Cina e Palestina: No alla ‘gestione frammentaria della crisi’.

Giu 14, 2023 | Notizie

di Ramzy Baroud,

Palestine Chronicle, 7 giugno 2023.    

Considerando l’importanza unica di Washington per Israele, da un lato, e l’importanza del mondo arabo-musulmano per la Cina, dall’altro, è facile prevedere il futuro.

L’Ambasciatore cinese presso le Nazioni Unite Geng Shuang. (Foto: via sito web delle Nazioni Unite)

Le osservazioni dell’ambasciatore cinese alle Nazioni Unite, Geng Shuang, sulla situazione nella Palestina occupata, il 24 maggio, sono state impeccabili, in termini di coerenza con il diritto internazionale.

Rispetto alla posizione degli Stati Uniti, che percepiscono l’ONU, e in particolare il Consiglio di Sicurezza, come un campo di battaglia per difendere gli interessi di Israele, il discorso politico cinese riflette una posizione legale basata su una profonda comprensione delle realtà sul terreno.

Spiegando in dettaglio il pensiero cinese durante un “Briefing sulla situazione in Medio Oriente, inclusa la questione della Palestina”, Geng non ha usato mezzi termini. Ha parlato con forza della necessità “insostituibile” di una “soluzione completa e giusta”, che sia basata sulla fine delle “provocazioni” di Israele a Gerusalemme e sul rispetto dei diritti dei “fedeli musulmani” e della “Custodia della Giordania” nei luoghi santi della città.

Ampliando l’elenco dei motivi alla base delle ultime violenze in Palestina e della guerra israeliana del 9 maggio a Gaza, Geng ha continuato a dichiarare una posizione che sia Tel Aviv che Washington trovano assolutamente discutibile. Ha condannato senza mezzi termini l’”espansione illegale degli insediamenti (ebraici israeliani)” nella Palestina occupata e l’”azione unilaterale” di Israele, esortando Tel Aviv a “fermare immediatamente” tutte le sue attività illegali.

Geng ha poi parlato di questioni che sono state relativamente ignorate, tra cui “la situazione dei rifugiati palestinesi”.

In questo modo, Geng ha enunciato la visione politica del suo Paese in merito ad una soluzione giusta in Palestina, basata sulla fine dell’occupazione israeliana, sull’arresto delle politiche espansionistiche di Tel Aviv e sul rispetto dei diritti del popolo palestinese.

Ma questa posizione è nuova?

Se è vero che le politiche della Cina sulla Palestina e su Israele sono state storicamente coerenti con il diritto internazionale, negli ultimi anni la Cina ha cercato di ritagliarsi una posizione più ‘equilibrata’, che non impedisca il crescente commercio israelo-cinese, in particolare nel settore della tecnologia avanzata dei microchip.

Tuttavia, l’affinità Cina-Israele è motivata da qualcosa di più del semplice commercio.

Sin dal suo lancio ufficiale, la Belt and Road Initiative (BRI) della Cina è stata la pietra angolare delle prospettive globali di Pechino. L’enorme progetto coinvolge quasi 150 paesi e mira a collegare l’Asia con l’Europa e l’Africa attraverso reti terrestri e marittime.

Grazie alla sua posizione sul Mar Mediterraneo, l’importanza strategica di Israele per la Cina, che da anni desidera accedere ai porti marittimi israeliani, è raddoppiata.

Come prevedibile, tali ambizioni hanno suscitato grande preoccupazione a Washington, le cui navi militari attraccano spesso al porto di Haifa.

Washington ha ripetutamente messo in guardia Tel Aviv dalla sua crescente vicinanza a Pechino. Il Segretario di Stato americano Mike Pompeo, nel marzo 2019, si è spinto fino ad avvertire Israele che, finché Tel Aviv non rivaluterà la sua cooperazione con la Cina, gli Stati Uniti potrebbero ridurre “la condivisione di intelligence e la reciproca collocazione di strutture di sicurezza”.

Apprezzando pienamente l’attuale, ma anche il futuro potere globale della Cina, Israele ha cercato di trovare un equilibrio che le permettesse di mantenere la sua ‘relazione speciale’ con gli Stati Uniti, pur beneficiando finanziariamente e strategicamente di una sua vicinanza alla Cina.

Questo equilibrismo di Israele ha incoraggiato la Cina a tradurre il suo crescente potere economico in Medio Oriente anche in un investimento politico e diplomatico. Ad esempio, nel 2017, la Cina ha offerto un piano di pace – inizialmente formulato nel 2013 – chiamato “Proposta in quattro punti”. Il piano offriva la mediazione cinese in sostituzione di quella faziosa degli Stati Uniti e, in ultima analisi, in sostituzione del fallito ‘processo di pace’.

La leadership palestinese ha accolto con favore il coinvolgimento della Cina, mentre Israele ha rifiutato di impegnarsi, causando imbarazzo al governo cinese che insiste sul rispetto e sul riconoscimento della sua crescente importanza in ogni arena.

Se all’epoca atti di equilibrio nella geopolitica erano possibili, la guerra Russia-Ucraina ha posto fine a tutto questo. La nuova realtà geopolitica può essere espressa nelle parole di un ex diplomatico italiano, Stefano Stefanini. L’ex ambasciatore italiano presso la NATO ha scritto in un articolo su La Stampa che “l’equilibrio internazionale è finito” e “non ci sono reti di sicurezza”.

Ironicamente, Stefanini si riferiva alla necessità dell’Italia di scegliere tra l’Occidente e la Cina. La stessa logica può essere applicata anche a Israele e alla Cina.

Poco dopo che era riuscita a concludere un accordo epocale tra Arabia Saudita e Iran il 6 aprile, la Cina ha nuovamente ventilato l’idea di mediare la pace tra Palestina e Israele. Il nuovo Ministro degli Esteri cinese, Qin Gang, secondo quanto riferito, si è consultato con entrambe le parti sui “passi per riprendere i colloqui di pace”. Ancora una volta, i palestinesi hanno accettato, mentre Israele ha ignorato l’argomento.

Questo spiega in parte la frustrazione della Cina nei confronti di Israele e anche degli Stati Uniti. In quanto ex ambasciatore della Cina a Washington (2021-23), Qin deve conoscere l’innata parzialità degli Stati Uniti nei confronti di Israele. Questa consapevolezza è stata espressa dal portavoce del Ministero degli Esteri cinese, Hua Chunying, durante l’ultima guerra israeliana a Gaza.

“Gli Stati Uniti dovrebbero rendersi conto che le vite dei musulmani palestinesi sono altrettanto preziose”, ha detto Hua il 14 maggio.

Una semplice analisi del linguaggio cinese in merito alla situazione in Palestina chiarisce che Pechino vede un legame diretto tra gli Stati Uniti e la continuazione del conflitto, o il fallimento nel trovare una giusta soluzione.

Questa convinzione può essere desunta anche dalle ultime osservazioni dell’Ambasciatore Geng al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, dove ha criticato la “gestione frammentaria della crisi”, un riferimento diretto alla diplomazia statunitense nella regione, offrendo un’alternativa cinese che si basa su una “soluzione complessiva e giusta”.

Altrettanto importante è il fatto che la posizione cinese sembra essere intrinsecamente legata a quella dei Paesi Arabi. Più la Palestina è al centro del discorso politico arabo, maggiore è l’enfasi che la questione riceve nell’agenda della politica estera cinese.

Nel recente Vertice Arabo tenutosi a Gedda, i governi arabi hanno deciso di dare priorità alla Palestina come causa araba centrale. Gli alleati, come la Cina, con grandi e crescenti interessi economici nella regione, hanno immediatamente preso nota.

Tutto questo non deve far pensare che la Cina interromperà i suoi legami con Israele, ma certamente indica che la Cina rimane impegnata nella sua posizione di principio sulla Palestina, come ha fatto nel corso dei decenni.

I rapporti tra Cina e Israele affronteranno presto la cartina di tornasole delle pressioni e degli ultimatum degli Stati Uniti. Considerando l’importanza unica di Washington per Israele, da un lato, e l’importanza del mondo arabo-musulmano per la Cina, dall’altro, è facile prevedere il futuro.

A giudicare dal discorso politico della Cina sulla Palestina – un discorso situato all’interno delle leggi internazionali e umanitarie – sembra che la Cina abbia già fatto la sua scelta.

Ramzy Baroud è un giornalista e direttore di The Palestine Chronicle. È autore di sei libri. Il suo ultimo libro, coeditato con Ilan Pappé, è “La nostra visione della liberazione: I leader e gli intellettuali palestinesi impegnati parlano”. Il Dr. Baroud è un ricercatore senior non residente presso il Center for Islam and Global Affairs (CIGA). Il suo sito web è www.ramzybaroud.net

Traduzione a cura di AssoPacePalestina

Non sempre AssoPacePalestina condivide gli articoli che pubblichiamo, ma pensiamo che opinioni anche diverse possano essere utili per capire.

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1 commento

  1. Gianpiero

    Perchè non ricordate a Baroud di ricordare a Geng Shuang che pure le vite dei mussulmani iugiuri contano.

    Rispondi

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