di Omar Barghouti,
The Guardian, 19 settembre 2024.
I palestinesi non hanno mai perso la speranza, nella loro decennale resistenza allo spietato regime di oppressione di Israele.
il 18 settembre 2024, il Canada si è astenuto quando l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato a stragrande maggioranza una risoluzione che chiedeva di applicare sanzioni a Israele, obiettando che la risoluzione “si allinea al boicottaggio, al disinvestimento e alle sanzioni [BDS], a cui il Canada si oppone fermamente”. Questa formulazione, ipocrisia a parte, in realtà capovolge la verità. Lanciato nel 2005, il nonviolento e antirazzista movimento BDS, ispirato alla lotta anti-apartheid sudafricana e al movimento per i diritti civili degli Stati Uniti, ha sempre sostenuto i diritti dei palestinesi in linea con il diritto internazionale.
Il BDS chiede di porre fine all’occupazione illegale e all’apartheid di Israele e di sostenere il diritto dei rifugiati palestinesi a tornare e a ricevere un risarcimento. È l’Assemblea Generale dell’ONU che sta finalmente iniziando ad ‘allinearsi’ con l’urgente compito di applicare il diritto internazionale in modo coerente, anche nei confronti di Israele. Come afferma Craig Mokhiber, ex alto funzionario delle Nazioni Unite per i diritti umani, la sentenza della Corte Internazionale di Giustizia (CIJ) rende il BDS “non solo un imperativo morale e un diritto costituzionale e umano, ma anche un obbligo legale internazionale”.
Lungi dall’essere il solito voto delle Nazioni Unite, questo è un voto storico. È la prima volta in assoluto che l’Assemblea Generale ha chiamato in causa il regime di apartheid di Israele e la prima volta in 42 anni che ha chiesto sanzioni per porre fine all’occupazione illegale, come stabilito a luglio dalla Corte Internazionale di Giustizia.
Tuttavia, molti palestinesi e attivisti della solidarietà rimangono scettici. A quasi un anno dall’inizio del genocidio israeliano contro 2,3 milioni di Palestinesi nella Striscia di Gaza occupata e assediata, Israele commette quotidianamente atrocità, mostrando di sentirsi invulnerabile a un livello senza precedenti, ciò che persino il mite Segretario Generale delle Nazioni Unite chiama“impunità totale”. In collaborazione con le potenze occidentali egemoniche, guidate dagli Stati Uniti, Israele non solo sta sterminando decine di migliaia di Palestinesi indigeni, ma sta anche demolendo i principi stessi del diritto internazionale.
Molti esperti di diritti umani delle Nazioni Unite sono d’accordo. In una dichiarazione rilasciata lo stesso giorno, hanno affermato che “l’edificio del diritto internazionale si regge sul filo del rasoio, con la maggior parte degli Stati che non riescono a compiere passi significativi per rispettare i loro obblighi internazionali riaffermati nella sentenza [della CIG]”. Per conformarsi alla sentenza, gli Stati devono imporre sanzioni economiche, commerciali, accademiche e di altro tipo all’occupazione illegale e al “regime di apartheid” di Israele, hanno scritto, specificando un embargo militare completo come il provvedimento più urgente.
Già nell’ottobre 2023, pochi giorni dopo l’attacco genocida di Israele a Gaza, il presidente colombiano, Gustavo Petro, aveva avvertito dell’”ascesa senza precedenti del fascismo e, quindi, della morte della democrazia e della libertà… Gaza è solo il primo esperimento per considerarci tutti usa e getta”. In altre parole, “mai più è ora”, come hanno detto i gruppi ebraici progressisti e antisionisti. Ciò significa che la priorità più urgente dell’umanità è ora quella di porre fine al genocidio di Israele, riconoscendo al contempo che la giustizia per i Palestinesi si interseca e si intreccia con le lotte per la giustizia razziale, climatica, economica, di genere, sociale.
Le decisioni della Corte Internazionale di Giustizia, lo storico voto dell’Assemblea Generale e le dichiarazioni degli esperti dell’ONU riflettono una maggioranza mondiale in ascesa che non solo si schiera con la lotta per l’emancipazione palestinese, ma anche con la missione fondamentale di salvare addirittura l’umanità da un’epoca in cui si pensava che “la forza fa il diritto”, mai vista dalla seconda guerra mondiale, che stava relegando le istituzioni delle Nazioni Unite nella pattumiera della storia.
A prescindere da ciò, i Palestinesi non si illudono affatto che la giustizia risplenda su di noi grazie alla CIJ o all’ONU, essendo quest’ultima istituzione storicamente responsabile della Nakba del 1947-49, della pulizia etnica della maggior parte dei Palestinesi e dell’istituzione di Israele come colonia d’insediamento sulla maggior parte della Palestina storica. Il totale fallimento del sistema giuridico internazionale, dominato dalle potenze coloniali euro-americane, nel fornire le basi necessarie, inequivocabili e giuridicamente vincolanti per fermare il primo genocidio televisivo del mondo -per non parlare del far giustizia- la dice lunga.
Noi Palestinesi abbiamo il diritto internazionale dalla nostra parte. Abbiamo l’alto livello etico di un popolo indigeno che lotta contro un sistema di oppressione depravato e genocida per ottenere i suoi diritti. L’etica e la legge sono necessarie nella nostra o in qualsiasi altra lotta di liberazione, ma non sono mai sufficienti. Per smantellare un sistema di oppressione, gli oppressi hanno invariabilmente bisogno anche del potere: potere delle persone, potere popolare, potere delle coalizioni intersezionali, potere della solidarietà e potere dei media, tra le altre forme.
Nel costruire il potere delle persone, i Palestinesi non chiedono al mondo la carità, ma una solidarietà significativa. Ma prima di tutto, chiedono la fine della complicità. L’obbligo etico più profondo in situazioni di grave oppressione è quello di non fare del male e di riparare al male fatto da te o in tuo nome.
Come ha dimostrato la lotta che ha posto fine all’apartheid in Sudafrica, porre fine alla complicità statale, aziendale e istituzionale con il sistema di oppressione di Israele, soprattutto attraverso le tattiche non violente del BDS, è la forma più efficace di solidarietà, di costruzione del potere delle persone per aiutare a smantellare le strutture di oppressione.
A quasi un anno dall’inizio del genocidio, alcuni lamentano una “stanchezza da genocidio”. Ma i Palestinesi, soprattutto a Gaza, non possono permettersi il lusso di una “stanchezza da genocidio”, poiché Israele continua a massacrare, affamare e sfollare con la forza, commettendo ciò che gli esperti delle Nazioni Unite hanno identificato come “domicicidio, urbicidio, scolasticidio, medicidio, genocidio culturale e, più recentemente, ecocidio”.
I Palestinesi non hanno mai perso la speranza nella loro resistenza pluridecennale allo spietato regime di oppressione di Israele. Questa sconfinata speranza non è radicata in un pensiero velleitario o in un’ingenua convinzione di una vittoria inevitabile che scenderà dal cielo, ma nell’incessante sumud del nostro popolo, nell’insistenza a voler esistere nella nostra patria, nella libertà, nella giustizia, nell’uguaglianza e nella dignità. È anche radicata nella promettente crescita del movimento di solidarietà globale e nel suo impatto.
Inoltre, come dice lo scrittore britannico-pakistano Nadeem Aslam, “La disperazione bisogna guadagnarsela. Personalmente non ho fatto tutto il possibile per cambiare le cose. Non mi sono ancora guadagnato il diritto alla disperazione”. Se non ti sei guadagnato questo diritto, devi continuare a organizzarti, a sperare, a porre fine alla complicità nella tua sfera personale di influenza. Con un radicalismo strategico, possiamo e dobbiamo prevalere sul genocidio, sull’apartheid e su tutta questa indicibile oppressione.
Omar Barghouti è uno dei fondatori della campagna di Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS) dei palestinesi.
https://www.theguardian.com/commentisfree/2024/sep/19/un-israel-gaza-palestinians-sanctions
Traduzione a cura di AssoPacePalestina
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