di Alain Gabon,
Middle East Eye, 8 giugno 2023.
Mentre si affievoliscono le speranze per una soluzione a due Stati, sembra che i palestinesi siano stati abbandonati dalla comunità internazionale.
Il capolavoro Carlos del regista francese Olivier Assayas ci ricorda quanto fosse importante, da un punto di vista simbolico, geopolitico e internazionale, la lotta per la liberazione della Palestina negli anni Settanta e Ottanta. Era una causa che infiammava l’immaginario in tutto il mondo.
In questo 75° anniversario della Nakba, il mondo descritto nel suo film – l’atmosfera politica, gli intensi e diffusi sentimenti pro-palestinesi e la centralità, reale o percepita, della lotta palestinese – sembra essere in gran parte evaporato, al punto che è legittimo chiedersi se la Palestina sia ancora una ‘causa celebre’.
È ancora un fattore importante nelle relazioni internazionali? Se sì, come? e se no, perché?
La risposta alla prima domanda sembra essere negativa. L’occupazione israeliana è più dura che mai. Il nuovo governo di coalizione di Israele, il più estremo nella storia della nazione, è controllato da suprematisti ebrei e fanatici religiosi. Israele sta intensificando la colonizzazione illegale della terra palestinese attraverso la brutale violenza del governo e la violenza dei coloni, mentre attacca lo stato di diritto e persino il suo proprio status quo.
Israele è un Paese colonialista, uno dei pochi rimasti sulla terra. È anche uno stato di apartheid che mostra il massimo disprezzo per le risoluzioni delle Nazioni Unite e anche per i minimi standard di comportamento civile. E gli Stati Uniti, suo partner nel crimine, gli permettono di godere di una continua impunità.
Anche se la situazione continua a peggiorare, i governi occidentali hanno aumentato la loro cooperazione e il loro sostegno a Israele. Ormai dovrebbe essere chiaro che non c’è speranza che gli Stati Uniti esercitino una pressione reale e duratura su Israele affinché cambi rotta.
Lo stesso si può dire di altri stati occidentali che non sembrano disposti a intraprendere azioni concrete contro Israele, come la cessazione di aiuti e cooperazione, o anche solo a minacciare di farlo. Il massimo che paesi come Francia, Gran Bretagna, Germania, Irlanda e altri fanno è un’adesione puramente verbale alla soluzione dei due Stati.
Impatto zero
Queste dichiarazioni prive di significato non hanno avuto alcun impatto sulle tre principali parti coinvolte: Israele, Stati Uniti e Palestinesi. Né hanno avuto alcun effetto sulla situazione sul terreno, caratterizzata da una colonizzazione in continua espansione che ha già ridotto quasi a zero quello che avrebbe dovuto essere un futuro stato palestinese, e hanno avuto ancora meno influenza sulla ricerca di una soluzione politica a lungo termine.
Questo mix di passività complice, vigliaccheria sconcertante e ipocrisia è oggi ancora più crudamente visibile, in quanto si pone in netto contrasto con il fronte determinato che l’Occidente ha unanimemente opposto all’invasione russa dell’Ucraina. Quando si tratta della soppressione e dell’oppressione del popolo palestinese che dura da decenni, questa determinazione svanisce istantaneamente.
Di recente, l’Assemblea Nazionale francese ha bocciato una risoluzione che condannava il regime di apartheid di Israele, con politici sia di destra che di sinistra che si sono uniti per respingere il testo.
La Francia, che un tempo godeva di rispetto, empatia e ammirazione in tutto il mondo arabo grazie alle sue coraggiose posizioni su Israele e alla sua opposizione all’invasione dell’Iraq da parte degli Stati Uniti nel 2003, ora sembra fare di tutto per favorire Israele, attuando politiche anti-palestinesi in patria, reprimendo i gruppi pro-palestinesi, criminalizzando le campagne di boicottaggio e equiparando l’antisionismo all’antisemitismo ai livelli più alti dello stato.
Più Israele diventa estremista, antidemocratico razzista, violento e oppressivo, più riceve il sostegno incondizionato dell’Occidente.
Per quanto riguarda i palestinesi, nonostante abbiano ricevuto alcuni aiuti umanitari che rappresentano una frazione di quelli dati all’Ucraina in un solo anno, sono stati praticamente abbandonati dall’Occidente, che ha rinunciato alla soluzione dei due Stati, anche se i diplomatici continuano flebilmente a invocarla.
Fatti sul terreno
Salvo rare eccezioni, gli Stati arabi sembrano aver abbandonato la causa palestinese, per due ragioni principali: in primo luogo, la consapevolezza che la soluzione dei due Stati è morta, e con lei è morto il sogno della statualità palestinese che per lungo tempo ha ispirato l’approccio della comunità internazionale al conflitto israelo-palestinese.
Attraverso i fatti compiuti sul campo, Israele è riuscito a creare e imporre la realtà di uno stato unico così esteso e radicato che è difficile vedere come la situazione possa cambiare. Gli israeliani traggono vantaggio da questa realtà di stato unico e si sono sentiti a proprio agio con lo status quo, vivendo in relativa sicurezza dietro le mura della Fortezza Israele. I palestinesi, che hanno perso la fiducia nelle loro autorità politiche e nella “comunità internazionale”, si sono ritrovati con poche opzioni, se non quella di riprendere la lotta armata nella speranza di spingere per un compromesso più equo.
Questa tentazione di abbandonare la soluzione dei due Stati è comprensibile: a 75 anni dalla Nakba, il mondo non si è certo avvicinato a quella soluzione che oggi sembra più lontana che mai. L’entusiasmo generato dagli Accordi di Oslo è ancora più lontano. Stanchezza e disperazione si sono ormai insediate.
Da anni, molti esperti di Medio Oriente hanno rinunciato alla possibilità di una soluzione a due Stati, suggerendo che non è più possibile e che il futuro più probabile è la continuazione dell’apartheid. Queste le parole dell’analista Nathan J. Brown: “È l’ora di ammettere ciò che la maggior parte degli osservatori già sa: il conflitto israelo-palestinese, che i diplomatici hanno affrontato per mezzo secolo, è finito. Non è che sia stata trovata una soluzione. È proprio il contrario: tutte le ingiustizie e le insicurezze che affliggono gli abitanti della regione tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo sono ormai così profondamente radicate nella vita quotidiana che nessun quadro diplomatico può ora risolverle”.
A peggiorare ulteriormente una prospettiva desolante, nessuna delle alternative alla soluzione dei due Stati è accettabile per la maggioranza degli israeliani e dei palestinesi.
Il fallimento, la rivalità e la disunione degli Stati arabi, il sostegno incondizionato degli Stati Uniti a Israele, la debolezza e la passività degli europei, il fallimento della leadership palestinese e la determinazione di Israele a estendere la sua colonizzazione e oppressione dei palestinesi hanno distrutto la possibilità di una soluzione a due Stati.
La situazione appare oggi intrattabile, con il rischio di una nuova intifada o di nuove ondate di rappresaglie palestinesi: l’arma dei deboli contro la violenza dei forti, per mancanza di alternative.
Normalizzazione di Israele
La seconda ragione principale per cui gli Stati arabi sembrano aver rinunciato alla causa palestinese è anch’essa di tipo strutturale, legata alla normalizzazione in corso delle relazioni tra ex avversari regionali.
In questa nuova era geostrategica di pragmatismo in nome dei propri interessi nazionali, la Palestina non è una priorità, anzi spesso rappresenta un ostacolo e un imbarazzo. È una vittima di questa serie di riavvicinamenti, ricalcoli e ristrutturazioni strategiche.
Questa nuova tendenza è rappresentata al meglio dall’accordo Iran-Arabia Saudita mediato dalla Cina, e dagli Accordi di Abramo; quest’ultimo ha saputo combinare abilmente bastone e carota e negli ultimi anni si è esteso anche ai non firmatari attraverso visite di alto profilo, accordi e partnership di ogni tipo con Israele. Questa tendenza non è affatto limitata alla regione mediorientale, come dimostra l’interesse dell’India verso Israele. Tutto ciò funziona come un potente disincentivo per Israele a fare qualcosa di diverso nei confronti dei palestinesi.
Dato che Israele può continuare a colonizzare, occupare e brutalizzare i palestinesi, normalizzando al contempo le relazioni con i suoi ex avversari arabi e integrandosi finalmente nella regione – e ricevendo anche l’elogio poetico della massima autorità dell’UE – il chiaro messaggio è che Israele può avere la botte piena e la moglie ubriaca.
Le tendenze sopra citate hanno essenzialmente relegato la Palestina a un non-fattore nel nuovo panorama internazionale. Ma ci può essere anche una sfumatura positiva in questa valutazione pessimistica.
Come ci ricorda il professore Hamid Dabashi, la causa palestinese risuona ancora nella coscienza globale come “un esempio di lotte globali più ampie contro l’occupazione coloniale e l’ingiustizia”. Questo movimento di solidarietà popolare limita di fatto il disinteresse per la causa palestinese causato dalla normalizzazione con Israele, impedendo così la totale integrazione regionale e internazionale di Israele, nonostante i progressi reali compiuti di recente verso questo obiettivo.
Finché continuerà l’oppressione e la colonizzazione della Palestina, Israele rimarrà in gran parte uno stato paria, una delle nazioni meno popolari del pianeta. Anche in Paesi come gli Stati Uniti, un numero sempre maggiore di democratici si schiera con la Palestina piuttosto che con Israele. C’è stata anche una spinta contro il processo di normalizzazione di Israele, che sta incontrando i suoi limiti come nel caso dell’Arabia Saudita.
Soprattutto, l’opinione pubblica araba continua a rifiutare la normalizzazione finché i palestinesi non avranno un proprio stato. Per gli “arabi di strada”, la Palestina rimane una causa sacra, forse l’unica che unisce le persone al di là di confini, nazioni, culture e differenze. A differenza dei loro regimi, essi non sono affatto disposti a lasciare che Israele abbia la botte piena e la moglie ubriaca alle spese dei loro fratelli palestinesi.
Alain Gabon è professore associato di studi francesi e presiede il Dipartimento di lingue e letterature straniere della Virginia Wesleyan University di Virginia Beach, USA. Ha scritto e tenuto numerose conferenze negli Stati Uniti, in Europa e altrove sulla cultura francese contemporanea, la politica, la letteratura e le arti e, più recentemente, sull’Islam e i musulmani. I suoi lavori sono stati pubblicati in diversi Paesi su riviste accademiche, gruppi di studio e media tradizionali e specializzati.
https://www.middleeasteye.net/opinion/palestine-why-world-abandoned
Traduzione a cura di AssoPacePalestina
Non sempre AssoPacePalestina condivide gli articoli che pubblichiamo, ma pensiamo che opinioni anche diverse possano essere utili per capire.
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