Festival del Cinema Palestinese. Terra occupata, terra di resistenza

di Nina Chastel,

Orient XXI, 15 luglio 2023. 

A giugno 2023, si è svolta l’ultima edizione del Festival del Cinema Palestinese (FCP) che ha offerto al pubblico una ricca rassegna dal titolo “Su questa terra”. Uno sguardo critico sull’appropriazione coloniale della terra e sul pretesto della salvaguardia ambientale, che ha messo in luce i molteplici significati del termine “terra” oltre ai diversi strumenti di lotta attraverso l’immagine.

Una scena di Foragers di Jumana Manna (2022)

Dal 2015, le Festival Ciné-Palestine, il Festival del Cinema Palestinese, rassegna in collaborazione con Orient XXI, presenta al pubblico il meglio della produzione palestinese. Supportato da un team di volontari, il festival si svolge ogni anno a Parigi, nell’Ile-de-France e, negli ultimi due anni, a Marsiglia. Un vero evento itinerante che mette al primo posto le sperimentazioni cinematografiche contemporanee, ma anche gli archivi, i classici, i documentari e le forme ibride dove il racconto dialoga con l’immagine. Un appuntamento imperdibile che si svolge tra sale cinematografiche, carceri, sale d’essai e cinema all’aperto, ospitando anche cineclub e un concorso… Un festival in continua evoluzione, che si inventa e si reinventa mantenendo la sua linea, ossia quella di promuovere la vitalità del cinema palestinese, la qualità e la diversità delle sue opere audiovisive.

Il tema di quest’anno, “Su questa terra”, è stato ricco di riflessioni: affrontando i temi della tutela dell’ambiente e della colonizzazione, i film in programma, ognuno secondo il proprio stile, hanno gettato uno sguardo lucido sul processo di appropriazione e colonizzazione della terra palestinese. Infatti, tutto ciò che cresce su questa terra è vivo e interagisce in un ecosistema ecologico, economico e culturale che la colonizzazione sta distruggendo, perché il greenwashing, alla fine, serve all’agricoltura industriale e il seme più piccolo può portare in sé il germe della resistenza, una tematica che ha evidenziato i profondi legami che uniscono l’ambiente e la lotta per la libertà.

Dalla Giornata della Terra a Google Earth passando per le piante selvatiche, la sovranità alimentare e le catastrofi climatiche, il festival ha permesso di vedere e ascoltare i molteplici significati che assume in Palestina la parola “terra” e le lotte che evoca, così come le tante forme con cui i registi trattano il tema.

https://youtu.be/_DyuklY6A3U

Mangiare è (già) resistere

I film in programma hanno messo in risalto l’intreccio di ingiustizie sociali e climatiche, di disastri ecologici e politici, denunciando gli argomenti scientifici di un sistema coloniale che si erge a “paladino dell’ambiente” per negare ancora di più la terra al popolo palestinese. Presentato a Parigi e a Marsiglia, il film Foragers (2022) dell’artista visiva e regista d’origine palestinese Jumana Manna mostra dei raccoglitori palestinesi di fronte alla violenza dell’autorità israeliana nei parchi e nelle riserve naturali. Qui, il ricorso alla finzione aiuta a mettere in luce l’agghiacciante racconto di come le pattuglie israeliane perseguitano tutti coloro che, raccogliendo piante selvatiche commestibili, contribuiscono alla conservazione del paesaggio e delle tradizioni culinarie. Colture, inseguimenti in collina, confische, arresti, interrogatori, processi, pene pecuniarie, qui, il ciclo che va dalla terra al piatto è disseminato di insidie e anche mangiare diventa una forma di resistenza. E poiché la realtà è impossibile da filmare, Jumana Manna la mette in scena con una grande sensibilità, al punto tale che il pubblico è sorpreso alla fine di veder menzionare degli attori nei titoli di coda. Il ricorso alla finzione permette di mostrare l’assurdità di una potenza coloniale minacciata dai raccoglitori di akkoubzaatar oltre alla scarsa consistenza degli argomenti ufficiali e alla violenza delle autorità…

La violenza coloniale dietro il pretesto della tutela dell’ambiente

Nascondersi per raccogliere, nascondersi per filmare, aggirare i divieti, resistere: Foragers è un film in cui contenuto e forma rimandano l’un all’altro per raccontare nel modo migliore l’ipocrisia di una violenza coloniale esercitata dietro il pretesto della tutela dell’ambiente, denunciando così i terribili effetti di un sistema dove la tutela della vita diventa pretesto per la sua distruzione.

Visto che le immagini vengono vietate, negate dalle autorità e sono pericolose anche per i protagonisti, la finzione diventa qui lo strumento del documentario. In altri casi, i registi utilizzano immagini d’archivio, come ad esempio, nel cortometraggio Yom al-Ard (Land Day, 2019) di Monica Mauer, con riprese girate nel 1981 durante la quinta Giornata della Terra. Proiettato prima di Foragers, il film torna su quella particolare manifestazione, dove ancora una volta, il significato simbolico della terra pervade ogni lotta.

“Aggirare la censura”

Anche i designi e l’animazione fanno parte dei mezzi che i registi e le registe, a cui viene negato l’utilizzo delle telecamere, usano per raccontare la verità. È il caso del film The Wanted 18 (2014) di Amer Shomali e Paul Cowan, co-registi, che racconta, attraverso i disegni animati e la plastilina, le ricostruzioni e le interviste, la storia vera delle mucche del villaggio di Beit Sahour e delle lotte per l’autonomia alimentare.

Altri usano immagini quotidiane, ma molto significative: quelle di cellulari, tv, video, telecamere di sorveglianza o satelliti. Nel bellissimo cortometraggio sperimentale Your father was born 100 years, and so was the Nakba (2017), di Razan Al-Salah, una nonna ritorna sui luoghi della sua infanzia a Haifa con l’unico mezzo possibile: la street view di Google Maps. Il racconto è affidato a una voce fuori campo: “Al posto di quella rotonda, c’era un pozzo”. È sempre la voce off che si rivolge alle sagome immobili dei turisti, che cerca nella folla qualche volto familiare, che racconta la storia: negare le immagini significa anche togliere ai palestinesi la propria famiglia e la propria memoria. Il cinema diventa soprattutto un modo, nonostante tutto, di esprimersi al di là dei divieti, di aggirare la censura per raccontare una terra confiscata, minacciata, calpestata da un sistema coloniale che nega paesaggio e immagini a un popolo che resiste.

Nina Chastel,laureata presso l’Istituto di ricerca e studi del Medio Oriente Mediterraneo (iReMMO)

Traduzione dal francese di Luigi Toni

https://orientxxi.info/lu-vu-entendu/festival-del-cinema-palestinese-terra-occupata-terra-di-resistenza,6630

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