Olivi di Calabria e di Palestina

Set 1, 2023 | Notizie

di Eleonora Petrulli e Daniela Gallo,

31 agosto 2023. 

Il 14 agosto scorso è stata una giornata indimenticabile a Riace nel Villaggio Globale in solidarietà con Mimmo Lucano e con i profughi, organizzata da AssopacePalestina e che ha visto la partecipazione tra gli altri di Francesca Albanese, Relatrice Speciale per le Nazioni Unite sulla situazione nel Territorio Occupato da Israele nel ’67. Eleonora Petrulli che ha partecipato al viaggio di conoscenza in Palestina, in occasione dell’incontro a Riace del 14 agosto “Si parla di Palestina: Prigione a cielo aperto”, ha letto un suo scritto presentato al progetto europeo di scrittura autobiografica “Trajectoires”, che narra da un punto di vista molto personale la comunanza culturale ed emotiva tra Calabria aspromontana e Palestina, così come testimoniato in parallelo dalle immagini della mostra fotografica di Daniela Gallo “Terra di Dove finisce la Terra”. Lo scritto ha suscitato emozioni profonde nelle persone presenti a Riace.

Ve lo proponiamo qui con le foto del fondo di famiglia di Eleonora, scattate da Daniela Gallo.

Non si torna indietro dalla Palestina – Eleonora Petrulli

Mamma e papà hanno piantato un ulivo nel giardino condominiale proprio davanti al balcone, nella casa a Bologna in cui sono emigrati più di 40 anni fa. Ne sono molto fieri e ogni anno raccolgono le olive cercando di non farsi vedere troppo dai vicini. Sono felici del merlo che si posa puntualmente sull’albero, ne parlano come di un ospite gradito che apprezza molto la camera che si è preparata per accoglierlo.

Anche in Calabria, nel terreno di famiglia a Bova, mamma e papà avevano piantato tanti ulivi. Se ne prendevano cura tutte le estati quando scendevamo a trovare le Nonne e tutti i parenti, e papà scendeva anche durante l’anno per raccogliere le olive e portarle al frantoio.

Gli ulivi abbracciano la strada che da Bova Marina sale a Bova, e quando ritorno ogni volta e passo da lì, le foglie si muovono al vento come se salutassero e mi dicessero: “bentornata a casa”.

È stato devastante per mamma e papà quando il fondo ha preso fuoco e l’incendio ha bruciato tutti gli ulivi. Dopo i momenti iniziali di disperazione, si sono fatti nuovamente forza e li hanno ripiantati da capo, guidati dall’antica urgenza di avere sempre degli ulivi da coltivare. Gli ulivi non devono mai mancare. Hanno un riverente rispetto per gli ulivi, le olive e l’olio. Non ci sono molte altre cose materiali più importanti di questa per loro. E la seconda volta che hanno appiccato fuoco agli ulivi che stavano finalmente crescendo, per loro è stato come perdere delle creature appena nate, dopo averle adottate e curate e cresciute e amate. Al punto che per tanti anni non hanno mai più voluto coltivare nulla nel fondo. Neanche volevano sentirlo nominare. Ma dopo parecchi anni, l’amore per la terra e la necessità viscerale di coltivarla hanno fatto riprendere la zappa in mano a mio papà, che ha ripiantato qualche ulivo e questa volta tante pittare, cioè le pale dei fichi d’india, resistenti e indipendenti.

Lo stesso paesaggio, colorato dal contrasto tra il bianco dei sentieri petrosi e il verde degli ulivi, lo stesso attaccamento e affetto verso la vita e la cura per il benessere degli ulivi, l’ho visto in Palestina. Gli ulivi sono membri della famiglia. Sono fratelli adottivi che preferiscono vivere in giardino o sulle colline dietro casa.

Noi non abbiamo mai saputo chi metteva fuoco ai nostri ulivi.

Forse i pastori, per aver più terreno dove far pascolare le capre, forse i gestori delle imprese legate ai CanadAir per creare richiesta e bisogno di intervento laddove non è possibile giungere con il camion dei pompieri. Forse piromani, malati e dipendenti dall’ebbrezza di vedere una scintilla da loro creata, divampare in distruzione a larga scala.

Noi non abbiamo mai saputo chi ha messo fuoco ai nostri cari ulivi, ma si sa chi è che distrugge gli ulivi dei palestinesi. Chi costruisce muri arbitrari in mezzo alle campagne, o tra le case e i campi, con l’intento sadico e perverso di tenere gli ulivi fuori dalla portata di coloro che li hanno piantati, coloro che li curano e li amano da generazioni, da ben prima che arrivasse l’esercito armato e iracondo. Si sa chi è che abbatte i tronchi, spezza i rami e uccide le capre e i loro cuccioli, nella terra che dicono di amare, di voler onorare, e per questo che hanno il diritto di possedere. Un po’ come un ex amante che non accetta la perdita della donna che amava e che ritiene che gli appartenga, e che piuttosto che vederla felice con un altro uomo, preferisce imporle violenza, insultarla, bruciarla, distruggere lei e il nuovo amante e la felicità che hanno creato, soffocare ogni loro speranza e immaginazione di futuro. Se non sei la mia donna, piuttosto preferisco vederti morta. Se non sei la mia terra, piuttosto preferisco vederti distrutta.

Quell’ulivo a Bologna non è mai cresciuto bene come gli ulivi del fondo in Calabria. Le olive sono poche, scarne. Arriviamo a mangiarne qualcuna. Non sono abbastanza nemmeno per offrirle agli ospiti. Mentre gli ulivi in Calabria ci hanno sempre dato olio. Olio che i miei mi inviano anche adesso fino all’appartamentino in cui vivo da emigrata a Marsiglia, con i pacchi, perché non vogliono che usi l’olio comprato. L’olio si usa in tutti i piatti che cuciniamo e che cucino, e avere l’olio buono fa bene, mentre averne uno non buono può fare molto male. E gli olii francesi non reggono il confronto: Voi mèntiri na bella frisa c’u pumadoru e cu l’oggh’i casa? A baguette s’a ponnu teniri iddi.

L’olio è la cosa che più amo dei pacchi che i miei mi inviano, forse la sola a cui tengo veramente. Quando la malinconia di casa, di Italia, di Aspromonte mi prende, apro la bottiglia di olio e annuso. La zaffata è potentissima, dolce e aspra, arriva fino al foro lacrimale dell’occhio, pungente ma piacevole. Inebriante.

Olio che arriva a Marsiglia, passando da Bologna, partendo dalla Calabria. Che mi riporta in un secondo alla Calabria al di là del Mediterraneo. In Palestina. E dalla Palestina, come dalla Calabria, non ci si separa mai veramente.

Non si torna indietro dalla Palestina.

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