The Independent, 13 luglio 2022.
Il Presidente Biden visiterà Israele questa settimana, prima di proseguire per l’Arabia Saudita venerdì.
Biden probabilmente elogerà la potenza tecnologica e l’abilità militare di Israele. Probabilmente farà una dichiarazione pubblica sul legame inviolabile tra Stati Uniti e Israele e celebrerà Israele come una fiorente democrazia liberale.
Ma Biden probabilmente non ha mai sentito parlare di Ahmed Jundeya, del piccolo villaggio di Tuba a Masafer Yatta, a sud di Hebron, nella Cisgiordania occupata. Né lo incontrerà.
Quando Ahmed era solo un bambino, è stato espulso con la forza dalla sua casa per fare spazio a una zona di sparo dell’esercito israeliano, insieme agli altri abitanti del suo villaggio. Dopo aver fatto ricorso alla Corte Suprema di Israele, è stato permesso loro di tornare temporaneamente alle loro case, fino a quando la Corte non ha emesso la sua decisione finale. Il 4 maggio 2022, la Corte Suprema ha stabilito che l’esercito può evacuare i residenti dalle loro case e sfollare oltre mille palestinesi.
Per Biden, come per il primo ministro israeliano Lapid, i palestinesi come Ahmed Jundeya sono invisibili.
Come la maggior parte dei politici israeliani, dai messianici di destra a quelli erroneamente chiamati “blocco del cambiamento”, il presidente americano preferisce promuovere fantasie di “pace economica” piuttosto che una vera giustizia per i due popoli che condividono questa terra. Nel suo editoriale di questa settimana sul Washington Post, il Presidente Biden si è vantato di aver ricostruito le relazioni tra Stati Uniti e Palestina e di aver ripristinato circa 500 milioni di dollari di aiuti per i palestinesi. Non ha avuto nulla da dire sull’occupazione di Israele o sui diritti dei palestinesi.
Come i suoi omologhi israeliani, il Presidente Biden sembra convinto che la situazione nei territori palestinesi occupati possa essere “gestita”, come se oggi esistesse uno status quo vivibile che potrebbe – e dovrebbe – essere mantenuto. Questa fantasia si basa su l’erroneo presupposto che la questione palestinese possa essere in qualche modo elusa per favorire un’alleanza regionale tra Israele e paesi arabi come gli Emirati Arabi Uniti e il Bahrein, calpestando i più elementari diritti del popolo palestinese, che vive sotto un regime di apartheid. Ma Ahmed Jundeya, come il resto del popolo palestinese, non ha intenzione di andarsene.
L’attuale amministrazione continua a dare il via libera all’espansione degli insediamenti illegali di Israele, all’atroce assedio della Striscia di Gaza che dura da 15 anni, alle demolizioni in massa di case e alla violenza sfrenata nei Territori occupati. Il Presidente Biden ha taciuto quando Israele si è autodefinito uno Stato esclusivamente ebraico, su entrambi i lati della linea verde; quando ha continuato a sfollare i suoi cittadini arabi nel Negev; e quando ha approvato le leggi razziste sulla cittadinanza e sullo Stato-nazione, che sanciscono e codificano legalmente la supremazia ebraica.
La triste verità è che oggi la maggior parte dei politici ebrei-israeliani non pronuncia nemmeno la parola “occupazione”, e tanto meno parla di porvi fine. Senza il silenzio assordante della comunità internazionale e il sostegno attivo degli Stati Uniti, Israele non oserebbe violare così palesemente il diritto internazionale e non potrebbe sostenere il suo regime di segregazione razzista, dove esiste una legge per gli ebrei e un’altra per i palestinesi.
Signor Presidente, quando discuterà con il premier Lapid del boom dell’economia high-tech israeliana o parlerà con il dittatore dell’Arabia Saudita Mohammed Bin Salman della realizzazione di un patto di sicurezza regionale per contrastare l’Iran e garantire l’egemonia americana in Medio Oriente, si dovrebbe ricordare dei residenti di Masafar Yata, come Ahmed Jundeya. Questi residenti rischiano l’espulsione per far posto a una zona militare israeliana, che -come ci insegna l’esperienza- è spesso il preludio allo sviluppo di insediamenti. Si ricordi anche della coraggiosa giornalista palestinese-americana Shireen Abu-Akleh, uccisa da un cecchino israeliano a Jenin, la cui morte non è stata indagata né dagli Stati Uniti né dalle autorità israeliane. Si ricordi di Hajar e Mustafa Ka’abaneh di Ras a-Tin, che si dice siano stati picchiati fino a farli svenire da 15 coloni ebrei mentre si trovavano all’interno del loro accampamento familiare.
L’occupazione non può e non deve essere “gestita”. Patti di sicurezza regionali che ignorano deliberatamente le legittime richieste dei palestinesi – autodeterminazione, indipendenza e diritti umani – non porteranno alla pace, alla democrazia o alla giustizia, né per gli israeliani né per i palestinesi. Stabilire uno Stato palestinese indipendente sui confini del 1967, con Gerusalemme Est come capitale, e vivere pacificamente fianco a fianco con Israele, non è solo un interesse palestinese. Non ci sarà mai pace, né una vera democrazia, senza smantellare l’apartheid. Nessuna alleanza militare regionale o accordo di normalizzazione con gli Stati del Golfo potrà mai cambiare questo semplice fatto.
La deputata Aida Touma-Sliman rappresenta Hadash/Joint List nel Parlamento israeliano, dove presiede il Comitato permanente per le donne e l’uguaglianza di genere.
Traduzione a cura di AssoPacePalestina
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