di Edmund Bower,
New Lines Magazine, 25 settembre 2024.
Chirurghi e altri raccontano dettagli su ferite raccapriccianti; molte delle migliaia di vittime sono rimaste accecate o con le dita tagliate.
Il 17 settembre, poco prima delle 15.30, la piccola sala d’attesa della clinica pediatrica di tre stanze della dottoressa Nour, nel sud di Beirut, era gremita. Una madre aspettava di fare un controllo pre-scolare per i suoi tre figli. Due pazienti anziani erano prenotati per un trattamento di cataratta presso lo studio oculistico accanto. Seduta accanto a loro c’era una giovane coppia che Nour, il cui nome è stato cambiato per motivi di sicurezza, non aveva mai incontrato prima. Il padre dondolava tra le sue braccia un bambino di 10 giorni. Alla sua cintura era agganciato un cercapersone Gold Apollo Rugged
Nour ha portato la giovane coppia nella sala visite. Ha preso una cartella nuova per il neonato e ha scritto il suo nome: Aiman. L’ha messo sulla bilancia: un po’ più di 3 chili. Ha adagiato Aiman su un lettino da visita e si apprestava a registrare il suo peso. Mentre lo faceva, il cercapersone dell’uomo ha suonato due volte.
“Mi scusi”, ha detto lui, e si è abbassato per spegnerlo.
In quel momento, circa un grammo di esplosivo nascosto nel cercapersone è esploso, mandando schegge di metallo e frammenti del suo spesso involucro di plastica in tutte le direzioni. Le schegge hanno scavato profonde ferite nell’addome dell’uomo, si sono conficcate nel soffitto della clinica e hanno lacerato il viso del bambino che giaceva sulla schiena. Nour è stata sbalzata all’indietro mentre la stanza si riempiva di polvere. Non riusciva a vedere attraverso il fumo, ma sentiva la voce della donna che gridava: “Aiman!”.
Nour non sapeva che scene come queste si stavano ripetendo in tutto il Libano. Contemporaneamente, circa 4.000 cercapersone con trappola esplosiva che erano stati distribuiti ai membri di Hezbollah hanno iniziato a suonare e poi sono esplosi. Nei negozi, nelle case e sui marciapiedi di tutto il paese, i cercapersone hanno investito i loro utenti e chiunque si trovasse nelle loro vicinanze con piccole nuvole di schegge.
Nour mi ha detto che il suo primo pensiero è stato che la clinica dove lavora da 12 anni fosse stata colpita da un attacco aereo israeliano, a causa dei combattimenti in corso tra Hezbollah e l’esercito israeliano. Ma quando il fumo si è dissolto, si è resa conto che l’esplosione proveniva dall’interno della sua sala visite. Ha visto l’uomo, che giaceva sul pavimento in stato di incoscienza, il suo sangue schizzato sul muro e due delle sue dita mozzate per terra. Il piccolo Aiman non si vedeva da nessuna parte. Mentre cercava di arginare il flusso di sangue e di rianimare l’uomo, ha chiamato invano un’ambulanza comunale, poi ha cercato la Croce Rossa. Tutte le linee erano occupate.
Sentendo le sirene all’esterno, è corsa in strada e ha cercato di chiamare un’ambulanza di passaggio. “Qui!”, ha gridato. “Qui!” L’ambulanza le è passata davanti senza fermarsi. Una seconda ambulanza è passata. “Qui, ho bisogno di aiuto!”, ha gridato di nuovo mentre l’ambulanza passava davanti alla sua clinica. Guardandosi intorno, ha visto una mezza dozzina di uomini, forse di più, con le mani sanguinanti e accovacciati sul marciapiede o semisvenuti, assistiti dai passanti. Nour ha dovuto correre per più di un chilometro fino a casa sua per chiedere aiuto a un vicino che ha accompagnato l’uomo collassato all’ospedale. Il piccolo Aiman è stato infine trovato: era stato portato fuori dalla sala visite dai pazienti in attesa. Aveva riportato tagli profondi e abrasioni al viso, ma è sopravvissuto.
Dall’altra parte della città, la presidente del Dipartimento di Medicina d’Urgenza del Centro Medico dell’Università Americana di Beirut (AUBMC), Eveline Hitti, stava uscendo da una seduta di formazione quando ha visto la prima vittima della giornata, un giovane uomo che si reggeva una mano maciullata.
“Tutti i primi feriti che sono arrivati portavano le mani avvolte in asciugamani insanguinati”, ha detto. “Erano quelli arrivati a piedi”. Poi sono arrivate le prime ambulanze “che trasportavano le persone con gli occhi sventrati che non potevano muoversi da sole”.
Il meccanismo delle esplosioni sembra essere stato progettato per causare il massimo danno. La maggior parte dei feriti erano uomini, oltre a un certo numero di donne e bambini. Quando il cercapersone aveva cominciato a suonare lo avevano preso e portato verso gli occhi per leggere il messaggio. L’esplosione inattesa, causava molteplici danni a entrambe le mani e al viso.
In pochi minuti, Hitti si rese conto che si trattava di migliaia di vittime. Alle 16.25, ha attivato un piano di emergenza che è rimasto in vigore fino alle 20. Tutto il personale disponibile è stato chiamato, tutte le procedure ospedaliere non urgenti sono state annullate. Al traffico non essenziale è stato detto di non circolare. L’ondata di amici e parenti fuori dall’ospedale cresceva insieme alle vittime. Quasi ogni minuto, un’ambulanza arrivava, scaricava i pazienti feriti e tornava in città per raccoglierne altri.
Da quando era tornata in Libano nel 2009, dopo aver studiato e lavorato a Baltimora, nel Maryland, Hitti aveva presieduto 12 eventi di disastri di massa, tra cui l’esplosione del Porto di Beirut del 4 agosto 2020, che uccise almeno 220 persone e travolse l’infrastruttura medica del paese. Ha detto che il carattere improvviso dell’attacco della scorsa settimana, insieme alla gravità delle condizioni dei pazienti e alla natura identica delle loro ferite, ha rappresentato una sfida senza precedenti.
Quasi immediatamente, l’ospedale ha affrontato un afflusso di 160 pazienti, di cui circa il 90% soffriva di ferite alle mani o agli occhi o a entrambi e quasi tutti avevano un disperato bisogno di intervento medico.
“Di solito, negli incidenti di massa, c’è una piccola percentuale che si trova in condizioni davvero gravi”, ha detto Hitti. “Questi sono quelli che devono essere rianimati, intubati o mandati direttamente in sala operatoria; c’è poi la maggioranza che viene visitata e mandata a casa, mentre il resto sono persone che possono essere ricoverate e trattate chirurgicamente il giorno dopo”.
Subito dopo l’attacco, ha detto Hitti, quasi nessuno rientrava in queste due ultime categorie.
“Tutti avevano invariabilmente bisogno di una sorta di intervento chirurgico se eranno stati colpiti mani e occhi”, ha detto.
E in questi casi gravi, molti avevano “lesioni esattamente uguali”, ha detto. “È molto insolito che le esigenze specialistiche siano esattamente le stesse e che debbano essere prese in carico solo da una o due specialità”.
Dei 160 pazienti che sono arrivati al pronto soccorso, 140 avevano subito gravi lesioni agli occhi. Per quasi due ore, il primario di oftalmologia dell’AUBMC, Bahaa Noureddine, ha condotto il triage tra i pazienti in attesa per vedere “quali erano gli occhi che potevano essere salvati”, decidendo quali potevano aspettare e quali erano al di là di ogni speranza. Alle 19.00, il primo caso è stato trasportato in sala operatoria. Noureddine e il suo staff di nove chirurghi non hanno smesso di operare fino alla mezzanotte di tre giorni dopo.
Quasi tutti erano casi gravi. Noureddine e il suo team hanno estratto frammenti di metallo e plastica dagli occhi dei pazienti. La maggior parte erano uomini, ha detto, ma sei di loro erano giovani donne e almeno uno era un bambino piccolo.
A complicare il lavoro c’erano le altre ferite dei pazienti, ha detto Noureddine, tra cui “terribili ustioni” e lacerazioni sul viso.
“Non c’era un solo caso tra quelli che ho visto che non fosse ferito a entrambe le mani”, ha detto. “Nemmeno uno. La maggior parte aveva le dita amputate su entrambe”. Inizialmente, Noureddine aveva solo chirurghi plastici nella sala operatoria, che cercavano contemporaneamente di ricostruire le mani dei pazienti, ma al secondo giorno di interventi hanno capito che dovevano muoversi più velocemente e hanno continuato senza gli specialisti.
Il reparto dell’AUBMC dispone di risorse migliori rispetto alla maggior parte degli altri. A differenza di altri grandi ospedali, che hanno solo un microscopio chirurgico oftalmico per reparto, Noureddine ne ha cinque. Mentre altri sono stati costretti a far venire il personale da altre parti per far fronte all’afflusso di pazienti che necessitavano di un intervento chirurgico agli occhi, lui ha beneficiato di un personale numeroso. In nessun momento hanno esaurito le forniture, ha detto, mentre altri in Libano hanno segnalato una carenza di tutto, compresi gli occhi artificiali.
Nonostante tutti gli sforzi dell’équipe medica, la maggior parte delle persone arrivate sono rimaste parzialmente cieche. Almeno 10 hanno perso completamente la vista. In tutto il paese, i media locali riferiscono che più di 300 persone sono rimaste cieche.
La settimana successiva all’attacco c’è stato un aumento della violenza che ha coinvolto il paese e ha messo in ombra gli attacchi precedenti. Il giorno successivo all’attacco iniziale, un’operazione simile ha fatto esplodere i walkie-talkie di Hezbollah in tutto il Libano. Il totale dei morti di entrambi gli attacchi ha raggiunto almeno 32 persone, con oltre 3.000 feriti.
Nei giorni successivi le vittime sono salite alle stelle, poiché gli attacchi aerei israeliani si sono estesi a tutto il paese. Lunedì 23, il numero di morti registrati è stato di 558, rendendolo il giorno più cruento dalla guerra civile del 1975-90. Il Ministero della Salute, che pubblica le cifre, non distingue tra civili e combattenti. Ma il Ministro della Salute, Firass Abiad, ha detto in una conferenza stampa che “la maggior parte erano persone disarmate nelle loro case”.
Quando gli ultimi interventi urgenti agli occhi sono stati completati presso l’AUBMC, molti dei dipendenti di Noureddine hanno chiesto di trascorrere del tempo con uno psichiatra per elaborare lo stress degli ultimi giorni. Alcuni non riuscivano a dormire, ha detto. Alcuni si svegliavano inondati di lacrime.
“Sei inevitabilmente colpito”, ha detto Noureddine, che lavora in ospedale da 32 anni. “Vedi un giovane individuo sano che ha perso entrambi gli occhi, o uno dei suoi occhi, e tu hai fatto del tuo meglio, ma qual è il risultato?
“Dopo tutto”, ha detto, “anche lui è un cittadino di questo paese”.
Edmund Bower è un giornalista con sede a Beirut, che si occupa di Libano, Egitto e della regione in generale.
https://newlinesmag.com/spotlight/doctors-describe-the-horror-of-israels-pager-attack-in-lebanon
Traduzione a cura di AssoPacePalestina
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