di Itay Mashiach,
Haaretz, 19 maggio 2023.
Samira Azzam ha sfidato la tradizione fondando un partito che presentava per la prima volta una lista di candidati interamente femminile per un consiglio locale di una città drusa. Il suo risultato, e quello di altri politici locali drusi e arabi, è il frutto di un movimento di base.
“All’inizio non capivo quanto fosse importante la nostra storia”, dice Samira Azzam, 58 anni, parlando dalla sua casa nella città drusa di Isfiya, a sud di Haifa. È facile sprofondare in uno dei divani morbidi e gonfi del suo ampio soggiorno, e sprofondare anche nella sensazione che sia impossibile cambiare qualcosa: la discriminazione contro i drusi in generale, la discriminazione contro le donne e la politica corrotta nella comunità. Ma Azzam, dal canto suo, siede eretta, spara una serie di dichiarazioni, parla del suo lavoro con il fuoco negli occhi e non si ferma un attimo per riprendere fiato.
Nel 2017, Azzam ha fondato un movimento femminile chiamato I Am Isfiya, che per la prima volta in una località drusa ha presentato una lista di sole donne per le elezioni comunali dell’anno successivo. Lei stessa ha vinto un seggio per la lista Nuova Isfiya creata dal suo movimento; ora ricopre il ruolo di vice-presidente del consiglio comunale e non ha intenzione di riposare sugli allori. Tanto più che la prossima tornata di elezioni municipali in Israele si terrà in ottobre.
“Bisogna capire che il coinvolgimento delle donne in politica non è una cosa che succede ovunque” nella comunità drusa, dice. “C’è paura. Anche quando le donne hanno le capacità, non hanno il coraggio di uscire, parlare in pubblico e fare qualcosa, perché le strutture tradizionali sono così radicate e soffocanti. Poi siamo arrivate noi, poche donne che credevano in quello che stavamo facendo, e siamo andate avanti con tutte le nostre forze, senza sapere come avrebbe reagito la gente. E all’improvviso ci siamo ritrovate come un animale vivo e vegeto, che agisce e fa vedere chi è”.
In un momento in cui il pessimismo sembra prevalere nella società drusa e in Israele in generale, e l’essere politicamente attivi richiede una grande forza d’animo, la storia di Samira Azzam è illuminante. Nel suo villaggio tradizionale di circa 12.000 persone, con il suo ‘soffitto di cristallo’ apparentemente impermeabile a ogni novità, la donna sta guidando niente meno che una rivoluzione. Con piccoli passi calcolati e un ostinato lavoro di base, Azzam e Nuova Isfiya stanno tracciando un nuovo percorso. Ora, mentre si profilano le prossime elezioni, gli occhi di molte donne della comunità araba israeliana sono puntati su di loro. Nei 75 anni trascorsi dalla fondazione di Israele, solo 71 donne di quella comunità – beduini, drusi e altri arabi – hanno fatto parte dei governi locali.
“L’intero sistema perpetua la gerarchia sociale, la disuguaglianza e l’esclusione delle donne dall’arena politica”, afferma Azzam. “Oggi le donne druse sono istruite e hanno lasciato il segno in molti luoghi. Nella nostra società, il 70% degli studenti [nell’istruzione superiore] sono donne. Sono medici, avvocati, ingegneri. Ce n’è stata persino una che è entrata nella NASA. Allora perché non in un consiglio comunale? Che cosa c’è in un consiglio comunale che va oltre le capacità delle donne?”.
Come in molti enti locali arabi, anche a Isfiya c’è poco spazio di manovra per le elezioni di quest’autunno. Ogni hamula, o clan, sa quanti voti può mobilitare e quanti sono necessari per ogni seggio del consiglio; il governo locale ha 11 membri. I clan che non riescono a raccogliere abbastanza voti per un seggio si accordano per condividere i seggi con un altro clan. Questi rappresentanti, di solito uomini, ruotano tra loro più volte durante il loro mandato quinquennale. Il sistema di voto automatico e proporzionale e le rotazioni fanno sì che il tavolo del Consiglio sia in gran parte un luogo di incontro simbolico, senza un vero e proprio ordine del giorno o la capacità di ottenere risultati. Ma Samira Azzam ha deciso di porre fine a tutto questo.
Insegnante di arabo per professione, è sempre stata un’attivista sociale per vocazione. Da giovane ha fondato dei club femminili a Isfiya, tra cui la sezione locale dell’organizzazione femminile internazionale WIZO. “In tutto quel tempo ho dovuto elemosinare donazioni da fonti esterne”, ricorda.
Ha iniziato a pensare alla politica quando, per curiosità, lei e il marito sono andati come osservatori a una riunione del consiglio comunale. La stanza era piena di uomini seduti intorno a un tavolo; in fondo, quasi nascoste, c’erano due donne. Azzam si sedette accanto a loro.
“Ho sentito quello che si discuteva e mi è venuta voglia di sparire”, ricorda. Mi sono detta: “Sono qua in fondo, seduta in un angolo mentre questi uomini ci gestiscono?”. E poi ho capito che il problema non è loro, ma nostro. Noi [donne] pensiamo che il nostro posto sia in un angolo. In quel momento ho deciso che sarebbe arrivato il giorno in cui mi sarei seduta al tavolo”.
Circa otto anni fa ha organizzato un gruppo di sei donne che hanno iniziato a incontrarsi regolarmente (“Non c’era nessun ego da esibire, non abbiamo mai litigato”) e che sono diventate il nucleo dell’innovativa lista Nuova Isfiya, che fin dall’inizio ha cercato di sconvolgere il sistema di condivisione del potere politico dei clan, dominato dagli uomini. Hanno reclutato sostenitori, organizzato decine di riunioni di circolo, istituito comitati di quartiere ed elaborato piani di lavoro. Alle elezioni del 2018, Azzam è stata l’unica della lista composta da sole donne a entrare in consiglio.
Esiste una politica delle donne?
Azzam: “La mia opinione è che le donne siano manager migliori degli uomini. Gli uomini si concentrano su una sola cosa, mentre le donne possono vedere non solo a 180 gradi, ma a 360 gradi. Le donne sono pratiche, vedono i problemi, fanno piani e li attuano. Gli uomini? Bla, bla, bla – e non si assumono mai la responsabilità”.
In qualità di membro del Consiglio – fu l’unica a ricoprire un mandato completo, senza rotazione – Azzam avviò una serie di progetti pionieristici. Uno di questi era un programma di borse di studio per le donne locali di età superiore ai 30 anni, in collaborazione con l’Università di Haifa: oggi più di 40 di loro si stanno laureando, tra cui Asmahan Swietat, una nonna di 59 anni.
“All’età di 18 anni, a causa di una situazione economica disastrosa, ho rinunciato all’idea della scuola e mi sono sposata”, racconta Swietat in una clip promozionale del progetto. “Ho dedicato 41 anni alla casa e ai figli, e ora tocca a me realizzare il sogno di quella diciottenne”.
Personalmente, la questione dell’integrazione dei drusi nella società israeliana in generale è una cosa che Azzam tratta con ironia. “Dovete capire che state parlando con una madre di quattro figli”, dice. “Il maggiore, una figlia, è economista alla Banca d’Israele; il secondo, un figlio, è ingegnere; il terzo, una figlia, ha una laurea in geografia; e il più giovane, un altro figlio, è un soldato. E tutti parlano con la “r” israeliana giusta. Cosa ci si può aspettare di più? I miei figli si sentono parte integrante dello Stato, eppure lo Stato li disprezza”.
Due incidenti avvenuti il mese scorso durante la Giornata della Memoria riflettono in modo vivido l’atmosfera della società drusa di oggi. Da un lato, una delle cerimonie durante la festività annuale della comunità per il pellegrinaggio di Nabi Shu’aib – che commemora la figura biblica di Jethro, il suocero madianita di Mosè – è stata annullata perché, secondo il calendario druso, cadeva a ridosso del giorno in cui si ricordano i soldati caduti di Israele. Inoltre, i residenti di Isfiya hanno bloccato l’ingresso del ministro dell’Intelligence Gila Gamliel nel loro cimitero locale nel Giorno della Memoria, dove avrebbe dovuto rappresentare il governo; Gamliel è stata costretta a rimanere nella sua auto quando è stata suonata la sirena commemorativa.
“Ne sono stato molto contenta”, dice Azzam. “Per quanto tempo possono continuare a mentirci? Quante volte possono dirci le stesse cose spregevoli: ‘Siamo fratelli di sangue’, ‘Siamo fratelli d’armi’? Dovete rendervi conto che siamo già riusciti a sviluppare un po’ di intelligenza, abbastanza da capire che le cose non funzionano. Siamo bloccati quando si tratta di pianificazione e costruzione, siamo circondati in un modo che ci impedisce di espanderci. Capiamo che c’è una politica razzista nei nostri confronti, che il nostro Paese si sta muovendo verso l’apartheid con un biglietto di sola andata. Chiunque non sia ebreo non conta. E lei [Gamliel] viene a venderci tutte queste sciocchezze sulle tombe dei nostri cari? Quel giorno è anche un giorno di esame di coscienza, un giorno in cui dobbiamo contemplare ciò per cui i nostri figli sono morti”.
Cosa ci dice questo sul futuro?
“Oggi ci sono voci nella comunità – e nessuno può metterle a tacere – che si chiedono perché facciamo il servizio militare. Se altri arabi musulmani non prestano servizio, ma a noi [che prestiamo servizio] viene riconosciuto esattamente lo stesso status [che hanno loro] in questo Paese, allora perché dobbiamo farci uccidere? E sapete una cosa? È giusto che si pongano questa domanda. Voi [la società ebraica israeliana] e io abbiamo fatto un accordo; io lo sto rispettando e voi no. È ora di dire ai politici proprio questo. È ora di guardarli negli occhi e dire loro la verità.
“È così”, continua. “Siamo stufi dell’atteggiamento sprezzante, della menzogna che ci raccontate. Non siamo fratelli, non siamo fratelli d’armi, non siamo fratelli di sangue. Non siamo affatto fratelli. Perché nessun fratello fa a un altro fratello quello che i governi israeliani fanno ai drusi”.
Ma lo Stato ha adottato un approccio razzista nei vostri confronti per 75 anni, discriminandovi soprattutto in materia di bilanci, pianificazione urbanistica ed edilizia: qualsiasi espansione delle vostre case è considerata illegale. E poi è arrivata anche la legge sullo Stato-nazione [volta a sancire i valori di Israele come nazione del popolo ebreo]. Non avevate capito prima cosa stava succedendo?
“Avevamo capito. Ma ci sono molti gruppi all’interno della nostra comunità che hanno interessi egoistici, e leader che hanno forgiato una sorta di accordo con lo Stato… Sapete come funziona lo Stato di Israele. Abbiamo persino un “Movimento druso-sionista” (ride). Ma fatemi il favore: di cosa state parlando?”.
Quindi sei stata ingenua per tutti questi anni?
“Sì. Eravamo ingenui ed eravamo subordinati a leader egoisti “.
Che vorreste sostituire.
“Sì”.
* * *
“Guardiamo a lei”, dice Shahrazad Hassoun-kamal, esperta di politiche pubbliche e attivista della città drusa di Daliat al-Carmel, riferendosi ad Azzam. “È riuscita dove altre donne non hanno osato nemmeno provarci. Riuscita completamente. Forse la nostra società non ha ancora digerito questa verità, ma se guardiamo da una prospettiva storica ci rendiamo conto che lei è innovativa, ha fatto qualcosa di formativo”.
Daliat al-Carmel, che non è lontana da Isfiya, è un bastione della società drusa laica, ma non c’è una sola donna che faccia parte del consiglio locale, osserva Shahrazad: “Se guardiamo alle autorità locali arabe e al governo locale in generale, ci viene subito in mente la lamentela di come sia corrotto, obsoleto, malato. I giovani e le donne sono restii a farsi coinvolgere”. (Il giorno prima che Azzam parlasse con Haaretz, il capo del consiglio locale di Isfiya, insieme ad altri tre capi consiglio arabi, sono stati arrestati con l’accusa di corruzione, frode e violazione della fiducia, riciclaggio di denaro e reati fiscali).
Hassoun-kamal non sa cosa spinga Azzam e le donne di Isfiya, ma a quanto pare le ragioni dietro l’ascesa del loro movimento sono più concrete di quanto si possa supporre. Nel 2015, Azzam è stata coinvolta nell’Organizzazione Femminista Kayan, il cui obiettivo è quello di dare alle donne arabe in Israele la possibilità di affermare i propri diritti sia nelle loro comunità che nelle loro famiglie/clan e di assumere ruoli di leadership a livello locale e nazionale.
“Senza Kayan“, osserva, “non saremmo arrivate al punto in cui siamo oggi. Abbiamo partecipato a sessioni di formazione e seminari sulla politica locale, abbiamo imparato a comprendere i dati dei bilanci e il funzionamento del consiglio locale. Inoltre, abbiamo imparato a leggere un bilancio da una prospettiva di genere, per vedere i bisogni delle donne all’interno degli stanziamenti”. Inoltre, Azzam racconta che gli attivisti Kayan hanno insegnato alle donne abilità come condurre una riunione, come reclutare persone e così via.
Durante questo periodo, le donne di Kayan hanno unito le forze con un’organizzazione femminista giordana, due delle cui leader sono arrivate per aiutare a formare le aspiranti leader. “Entrambe le donne hanno studiato ad Harvard sotto la guida di Marshall Ganz, il padre della teoria dell’organizzazione comunitaria, e hanno fondato un’organizzazione che lavora con movimenti in tutto il mondo arabo”, racconta Azzam. Il Prof. Ganz, che ha sviluppato un modello di organizzazione di base che è stato adattato da Kayan, fornisce consulenza a sindacati, organizzazioni non profit e campagne politiche, come quella di Barack Obama nel 2008.
Prima delle ultime elezioni comunali del 2018, Kayan ha istituito un progetto “Donne in politica”, attraverso il quale ha sostenuto e formato le candidate che volevano presentarsi in quattro località druse e arabe: Isfiya, Ma’aleh Iron, Shfaram e Arabeh. Una di loro ha vinto: Samira Azzam. Lo staff di Kayan ha poi lavorato con Azzam per mettere a punto la propria visione e i propri obiettivi.
“Credo che nessuno degli uomini della società araba abbia fatto qualcosa di simile”, afferma Rafah Anabtawi, direttrice generale di Kayan, riferendosi all’addestramento di potenziali candidati politici prima delle elezioni. “Le sessioni di formazione sono essenziali, come abbiamo appreso dagli studi che abbiamo condotto. E anche l’accettazione continua di consigli e supporto. È una cosa indispensabile.
“Sosteniamo un investimento dal basso che sia costante e a lungo termine, basato sulla convinzione che il cambiamento può avvenire solo se si lavora con le persone interessate, non per loro. Loro sono parte del cambiamento”, continua Anabtawi. “Le donne guidate da Samira Azzam hanno seguito un processo di formazione molto intenso. Allo stesso tempo, hanno iniziato a lavorare per forgiare il cambiamento sociale a Isfiya e hanno gradualmente ampliato la loro attività per includere tutti i segmenti della popolazione – giovani, quartieri specifici. Questo, dal nostro punto di vista, è il lavoro del femminismo. Un punto di vista sensibile e di genere giova all’intera società, non solo alle donne”.
“I programmi che formano e preparano le donne alla vita politica sono l’unico strumento che genera risultati in questo campo”, concorda Anat Nir, attivista sociale e fondatrice del Programma 51 – Scuola di Politica. L’organizzazione, il cui nome si riferisce alla percentuale di donne nella popolazione generale e al loro potenziale livello di rappresentanza politica, insegna leadership e altre competenze organizzative.
“Molte donne arabe elette sono passate attraverso programmi come questo”, afferma Nir. “Il Programma 51 si basa innanzitutto su un asse di rinforzo reciproco. Inoltre, forniamo ai nostri partecipanti le conoscenze teoriche che mancano loro, poiché le donne non sono presenti nel dominio pubblico come gli uomini”. Infine, il programma si concentra anche sulla trasmissione di conoscenze pratiche sulla gestione di una campagna. Il punto di vista femminista copre questi tre assi”.
Questa formazione non è vantaggiosa solo per le donne a livello locale. “La nostra società sta fallendo alla grande a causa del dominio esclusivo maschile”, afferma l’ex deputata laburista Ibtisam Mara’ana, che ha intrapreso la sua carriera nel 2021 attraverso il Programma 51. “Sono stata coinvolta perché avevo il vecchio sogno di diventare capo del consiglio comunale della mia città, Fureidis”, dice. “Negli anni ’90 ero attiva e sostenevo Ibtisam Mahameed, che aveva 20 anni più di me e si era candidata a capo del Consiglio. È stato un grande fallimento, perché alla fine non era una possibilità concreta. Ne è uscita completamente malconcia, non aveva alcuna possibilità. Non c’è mai stata una donna nel consiglio di Fureidis.
“La formazione è stata superprofessionale”, racconta Mara’ana, che è stata deputata solo per un anno, durante il breve governo Bennett-Lapid, “e comprendeva lezioni e incontri con donne che lavorano nel governo locale, che hanno descritto come hanno iniziato e che tipo di lavoro svolgono. Mi sono entusiasmata. Ho capito che anch’io ho un sogno politico, che ho la motivazione e la capacità [di perseguirlo]. Il programma mi ha fatto credere che potevo davvero farcela, e durante gli studi ho già iniziato a impegnarmi in politica. Nella classe successiva sono stata invitata a parlare come politica. È stata una specie di magia”.
* * *
La maggior parte dei fondatori del Programma 51 ha partecipato a un progetto gestito da Shaharit, un think tank senza scopo di lucro il cui “Programma 120” promuove e forma leader nazionali provenienti da comunità ebraiche e arabe. Una delle partecipanti è stata Zainab Abu Swaid, della città beduina di Kaabiyah-Tabash-Hajjajra, in Galilea, che ha poi sfondato diversi ‘soffitti di cristallo’: 39 anni, divorziata e madre di un bambino con bisogni speciali, Abu Swaid è la prima donna beduina ad essere stata eletta in un consiglio locale del Paese ed è direttrice della divisione per l’occupazione delle minoranze presso il Ministero del Welfare e degli Affari Sociali. L’anno scorso ha fondato il Manda College nell’omonima cittadina araba della Bassa Galilea.
Dice Abu Swaid: “Nel Programma 120 ho incontrato la società israeliana e lì ho continuato a esercitarmi dicendo: “Voglio essere una politica”. Ci è stato dato un esercizio in cui dovevamo prevedere dove saremmo state cinque anni dopo, e io non ho avuto il coraggio di scriverlo. Dire che volevo essere un membro del consiglio comunale! Una posizione volontaria! Ma grazie alla mia formazione e alla pratica di quell’affermazione – ‘Voglio, voglio, voglio’ – ho iniziato a osare”.
Come altre donne intervistate, Abu Swaid sottolinea l’immensa importanza della formazione formale per le donne politiche alle prime armi. “Uno dei fattori che definiscono le donne è la necessità di ricevere una legittimazione per potersi candidare. Ho dovuto dimostrare di essere qualificata, di avere i requisiti per farlo”. Allo stesso tempo, nove uomini senza istruzione della mia città, che non si preoccupano del bene generale della società, non hanno avuto problemi a gridare al cielo che volevano essere consiglieri comunali. I corsi di formazione che ho seguito affrontano questo problema. Senza il programma non sarei dove sono oggi”.
Forse questo non è il periodo più glorioso in termini di emancipazione sociale e politica delle donne arabe israeliane, ma le iniziative per cambiare la situazione stanno fiorendo. Nell’ambito del programma Shaharit, Abu Swaid ha fondato Arkan (Fondazioni), un corso di leadership per giovani arabi che sperano di entrare nella politica locale e nazionale. Metà dei partecipanti sono donne e si prevede che alcune di loro annunceranno di volersi candidare alle elezioni locali di ottobre. Allo stesso tempo, una coalizione di gruppi della società civile e no-profit sta lavorando alla campagna “La tua voce [di donna] è potere”, per incoraggiare le donne a partecipare alla politica, fornendo loro una preparazione pratica e assistenza post-elettorale.
La vittoria di Abu Swaid di un seggio comunale nel 2018 ha sorpreso tutti, compresa lei stessa. Come Samira Azzam a Isfiya, non sa bene chi abbia votato per lei. Il giorno delle elezioni, ricorda, una donna di 80 anni che si stava recando al seggio elettorale ha fatto cadere per sbaglio un pacco che portava con sé e tra gli oggetti caduti c’era una scheda elettorale per la lista di Abu Swaid.
“La gente era arrabbiata con lei e la boicottava in famiglia”, ricorda Abu Swaid. “Perché dovreste votare per questa lista di giovani?”. Per noi è stato stimolante, perché abbiamo visto che anche le donne anziane forse vedevano in noi la realizzazione del loro sogno mai realizzato”.
In effetti, sia lei che Azzam notano che le reazioni incontrate dopo l’elezione sono state molto più positive di quanto avessero previsto. “Quando abbiamo preso l’iniziativa, nessuno si è opposto”, dice Azzam. “Pensavamo che la gente avrebbe scatenato un putiferio. Non è successo nulla, la nostra elezione è avvenuta senza problemi”. Per esempio, suo padre, che ha 87 anni, si è presentato orgoglioso in sua difesa durante le discussioni al centro di assistenza anziani che frequenta.
Attualmente, in preparazione alle prossime elezioni comunali, e mentre si occupa di questioni comunali e di una serie di iniziative sociali, Azzam è anche impegnata a “esportare” la sua rivoluzione e ha creato un gruppo di aspiranti leader femminili a Daliat al-Carmel. “Non so se si candideranno, perché non c’è molto tempo, ma sono convinte di dover entrare in politica”, dice. “Quindi, per quanto mi riguarda, la scintilla c’è già”.
Dove trovi l’energia e la forza per combattere tutte queste battaglie apparentemente impossibili?
Azzam: “Ok, ora passiamo al dramma. Mi sono ammalata di cancro due volte. La seconda volta è stata all’inizio di questo mandato; ho ricevuto la prognosi 11 giorni dopo aver assunto l’incarico. E non solo. Mia figlia si è ammalata di cancro all’intestino. Meno di un anno fa a mio figlio è stato diagnosticato un cancro al cervello e, oltre al dolore e all’angoscia, mio marito ha avuto un infarto. Non so dove trovo la forza, ma c’è. E se c’è, bisogna saperla incanalare nel modo più positivo possibile. Questa è la migliore medicina.”
“Il dono di me stessa mi tiene in vita. Quando mi sono ammalata la prima volta, ero madre di un bambino di 3 anni e lui mi ha tenuta in vita. Il sentimento materno mi ha salvato. Questa volta è la missione che mi sono assunta – servire il mio popolo e la mia società – a salvarmi. Finché sarò viva, sfrutterò la vita fino in fondo”.
Traduzione a cura di AssoPacePalestina
Non sempre AssoPacePalestina condivide gli articoli che pubblichiamo, ma pensiamo che opinioni anche diverse possano essere utili per capire.
.