere state spinte in fondo all’autobus e fuori dal palcoscenico, letteralmente, ha fatto sì che molte donne israeliane abbiano piantato a terra i tacchi e dichiarato una linea rossa. Ora basta.

La cantante Shiri Elkabetz è salita sul palco. “Dovremmo essere autorizzate a cantare nelle nostre case. Quando serviamo nell’esercito, la base è la nostra casa”.

La folla canta: “Non smetteremo di cantare!”.

Una bambina alza una bandiera rosa israeliana durante la protesta davanti alla Base 80, domenica scorsa. Rami Shllush

La cantante ha raccontato che da bambina andava in sinagoga a guardare suo nonno, un cantore, che guidava i servizi di preghiera. Cantava insieme a lui, finché non veniva zittita: “Non è bello cantare così, a voce alta”.

Ora suonava una chitarra elettrica e intonava le parole immersa in una luce rosa, e ho pensato a quanto il sessismo israeliano sia inestricabilmente legato alla mancanza di pluralismo religioso, a come molte donne israeliane abbiano semplicemente rifiutato le tradizioni religiose che le hanno messe a tacere piuttosto che insistere su spazi alternativi per la preghiera, o sulla legittimità legale delle correnti non ortodosse dell’ebraismo – le piccole congregazioni disparate al di fuori dell’ortodossia, spesso dominate da immigrati dal Nord America.

Nel rituale che costituisce l’unico modo legale per un ebreo di sposarsi in Israele, la sposa non ha voce. Molte delle donne israeliane laiche che conosco si sono sposate fuori dal Paese o hanno scelto di non sposare mai i loro partner piuttosto che capitolare di fronte all’egemonia ortodossa che ora sta spingendo per ampliare la sua sorveglianza sulle nostre vite.

Le donne che cantavano a squarciagola e ondeggiavano intorno a me hanno dei ricordi legati a queste canzoni. Come immigrata, mi manca quel contesto; a volte non conosco le parole o la melodia. Ma non posso ignorare l’unità che c’è qui, la determinazione, la sensazione collettiva che abbiamo raggiunto il nostro limite di sopportazione.

Tra la folla, ho notato la vice-preside della scuola di legge di Haifa, che ho incontrato mesi fa nel salotto di un vicino, dove aveva tenuto una lezione per spiegare le proposte della revisione giudiziaria promossa dal governo di destra-religioso. Quella sera rideva molto. Era fiduciosa. Non poteva credere che queste proposte sarebbero passate, diceva, sicuramente tutti avrebbero capito quanto sono assurde, come minano così chiaramente la democrazia.

Ho visto anche la dottoressa il cui marito ha inviato quell’e-mail tanti anni fa, quando i nostri figli andavano insieme all’asilo. Sventolava una bandiera israeliana mentre cantava. Ora i nostri figli sono all’ultimo anno delle superiori. Il mese prossimo mio figlio avrà il suo primo colloquio con la commissione di leva.

Quando Miri Aloni, un’icona culturale di un’altra generazione, è salita sul palco, anche lei ha iniziato con una storia. “Ho fatto l’addestramento militare in questa base”. Altre voci dalla folla hanno gridato: “Anch’io!

Manifestanti che chiedono i diritti delle donne davanti alla Base 80 di Pardes Hannah, domenica scorsa. Rami Shlush

Lei era un membro della banda militare, un’istituzione che ha formato molte delle star musicali più popolari del Paese. Prima di un suo spettacolo, ha iniziato a piovere e lei e i suoi compagni sono corsi al riparo. Quando il cielo si è schiarito, hanno cantato a piedi nudi e bagnati fino alle ossa. È stata la prima esibizione di “A Song for Peace””, ha detto, “prima che mettessero il controllo sulle voci”.

Questa è una vecchia immagine di Israele: un Israele legato alla terra, dove le donne erano libere di cantare e la lotta per la pace era parte integrante della missione della nazione.

Ho guardato lo schermo su cui erano proiettati i testi delle canzoni.

“Non dire che il giorno verrà –

portalo quel giorno!”.

Abbiamo cantato “Non abbiamo paura”. È un canto abituale nelle proteste.

Se cantiamo che non abbiamo paura, abbastanza a lungo e a voce alta, ci crederemo? Sarà vero? Perché a me sembra che siamo terrorizzate. Io so di esserlo.

La prossima settimana prenderò un caffè con una vicina ortodossa che dice di volermi incontrare per discutere di questo problema a “cuore aperto”, per arrivare a capirci al di là dei titoli dei giornali e delle dicerie. Ma il mio “cuore aperto” vacilla insieme alla mia pancia piena di rabbia per l’ignoranza e l’ingiustizia al centro di questa guerra alla democrazia, di questa guerra alla libertà, alla speranza di pace – alle donne e alle nostre voci.

Lisa Namdar Kaufman è scrittrice, regista, poetessa e traduttrice. Insegna sceneggiatura al Gotham Writers Workshop e sta lavorando a un volume di poesie.

https://www.haaretz.com/israel-news/2023-08-30/ty-article-opinion/.premium/why-women-in-israel-are-terrified/0000018a-40f1-dbb1-a1ff-40fd7ee90000?utm_source=App_Share&utm_medium=iOS_Native

Traduzione a cura di AssoPacePalestina

Non sempre AssoPacePalestina condivide gli articoli che pubblichiamo, ma pensiamo che opinioni anche diverse possano essere utili per capire.

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