di Noa Landau,
Haaretz, 13 luglio 2022.
Il Presidente degli Stati Uniti Biden, nel primo giorno della sua visita in Israele e in Cisgiordania, ha effettivamente menzionato una volta la parola ‘pace’ nel suo discorso, ma è sembrato che quasi tutti i presenti preferiscano evitarla
Le cerimonie di benvenuto in Israele per i presidenti americani includono di solito alcuni passaggi che vengono sempre ripetuti, indipendentemente da chi siano gli ospiti o gli ospitanti. Tra questi motivi –del tutto simili al tappeto rosso e all’esecuzione dell’inno nazionale americano e israeliano–si fa regolarmente riferimento nei discorsi al legame ‘indissolubile’ tra i due paesi, alla Bibbia e all’Olocausto, nonché alla tecnologia e alla difesa. Ma oltre a questo, c’è sempre una dichiarazione, autentica o meno, che si vuole la pace.
Indipendentemente dal fatto che il Presidente americano in visita sia Barack Obama o Donald Trump, la parola pace è sempre stata generosamente cosparsa sui discorsi, anche quando non c’erano dubbi che si trattava di un gesto vuoto, una foglia di fico. Ma alla cerimonia di benvenuto di mercoledì all’Aeroporto Internazionale Ben-Gurion per il Presidente Joe Biden, la disperazione e la stanchezza erano più evidenti che mai.
Dopo anni in cui il potere in Israele è stato detenuto dalla destra, il Primo Ministro Yair Lapid, rappresentante del centro-sinistra, è salito sul podio senza menzionare la parola ‘pace’ nemmeno una volta. Ci sono stati riferimenti alla democrazia, alla libertà, al sionismo e alla Bibbia, così come all’alta tecnologia e alla sicurezza. Ma niente pace. L’accenno che più ci si è avvicinato è stato quando parlava di legami più stretti con l’Arabia Saudita.
Lapid ha detto a Biden: “Durante la sua visita, discuteremo di questioni di sicurezza nazionale. Discuteremo della costruzione di una nuova architettura di sicurezza ed economia con le nazioni del Medio Oriente, seguendo gli Accordi di Abramo e i risultati del Vertice del Negev”.
La pace si era trasformata in architettura. Quindi, d’ora in poi, Israele cercherà un’architettura in Medio Oriente. Biden, nel suo discorso, ha effettivamente menzionato la parola pace una sola volta. Ci ha anche aggiunto la parola integrazione (“Continueremo a far progredire l’integrazione di Israele nella regione”).
Ma la vera politica del Presidente degli Stati Uniti sulla questione israelo-palestinese è stata rivelata in un inciso di poche parole, mormorate casualmente e appena comprensibili: “Discuteremo del mio continuo sostegno –anche se so che non è una cosa imminente– [per] una soluzione a due Stati. Questo rimane, a mio avviso, il modo migliore per assicurare un futuro di libertà, prosperità e democrazia sia per gli israeliani che per i palestinesi”.
Le nove parole “anche se so che non è una cosa imminente” hanno reso più chiaro di qualsiasi altro discorso il senso di disperazione con cui l’amministrazione del Presidente vede l’argomento e quanto deboli o inesistenti siano le motivazioni per affrontarlo. Meno di quelle di Obama e persino di quelle di Trump.
Con Biden, sembra che gli Stati Uniti vogliano solo liberarsi del fardello israelo-palestinese. L’impegno degli Stati Uniti per una soluzione a due Stati non è mai suonato così logoro e screditato come nelle parole di Biden sul tappeto rosso dell’aeroporto. L’unica persona che ha osato parlare chiaramente di pace – pace vera, non architettura regionale o integrazione – è stato il Presidente di Israele, Isaac Herzog, il cui discorso sembrava piuttosto del genere che ci si aspetta tradizionalmente da qualcuno del centro-sinistra israeliano.
Sono ormai diversi anni che la parola pace è stata eliminata dal discorso su Israele-Palestina. Si potrebbe sostenere che la disperazione e il cambiamento del discorso riflettono un approccio più pragmatico – meno ipocrisia e idealizzazione e più comprensione del fatto che, al momento, non esiste un orizzonte immediato per una soluzione.
Tutti i discorsi dell’ex Primo Ministro Benjamin Netanyahu sulla pace e la prosperità non servivano a nulla, poiché in pratica la sua politica era quella di fare l’esatto contrario. E in fondo Biden ha apparentemente detto la verità: personalmente (non ha nemmeno detto gli Stati Uniti), sono ancora a favore di una soluzione a due Stati, ma è chiaro per me che non avverrà presto.
Si potrebbe anche pensare che Lapid abbia cercato di adeguarsi all’atteggiamento del pubblico israeliano (che trova tossica la parola pace) per evitare di dare munizioni alla campagna del Likud; e non sarebbe nemmeno importante quali altre parole abbia usato, purché intendesse far avanzare davvero un processo di pace. Ma in realtà non ha affatto questa intenzione.
E la verità è che, più che cercare di trasmettere un messaggio pragmatico o franco, Biden ha cercato soprattutto di inviare il messaggio che il governo israeliano può rilassarsi per quanto riguarda l’entità della pressione diplomatica che egli intende applicare nel corso della visita. In altre parole, nessuna pressione.
Mentre sul terreno Israele continua ad espandersi, a creare insediamenti in Cisgiordania e ad autorizzare retroattivamente avamposti illegali, oltre all’annessione de facto di tutta Gerusalemme e altro ancora, il debole messaggio di Biden sulla soluzione dei due Stati e l’assenza di un riferimento alla pace nel discorso di Lapid non solo descrivono la realtà. Creano anche una realtà.
Ed è una realtà in cui nessuno vuole più la pace.
Traduzione a cura di AssoPacePalestina
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