Perché mi rifiuto di dimostrare a Israele che mio marito è il padre di mio figlio.

di Maysaa Mansour

,www.invictapalestina.org, 8 Agosto 2023.

Ogni volta che mio figlio di pochi giorni sorride, nella sua piccola culla in Alta Galilea, trovo conforto nel credere che veda il sorriso lontano di suo padre. Sfortunatamente, a causa delle politiche discriminatorie di Israele nei confronti di tutto ciò che è palestinese, a suo padre non è permesso di stare con lui fisicamente. Prima che io possa convincermi di questa idea, mia madre viene a parlarmi di varie credenze, come quella secondo la quale quando a questa età un bambino sorride, significa che vede gli angeli che lo custodiscono, si prendono cura di lui e lo amano finché non inizia a distinguere suoni, colori e forme intorno a lui. Tuttavia, nella mia ricca immaginazione, mi piace immaginare mio figlio che vede il bel sorriso di suo padre e sente il tocco gentile della sua mano sulla testa e sul corpo.

Durante tutti i nove mesi di gravidanza, durante i quali sono rimasta separata da mio marito, a cui è stato negato l’ingresso nel Paese solo a causa della sua carta d’identità palestinese, ho sopportato grandi difficoltà. Ogni giorno temevo di non farcela, di non poter sopportare di portare un bambino nella mia pancia mentre suo padre era così lontano. Sapevo che non sarei mai stata in grado di spiegargli che vedevo suo padre solo per pochi giorni, quando lo raggiungevo perchè potesse sentire i movimenti del nostro bambino nella mia pancia,  perché potesse formarsi un’immagine vivida e reale dei giorni in cui suo figlio cresceva lontano da lui e così, in seguito, avremmo potuto raccontare la storia al piccolo Ghassan, venuto al mondo con un’identità frammentata, nato da madre della Galilea e padre di Gaza, e raccontargli come la migrazione, l’esilio e l’alienazione fossero stati l’unico modo per stare insieme

Sotto il governo di estrema destra che oggi governa Israele, la burocrazia non ha facilitato la mia gravidanza. Dopo aver registrato il mio matrimonio negli uffici governativi, l’impiegato del ministero mi ha informato che il governo non avrebbe mai concesso a mio marito il ricongiungimento familiare perché è di Gaza. “Voglio dire, se fosse della Cisgiordania, sarebbe stato possibile”, ha detto. Con quella frase ha sottolineato le distinzioni che Israele ha istituito nelle tre diverse comunità palestinesi.

 Ogni volta che mio figlio di pochi giorni sorride, nella sua piccola culla in Alta Galilea, trovo conforto nel credere che stia vedendo il sorriso di suo padre, che non è in grado di stare fisicamente con lui a causa delle politiche discriminatorie di Israele nei confronti di tutto ciò che è palestinese.

Non è finita qui; ha ulteriormente complicato le cose quando ha chiesto di provare l’identità del padre e cosa garantisce loro che mio marito è il padre del bambino. “Non riconosciamo matrimoni al di fuori di Israele e il tuo certificato di matrimonio da un anno non è più valido e tuo marito non può venire a testimoniare di essere il padre”. Ogni volta che pensavo di aver incontrato gli aspetti più brutti di questo luogo e di averli affrontati con tutte le mie forze, mi rendevo conto che c’era ancora molto che non conoscevo.

 Estraneamento in casa

Numerose mie amiche, venendo a conoscenza della mia gravidanza alla fine del 2022, mi dissero che stare accanto alla madre durante la gravidanza e i primi mesi del parto conta molto di più che stare accanto al marito. Le mie amiche  cercavano di alleviare la tristezza e l’infelicità che mi avevano travolto nell’istante in cui avevo scoperto la mia gravidanza, un momento in cui non potevo avere accanto  mio marito e condividere la gioia con lui. Avevo sempre immaginato questo momento, da quando ci siamo sposati, e ciò nonostante durante le prime fasi del nostro matrimonio l’idea di genitorialità fosse lontana. L’avevo immaginato mentre entrava in casa nostra, e io condividevo la notizia, e versavamo lacrime di gioia e festeggiavamo insieme, poi  andavamo dal medico e vedevamo l’immagine del feto sull’ecografia e sentivamo il suono del suo battito cardiaco per la prima volta, mano nella mano.  Ma nulla di tutto ciò è accaduto. Ho intrapreso questo viaggio da sola, dal Rambam Hospital di Haifa alle cliniche di Akka e Majd Al-Krum, e infine partorendo a Nazareth, mentre dicevo a mio figlio Ghassan, ancora nel mio grembo, che presto ci saremmo riuniti a Baba e che la politica non sarebbe riuscita a separare l’amore e la famiglia per cui avevamo lavorato così duramente.

I muri si sono chiusi su di me durante i primi mesi di gravidanza. Mentre la depressione postpartum è spesso discussa negli studi e nelle campagne di sensibilizzazione, raramente si parla della depressione prenatale, una condizione che  pesso rimane nell’ombra, insieme alle ripercussioni psicologiche sia sulla madre che sul feto. Durante quei mesi, non potei lavorare. Alzarsi dal letto la mattina era una tortura, stavo in bagno tutto il giorno a causa del vomito, non mangiavo, non desideravo caffè o dolci, e pensavo costantemente alla fine della gravidanza. Sarei stata in grado di amare mio figlio nel modo in cui altre donne parlano del loro amore per i loro figli?

La mia camera si era trasformata in un incubo terrificante– la stanza che avevo desiderato per tutta la vita, con una grande libreria, i miei libri ordinati secondo le mie varie letture, un piccolo armadio condiviso da me e mia sorella, mobili bianchi e una luce bianca che rendeva l’atmosfera simile a quella delle  stanze che avevo sempre condiviso con i miei amici sui social media. Ma all’improvviso mi era diventata insopportabile, non mi piaceva il suo odore, la pulivo costantemente e desideravo scappare tra le braccia del mio caro marito Kareem, in una piccola e pittoresca casa nella fredda Europa.

Quando Ghassan nacque, e venne messo sul mio addome e poi sul mio petto, sentii il calore del suo corpo fuori dal mio, e il suo profumo che ricordava un campo di fiori, e la morbidezza del suo corpicino, e tremai per ore. Non piansi e non volli che me lo togliessero dalle braccia , vedevo mia sorella in piedi accanto a me mentre piangeva e piangeva, proprio come mia madre. In quanto a me, rimasi scioccata dall’amore che sentivo traboccare dentro di me, e dal desiderio di vita che mi tornava dopo lunghi mesi in cui avevo desiderato di svanire e scomparire per sempre, in modo che nessuno mi vedesse o mi conoscesse. Provai un desiderio irresistibile di riabbracciare la vita.

Presto ci ritroveremo e la sera parleremo di banalità quotidiane. Ascolteremo musica insieme, scriveremo e leggeremo ad alta voce, terremo la mano del nostro figlioletto e saremo lontani dai checkpoint militari, dagli aerei F-16 e dalle restrittive misure di sicurezza

Storie della buonanotte

Ogni sera mi racconto una favola della buonanotte, che ritrae una famiglia felice che vive una vita normale, senza domande sull’identità, sui luoghi di incontro e sui tanti posti di blocco, una casa dove al mattino entra il sole e la sera entra l’amore, con un cane seduto su una sedia in giardino a guardare gli uccelli migratori in autunno, e un bambino che cresce e gioca in soggiorno  e che non vuole andare a dormire presto per andare a scuola.

Ogni giorno racconto questa storia al mio figlioletto nella sua culla. Gli racconto dei tanti aerei che dovremo prendere per incontrare i suoi nonni, dei posti di blocco e delle politiche che impediranno a suo padre di venire con noi, e delle politiche e degli ostacoli che mi impediranno di essere al fianco di suo padre quando visiteranno la sua famiglia. Forse, crescendo, le domande non lo perseguiteranno come fanno con noi, e lungo il viaggio non perderà la strada.

Conto i giorni tutti i giorni, mettendo una “X” sul calendario ai giorni passati. Mi dico: “Sono passati mesi, è passato un anno, ci rivedremo presto e la sera ci racconteremo le nostre esperienze quotidiane. Parleremo di cose banali, ascolteremo musica insieme, scriveremo e leggeremo. La sera passeggeremo mentre cade una leggera pioggia, tenendo per mano il nostro figlioletto, percorrendo un sentiero lontano dai posti di blocco militari e dagli aerei F-16 e dalle restrittive  misure di sicurezza.

Traduzione di Grazia Parolari “Tutti gli esseri senzienti sono moralmente uguali” -Invictapalestina.org

https://www.invictapalestina.org/archives/49237

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