In Israele i diritti delle donne in discussione, rischio segregazionismo: l’allarme del New York Times.

inserito dalla redazione ilriformista.it, 13 Agosto 2023.

Questo vagone è riservato agli uomini“. E’ quanto detto a una donna di 40 anni che cercava di salire su un treno a Tel Aviv. L’episodio, raccontato dal New York Times, risale al mese scorso e ha visto protagonisti alcuni uomini di ritorno da una manifestazione a sostegno della coalizione alla guida del governo d’Israele (del Primo Ministro Benjamin Netanyahu) che comprende partiti di estrema destra ed estremisti religiosi, gli ebrei ultraortodossi, che spingono per una maggiore segregazione sessuale e per un ritorno della figura patriarcale.

Riepilogando: a una donna, madre di due figli, è stato impedito di salire su un treno pubblico, ovvero gestito dalle ferrovie israeliane. La donna era in compagnia di una amica e quando hanno chiesto spiegazioni i presenti le hanno invitate ad aspettare il prossimo treno dove “potete sedervi in fondo“.

Sebbene la Corte Suprema abbia stabilito che è contro la legge costringere le donne a sedersi in sezioni separate su autobus e treni, le donne ultraortodosse sono solite salire sugli autobus dei loro quartieri attraverso la porta posteriore e sedersi in fondo. E con un governo a trazione estremista questa pratica sembra diffondersi anche in altre parti di Israele.

Ottenuto il sostegno estremista, Netanyahu ha fatto diverse concessioni che hanno lasciato di sasso gli israeliani laici. Tra queste, le proposte di segregare il pubblico in base al sesso in alcuni eventi pubblici, di creare nuove comunità residenziali religiose, di consentire alle imprese di rifiutarsi di fornire servizi in base alle credenze religiose e di ampliare i poteri dei tribunali rabbinici interamente maschili.

Ma il nuovo ‘credo’ abbraccia anche altre realtà quotidiane. A partire dagli autisti degli autobus che nel centro di Tel Aviv e nel sud di Eilat si sono rifiutati di far salire giovani donne perché ‘colpevoli’ di indossare top o abiti da ginnastica. Degenerazione anche nella città religiosa di Bnei Brak dove il mese scorso uomini ultraortodossi hanno fermato un autobus pubblico e bloccato la strada solo perché alla guida c’era una donna. Anche il servizio nazionale israeliano per le emergenze mediche, per la prima volta, sta separando uomini e donne durante i corsi di formazione dei paramedici.

Una situazione che rischia di degenerare e diventare triste quotidianità in un Paese dove la parità di diritti per le donne è garantita dalla dichiarazione di indipendenza del 1948 e rafforzata da diverse decisioni chiave della Corte Suprema.

“Quello che sta accadendo non è una questione di destra e sinistra: stanno cambiando le regole del gioco e questo avrà un effetto drammatico sulle donne”, ha dichiarato Moran Zer Katzenstein, che dirige Bonot Alternativa, un gruppo pro-democrazia, nonché un gruppo apartitico di organizzazioni femminili. “I nostri diritti saranno danneggiati per primi” sostiene il leader di un gruppo che ha organizzato diverse proteste contro il governo indossando gli stesi abiti della serie televisiva distopica basata sul romanzo di Margaret Atwood “Il racconto dell’ancella”.

Con i partiti estremisti per le donne diventa impossibile candidarsi. Basti pensare che una delle prime proposte di legge presentate dal partito ultraortodosso Shas, a sostegno della colazione di governo, proponeva di imprigionare per sei mesi le donne che avessero visitato il sito sacro del Muro Occidentale a Gerusalemme con abiti “inappropriati” o immodesti. 

Adesso l’ultima minaccia allo status delle donne è una legge proposta dalla coalizione per espandere i poteri dei tribunali rabbinici, che basano le loro sentenze sulla legge religiosa ebraica. Tribunali che già hanno la giurisdizione sul divorzio per tutti gli ebrei in Israele e concedono solo agli uomini il potere di sciogliere formalmente un matrimonio. Le modifiche proposte garantirebbero loro anche una possibile giurisdizione sugli aspetti economici di un divorzio e consentirebbero loro di agire come arbitri in questioni civili come le controversie di lavoro o contrattuali, a condizione che le parti abbiano dato il loro consenso. I critici della proposta di legge sostengono che il consenso non è sempre dato liberamente

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