Una riflessione di Luisa Morgantini.
È un mondo raccontato alla rovescia quello che riguarda Palestina e Israele.
Nei nostri media sembra che siano i Palestinesi a prendere terra, acqua e risorse agli Israeliani e non invece gli Israeliani che occupano militarmente da ormai più di cinquant’anni il popolo palestinese, costruiscono colonie e trasferiscono la propria popolazione nei territori occupati palestinesi, in violazione della legalità internazionale.
Dal giugno 1967 sono stati più di 800 mila i Palestinesi incarcerati per motivi politici. Tra loro donne, anziani, minori. Torture, abusi, interrogatori, ricatti e minacce sui minori sono denunciati ampiamente da organizzazioni per la difesa dei diritti umani a partire da B’tselem, israeliana, ad Amnesty, e dai rapporti delle Nazioni Unite. Attualmente sono circa 400 i minori incarcerati e più di 30 le donne e le ragazze; tra loro, Khalida Jarrar, parlamentare palestinese detenuta da quasi un anno senza nessun processo. Ahed Tamimi, non ancora 17 anni è stata arrestata il 19 dicembre, il giorno dopo anche la madre Nariman e poi Nour e Manal, tutte di Nabi Saleh. Un villaggio dove i coloni di Halamish, dopo che il governo ha dato via al piano, si sono impadroniti della loro fonte d’acqua, protetti dall’esercito israeliano.
Dal 2009 la popolazione di Nabi Saleh manifesta per il diritto all’acqua e alla libertà, ogni volta l’esercito spara candelotti lacrimogeni, bombe-suono e proiettili veri, quando non inonda le case e le persone con la skunk water, un’acqua trattata chimicamente, estremamente puzzolente, che lascia un odore insopportabile per giorni e giorni malgrado il cambiamento di abiti e le docce. Ma soprattutto il cattivo odore resta nelle case per giorni e giorni, e non sempre c’è acqua per ripulire, visto che nel villaggio arriva una volta la settimana, mentre nelle case dei coloni di fronte al villaggio vi sono piscine.
In questi anni sono state decine e decine i feriti e gli arrestati, molti i giovani condannati ad un anno, due anni e tenuti in isolamento con lunghi interrogatori; due giovani Rushdie e Mustapha sono stati uccisi.
Fin dall’inizio della loro resistenza nonviolenta, Nabi Saleh si è caratterizzata per la forte presenza di donne e di giovani, tra loro Ahed, Nour, Maram, Rand , Janna ed altre.
Nel piccolo villaggio vi sono circa 600 persone appartenenti allo stesso ceppo famigliare, la maggioranza di questi sono protagonisti, insieme ad israeliani e internazionali, della resistenza popolare nonviolenta.
Ahed è stata arrestata perché voleva impedire ai soldati di entrare a casa sua, dopo che suo cugino Mohammed era stato ferito gravemente da una pallottola ed era stato portato in coma all’ospedale. Ahed ha osato schiaffeggiare un soldato, ha umiliato il valoroso e intoccabile esercito israeliano ed il ministro della difesa israeliano Liberman ha dichiarato che la ragazza e la sua famiglia avrebbero dovuto essere incarcerati per sempre.
Conosco Ahed dal 2009, sono stata alle loro manifestazioni, ho condiviso con loro il buonissimo pane, ho accompagnato delegazioni e delegazioni a casa sua e lei raccontava insieme a sua madre e a suo padre che voleva la sua terra e la sua acqua. Il suo sogno è quello di diventare una calciatrice. In carcere, mi dicono Nour e Manal appena liberate, soffre per la mancanza delle sue amiche e di Instagram, e perché ha perso gli esami del Tajewe, che le avrebbero permesso di iscriversi all’Università. Mi sono commossa quando in un video, non ancora reso pubblico, ma presentato ad alcuni diplomatici in un briefing organizzato dal coordinamento dei comitati popolari, ho visto Ahed, interrogata per ore da un poliziotto che urlava e cercava di intimidirla ricattandola e facendole i nomi di alcuni ragazzi del villaggio affinché lei li incolpasse; ma Ahed non diceva una parola e guardava il suo persecutore con severità.
La sua colpa è quella di essere consapevole del suo diritto alla libertà e di lottare per ottenerlo.
Contro di lei si sono scatenati Ministri, Vice Ministri, coloni, giornalisti e da ultimo l’ex ambasciatore israeliano negli USA, Michael Oren, attualmente Vice Ministro nel governo di Netanyahu, che è arrivato a sostenere che la famiglia Tamimi non esiste, è pura invenzione e la loro è solo una recita per accattivarsi le simpatie dell’opinione pubblica: per questo le ragazze vestono all’americana.
Nel profondo razzismo israeliano che presenta sempre i Palestinesi come fumatori di narghilè e le donne sottomesse e velate, Ahed come Nour e le altre rompono ogni stereotipo. Ahed è bella, capelli quasi rossi, riccia, affronta il pericolo e non ha paura dei soldati che invadono il villaggio e sparano. Deve essere punita, così come devono essere puniti tutti quelli che anelano alla libertà e sono disposti a resistere. Ogni giorno giovani vengono arrestati e tenuti giorni e giorni senza contatti, come i due figli di Manal, Mohammad e Osama, da giorni sotto interrogatorio non da parte della polizia ma dallo Shin Bet, in carceri al Nord di Israele, cosa illegale visto che la convenzione di Ginevra prevede che la popolazione sotto occupazione non può essere trasferita nel paese occupante. Ahed è diventata un simbolo: manifestazioni in tutto il mondo, la petizione di Avaaz per la liberazione sua e dei minori incarcerati, ha superato un milione e duecentomila firme, le giovani ragazze di Bil’in cantano ‘siamo tutte Ahed’ e sfidano i soldati.
Il poeta e drammaturgo israeliano Jonathan Gefen ha dedicato una sua poesia ad Ahed: «Ahed Tamimi/Con i capelli rossi/Come Davide che ha schiaffeggiato Golia/Sarai menzionata nella stessa riga/Come Giovanna d’Arco, Hannah Szenes e Anne Frank», scatenando le ire del Ministro della Difesa Lieberman (un colono} che ha chiesto alla radio dell’esercito di bandire ogni programma con Gefen e suggerito ai media di bandirlo, e ha scritto su fb: «Lo Stato di Israele non dove offrire un palcoscenico a un ubriacone che paragona una ragazza che è stata uccisa nell’Olocausto e un’eroina che ha combattuto il regime nazista, ad Ahed Tamimi, la ‘bambolina’ che ha attaccato un soldato».
Netanyahu però si sente superprotetto e non solo dal Presidente Trump, ma anche dai governi che deplorano il comportamento israeliano ma continuano ad essere complici dell’occupazione e della colonizzazione e che buttano a mare ogni legalità internazionale.
Luisa Morgantini