di Ben White,
The New Arab, 17 luglio 2023.
Israele si basa spesso sulla mancanza di prove filmate per affermare di aver “neutralizzato” dei terroristi quando il suo esercito spara a minorenni disarmati. L’uccisione del sedicenne Abdulrahman Hasan Ahmad è stata ripresa dalle telecamere a circuito chiuso, ribaltando questa affermazione.
L’invasione da parte dell’esercito israeliano di Jenin e del suo campo profughi, avvenuta il 3-5 luglio, è stata estremamente violenta. 12 palestinesi sono stati uccisi, mentre più di 140 sono stati feriti. Con l’impiego di ingenti forze di terra e di droni armati, l’assalto militare ha danneggiato 460 unità abitative, tra cui 23 case distrutte e altre 47 inabitabili. Ci sono stati danni significativi alle infrastrutture civili vitali e la clinica UNRWA del campo ha subito “danni ingenti”.
Mentre l’assalto si svolgeva, il materiale di pubbliche relazioni dell’esercito israeliano distribuito ai media sottolineava che l’invasione era incentrata e giustificata dalla necessità di colpire i “terroristi” con base nel campo profughi di Jenin. Man mano che le vittime aumentavano e l’entità della distruzione diventava chiara, l’esercito israeliano si è concentrato su un messaggio chiave: non sono stati uccisi non combattenti.
Il 4 luglio, tuttavia, mentre era in corso l’offensiva, Defence for Children International – Palestine (DCI-P) ha rilasciato una dichiarazione secondo cui un cecchino israeliano aveva ucciso il sedicenne Abdulrahman Hasan Ahmad Hardan. Il ragazzo è stato colpito alla testa con munizioni vere a metà giornata, mentre si trovava di fronte all’ospedale Al-Amal. Il DCI-P ha affermato chiaramente che Abdulrahman “era disarmato e non c’erano scontri tra le forze israeliane e i palestinesi armati nella zona quando gli hanno sparato”.
Il giorno successivo, l’esercito israeliano si è ritirato, continuando a dichiarare ai media di tutto il mondo che durante l’invasione non era stato ucciso nemmeno un non combattente.
Pochi giorni dopo, il 9 luglio, Catherine Philp, esperta corrispondente estera del Times, ha pubblicato un reportage straordinario. Non solo i filmati delle telecamere a circuito chiuso confermavano che Abdulrahman era stato ucciso mentre era disarmato, ma l’esercito israeliano aveva deliberatamente cercato di fuorviare i giornalisti. Due giorni dopo, Tom Bateman della BBC hadato seguito al servizio confermando il pezzo di Philp e facendo riferimento anche a un secondo video, che mostrava i momenti immediatamente successivi allo sparo – anche in questo caso, senza armi visibili nell’area in cui Hardan è stato colpito.
Il vergognoso omicidio in pieno giorno di un minorenne disarmato e i tentativi delle autorità di occupazione israeliane di ingannare e giustificare retroattivamente l’uccisione rappresentano un caso esemplare significativo, anche perché, purtroppo, è improbabile che si tratti dell’ultimo omicidio con tentativo di insabbiamento di questo tipo.
Secondo il Times, il portavoce dell’esercito israeliano, il tenente colonnello Richard Hecht, ha fatto tre affermazioni quando gli è stato chiesto dell’uccisione di Abdulrahman, tutte prima di aver visto le telecamere a circuito chiuso. Primo, che Abdulrahman “non era un minore”; stranamente, Hecht ha fatto questa affermazione nonostante credesse che Abdulrahman avesse 17 anni. Ne aveva 16, ma in ogni caso era legalmente un minorenne. In secondo luogo, Hecht ha indicato come prove i post sui social media della Jihad Islamica “che rivendicano Abdulrahman come un loro combattente”. Infine, alla domanda diretta se Abdulrahman “fosse stato armato”, il portavoce militare ha risposto “sì”, con “un fucile automatico”.
Nel frattempo, la BBC ha riportato i commenti rilasciati da Hecht la settimana scorsa in merito alle vittime. “Ci sono state 12 persone uccise, ognuna di esse era direttamente coinvolta nel terrorismo”, aveva detto. “Un 17enne può essere considerato un minorenne, ma impugna armi e spara… Possiamo mostrare queste prove. Abbiamo foto di tutti loro e informazioni sul loro coinvolgimento”.
Poi, in una nuova dichiarazione fornita alla BBC, l’esercito israeliano ha aggiunto un’ulteriore, ridicola affermazione: non era nemmeno certo che il video mostrasse effettivamente l’uccisione di Abdulrahman. In modo inquietante, il portavoce ha poi attaccato indirettamente il rapporto del Times, che ha accusato di aver “svalutato la rivendicazione di responsabilità della Jihad Islamica per il terrorista ‘neutralizzato’ e la sua associazione con l’organizzazione terroristica”. Così, raddoppiando la posta, e in possesso dei filmati delle telecamere a circuito chiuso, l’esercito israeliano ha descritto un adolescente colpito alla testa da uno dei suoi cecchini come un “terrorista neutralizzato”.
Abdulrahman è stato ucciso dall’esercito di occupazione in un modo simile a quello in cui sono stati uccisi molti palestinesi nel corso degli anni, compresi i sanguinosi sei mesi del 2023 fino ad oggi. La maggior parte delle volte, l’esercito israeliano rilascia una dichiarazione di circostanza, dicendo che le truppe sono state sottoposte a fuoco e hanno risposto al fuoco – a volte aggiungendo “sono stati rilevati dei colpi”.
Questo è tutto ciò che il portavoce dell’esercito pubblica di solito, e raramente gli viene chiesto di spiegare o approfondire le circostanze specifiche in cui un palestinese è stato ucciso.
Alcuni degli uccisi erano ovviamente membri di gruppi armati, e la maggior parte di essi è stata colpita a morte mentre opponeva resistenza alle forze israeliane che facevano irruzione nelle città e nei campi profughi palestinesi. Ma molti palestinesi uccisi dall’esercito non erano armati quando sono stati colpiti.
In questi casi, i militari, i giornalisti israeliani o i social media pro-Israele pubblicano spesso foto che ritraggono l’individuo ucciso in posa con una pistola o con le insegne di una fazione in una data sconosciuta e in un contesto non specificato. Allo stesso modo, quando le fazioni palestinesi rivendicano qualcuno, questo viene preso senza esitazione (o almeno viene presentato come tale) come “prova” conclusiva del presunto coinvolgimento di qualcuno in attività armate (compreso, si sottintende, il momento in cui è stato ucciso).
Ma è tutto fumo e niente arrosto. Come ha dichiarato al Times Omar Shakir, direttore di Israele-Palestina di Human Rights Watch, “la rivendicazione di un’affiliazione faziosa da parte di un gruppo palestinese non è sufficiente a giustificare legalmente un’uccisione da parte delle forze israeliane, secondo la legge internazionale sui diritti umani applicabile in Cisgiordania”. Ha aggiunto: “La determinazione della legalità in questo caso si basa sul decidere se la persona rappresentava una minaccia imminente per la vita quando è stata colpita mortalmente. Le fazioni palestinesi affermano che gli individui erano affiliati, indipendentemente dal fatto che facessero parte di un gruppo armato o fossero coinvolti in combattimenti quando sono stati uccisi”.
È questa determinazione della legalità che l’esercito israeliano e gli attori della disinformazione sui social media vogliono oscurare. Nel caso dell’uccisione di Abdulrahman, il portavoce dell’esercito israeliano ha inizialmente dichiarato ai giornalisti che l’adolescente aveva un’arma quando gli hanno sparato. Non è così, ma nella maggior parte dei casi non ci sono telecamere a circuito chiuso con cui confutare l’affermazione del portavoce. Quando sono emerse prove evidenti che Abdulrahman era disarmato, l’esercito si è concentrato interamente su una presunta affiliazione di fazione, rifiutata dalla sua famiglia e per la quale l’esercito non ha alcuna prova indipendente – e che, anche se fosse vera, non cambierebbe l’illegalità di sparare alla testa di un minore disarmato.
È una cosa da ricordare ogni volta che l’esercito israeliano afferma di aver risposto al fuoco di uomini armati, o dice ai giornalisti che il giovane a cui i suoi soldati hanno sparato durante un raid era un “terrorista”. La denuncia di questi crimini e dei tentativi di insabbiamento non avrà alcun impatto sull’impunità sistematica dell’esercito israeliano, ma tale documentazione è una parte vitale per dimostrare il tentativo di disumanizzare i palestinesi sotto occupazione militare e per garantire la responsabilizzazione internazionale.
Ben White è scrittore, analista e autore di quattro libri, tra cui “Cracks in the Wall: Beyond Apartheid in Palestine/Israel”. Seguitelo su Twitter: @benabyad
https://www.newarab.com/opinion/how-israeli-army-justifies-killing-palestinian-children
Traduzione a cura di AssoPacePalestina
Non sempre AssoPacePalestina condivide gli articoli che pubblichiamo, ma pensiamo che opinioni anche diverse possano essere utili per capire.
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