di Evan Wexler,
The Intercept, 16 gennaio 2025.
Non c’è più uno status quo, non si può tornare indietro, eppure, dopo il cessate il fuoco, molte cose rimarranno invariate.

Decine di migliaia di palestinesi sono morti. Così come decine di operatori umanitari e giornalisti. Intere comunità sono state ridotte in macerie, lasciando i residenti sfollati o senza casa.
Israele è più isolato che mai. L’Europa si è opposta alla libertà di parola. E nonostante un movimento di protesta nei campus paragonabile con l’opposizione alla guerra del Vietnam, il governo degli Stati Uniti rimane fermo nel suo sostegno alla macchina da guerra di Israele.
I droni e la guerra aiutata dall’AI hanno sminuito il valore della vita, mentre le repressioni globali del dissenso annunciano una nuova era di censura.
Questi sono i contorni del mondo dopo la guerra a Gaza – contorni scolpiti in profondità nel paesaggio politico, in profondità nella realtà, che non saranno presto appianati. Mentre attendiamo la decisione del gabinetto israeliano sul cessate il fuoco a Gaza, il Medio Oriente – e il mondo – è stato completamente rimodellato a seguito degli ultimi 15 mesi di combattimenti.
Eppure, dopo il cessate il fuoco, molte cose rimarranno invariate. Un centinaio di israeliani sono, almeno per ora, tenuti ancora in ostaggio. L’esercito israeliano continua a impadronirsi del territorio con la forza nei paesi che lo circondano, approfondendo la sua occupazione militare di 76 anni e l’espansione dei suoi insediamenti. Si riserva il diritto di continuare ad attaccare i Palestinesi.
Le accuse di genocidio non stanno scomparendo, anzi diventano ogni giorno più credibili.
Non è affatto scontato che l’accordo di cessate il fuoco raggiunto questa settimana regga. Israele ha già segnalato che si riserva il diritto di riprendere l’azione militare in qualsiasi momento e che mantiene il suo obiettivo di “distruggere” Hamas. È improbabile che il gruppo palestinese accetti condizioni che garantiscano la sua stessa fine.
Questa non è una vera fine del conflitto.
Con ogni probabilità, l’accordo di cessate il fuoco si atterrà allo schema dei passati accordi israeliani con i palestinesi: concessioni immediate per Israele e poi un rallentamento del resto del piano – la ricostruzione e qualsiasi altra cosa che possa migliorare significativamente la posizione dei palestinesi, soprattutto a Gaza.
La sostanziale distruzione di Gaza e le sue ramificazioni globali non sono solo il risultato del 7 ottobre. Si tratta di un processo che dura da 76 anni di deliberato de-sviluppo della vita dei Palestinesi nella loro patria storica. A Gaza, questo fenomeno è più acuto.
L’ascesa di Hamas nel 2007 è stata preceduta dal blocco del 1991. Anche prima di allora, Gaza era afflitta da condizioni igieniche abissali, da un’assistenza sanitaria carente e dalla mancanza di adeguate opportunità di lavoro.
Oltre ad Hamas, il più grande datore di lavoro a Gaza prima della guerra era l’Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l’Occupazione (UNRWA). Questa non è una vera economia, né potrebbe mai portare a qualcosa di sostenibile. Dalla creazione dello stato di Israele, Gaza è sempre stata solo una prigione a cielo aperto, o una collezione di fosse comuni, è stata il deposito per i palestinesi che vengono sfollati dall’interno di quelli che oggi sono i confini riconosciuti a livello internazionale di Israele. E il cessate il fuoco di questa settimana non cambierà nulla.
E gli orrori di cui il mondo è testimone all’interno delle mura di Gaza continuerà a tormentarci tutti. E la straordinaria escalation di violenza e la perdita di umanità nella regione macchieranno un’intera generazione.
Ci sono pochi dubbi sul fatto che Israele diventerà sempre più isolato politicamente dai suoi vicini e che dovrà mantenere una guerra perenne. La sua posizione è ancora spalleggiata dal sostegno americano. Il movimento di protesta globale contro la guerra e contro i crimini a Gaza può perdere intensità, ma i giovani traumatizzati non dimenticheranno – e la sofferenza continua dei Palestinesi non permetterà che ciò avvenga.
Consideriamo cosa non c’è nell’accordo. In nessun punto dei termini noti dell’accordo si parla di un percorso di allontanamento dalla disumanizzazione, di un percorso verso i diritti umani di base o di un percorso verso una pace duratura.
La fine dell’assalto più intenso a Gaza sarà un sollievo, una tregua temporanea dopo più di un anno di spargimento di sangue, ma c’è poco da festeggiare.
Traduzione a cura di AssoPacePalestina
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