di Isaac Chotiner,
The New Yorker, 7 agosto 2024.
Come la risposta ai presunti abusi sui detenuti palestinesi rivela una più ampia guerra ideologica all’interno dell’IDF.
A luglio, Israele ha arrestato dieci soldati sospettati di aver violentato un uomo palestinese in un centro di detenzione nel sud di Israele. Ciò è avvenuto in seguito alle notizie riportate dalla stampa internazionale – tra cui il New York Times e la CNN – di diffusi abusi fisici nello stesso centro di detenzione, Sde Teiman. I soldati detenuti a Sde Teiman sono stati portati per essere interrogati in un’altra base militare; i manifestanti israeliani hanno preso d’assalto sia la nuova base che Sde Teiman per chiedere il rilascio dei soldati. (Le Forze di Difesa Israeliane hanno negato l’accusa di abusi diffusi e i soldati hanno negato l’accusa di stupro). I manifestanti sono stati sostenuti da ministri di destra come Bezalel Smotrich e Itamar Ben-Gvir, che hanno definito i soldati accusati “i nostri migliori eroi”. Yoav Gallant, ministro della Difesa, ha chiesto di indagare se Ben-Gvir, che è ministro della Sicurezza Nazionale, abbia volutamente ritardato la risposta della polizia ai disordini; alla fine, sono stati mobilitati battaglioni militari per aiutare a proteggere la base dove i soldati venivano interrogati.
Per parlare di ciò che è accaduto e di ciò che questo significa per il futuro di Israele, ho recentemente parlato al telefono con Yehuda Shaul, cofondatore di Ofek, The Israeli Center for Public Affairs, un gruppo di studio indipendente con sede a Gerusalemme. Shaul è anche uno dei co-fondatori di Breaking the Silence, un’organizzazione composta da ex soldati israeliani che si dedicano a denunciare quella che considerano la realtà del trattamento israeliano dei palestinesi nei territori occupati. Durante la nostra conversazione, che è stata modificata per ragioni di lunghezza e chiarezza, abbiamo discusso di come le forze armate israeliane siano cambiate nel corso del tempo, e se Israele propriamente detta rischi di diventare più simile alla Cisgiordania e cosa pensa realmente Benjamin Netanyahu delle sfide all’autorità dello stato.
Come si inserisce l’assalto a queste basi miliari nella storia dei tentativi della destra di minare lo stato di diritto in Israele?
Innanzitutto, dobbiamo tenere presente che la violenza dei coloni in Cisgiordania dura da molti anni ed è aumentata anno dopo anno senza intervento della legge, o quasi. Quindi la comunità dei coloni vive da decenni in una realtà in cui può infrangere le leggi. Faccio un passo indietro e dico che l’intero progetto di insediamento è un progetto totalmente immerso nella criminalità. Questo può significare la costruzione di insediamenti contro le regole, la costruzione di alloggi su terreni privati, eccetera. Può anche significare coloni che picchiano contadini o pastori, che entrano nelle comunità e le attaccano per sfollare i palestinesi o per creare un tale grattacapo allo stato che il messaggio diventa: “Non vi conviene cercare di far rispettare la legge”.
Abbiamo avuto decenni di questo tipo di comportamento in Cisgiordania, e di violenza incontrollata in cui i soldati avevano l’ordine di restare inerti. Quando ero un soldato in Cisgiordania durante la Seconda Intifada, i nostri ordini non erano di far rispettare la legge ai coloni. Il nostro compito non era quello di proteggere i palestinesi. Il nostro compito era proteggere i coloni.
Nel corso degli anni, ogni tanto si vedeva un video di coloni che attaccavano i palestinesi senza che i soldati intervenissero. Negli ultimi quattro o cinque anni c’è stata una transizione. Siamo passati da soldati che stavano fermi mentre i palestinesi venivano attaccati a soldati che a volte si univano agli attacchi. A volte si trattava di soldati che erano coloni, che erano tornati a casa nell’insediamento o nell’avamposto dove vivono, o dove vivono i loro amici, e questi ragazzi si organizzavano per andare giù e attaccare i palestinesi, così prendevano il fucile o si presentavano in uniforme e si univano all’attacco. A volte gli Stati Uniti stavano addirittura pensando di limitare l’assistenza militare a Israele perché specifiche unità militari erano composte in gran parte da ragazzi estremisti, nazionalisti e religiosi. Ma dopo il 7 ottobre le cose sono peggiorate ulteriormente. Ora i coloni sono i soldati e i soldati sono i coloni. [Un portavoce dell’I.D.F. ha dichiarato al New Yorker che “i soldati che si imbattono in crimini violenti commessi da civili israeliani contro palestinesi sono tenuti a fermare l’incidente e, se necessario, a bloccare o trattenere i sospetti fino all’arrivo della polizia sulla scena”. Nei casi in cui i soldati non obbediscono a queste istruzioni, ha aggiunto il portavoce, “gli incidenti vengono esaminati a fondo e le azioni dovute vengono prese di conseguenza”].
Quindi stai dicendo che il cambiamento più grande è nella composizione dei soldati?
È strutturale al modo in cui l’IDF è concepito. In una guerra su larga scala, le unità meglio equipaggiate e addestrate vanno in prima linea. Nel nostro caso, ora, la prima linea è quella del Libano e di Gaza. Quindi chi rimane in Cisgiordania? I riservisti. Ma non si tratta solo di normali unità di riserva. Ci sono anche le cosiddette unità di difesa regionale. La Cisgiordania è divisa in diverse brigate regionali. Ognuna di esse ha battaglioni di difesa regionale, che sono unità di riservisti composte da coloni locali. Quindi, riguardo ai coloni che vivono nell’area di Hebron, ad esempio, molti di loro sono mobilitati nell’area di Hebron.
E, se sei un soldato, sai che i coloni sono dalla nostra parte e i palestinesi sono il nemico, quindi non proteggeremo il nemico. Perché i coloni ci ospitano per una bistecca il venerdì sera, perché parlano la nostra lingua, perché hanno potere politico. Ma anche perché sono completamente integrati nel sistema. Il venerdì sera ci ospitano per una bistecca. La domenica mattina, o il lunedì mattina, i loro agenti di sicurezza partecipano alle riunioni presso la sede centrale e vengono aggiornati su quanto sta accadendo. Il martedì vanno a utilizzare il nostro poligono di tiro per tenersi in forma. E giovedì li dovremmo arrestare?
L’illegalità e la violenza sono state permesse perché il rapporto tra i militari e i coloni sul territorio è diventato così simbiotico. Ora è così simbiotico che non è più chiaro dove iniziano e dove finiscono i militari e dove iniziano e dove finiscono i civili.
È tutto qui?
Beh, stanno accadendo altre due cose. Una è il cambiamento sociologico nell’esercito. Assistiamo a un cambiamento significativo all’interno dell’esercito: si passa dalla vecchia scuola, laica e orientata al Partito Laburista, agli attuali religiosi nazionalisti, e soprattutto ai nazionalisti ultraortodossi. Persone come Smotrich.
Nel 1990, solo il due e mezzo per cento dei cadetti ufficiali laureati in fanteria erano nazionalisti religiosi. Nel 2015 erano quasi il quaranta per cento. Si tratta di una percentuale tre volte superiore a quella della società generale. Quindi c’è questo cambiamento, questo cambiamento sociologico, in cui militari di classe media o medio-alta, laici e con un’istruzione migliore si orientano verso la cybersecurity e l’intelligence dei segnali, cioè verso posizioni che possono far progredire il loro status economico dopo il servizio militare, mentre i ranghi di combattimento vengono riempiti sempre più con gli ideologi e i nazionalisti religiosi, insieme ai colletti blu. Nell’ultimo decennio, c’è stata una grande lotta all’interno dell’IDF su chi sia la vera autorità. È il rabbino o il comandante?
Nel 2016, due aggressori palestinesi hanno accoltellato un soldato, ferendolo. I palestinesi sono stati colpiti. Uno di loro è stato ucciso – l’altro è stato neutralizzato, steso a terra. Pochi minuti dopo, è arrivato un paramedico militare israeliano di nome Elor Azaria che ha sparato un colpo alla testa del palestinese – in pratica lo ha giustiziato. Il tutto è stato filmato da un attivista palestinese che viveva nelle vicinanze. Una volta che la notizia è stata resa nota, si è scatenata l’indignazione. Alla fine Azaria è stato incriminato, ma poi c’è stata indignazione per il fatto che fosse stato incriminato. E si è arrivati al punto che persino Netanyahu, che era il Primo Ministro, ha chiamato i genitori dell’assassino per mostrar loro il suo sostegno. Alla fine, Moshe Ya’alon, che all’epoca era ministro della Difesa, un uomo di destra ed ex capo dello staff dell’IDF, dovette dimettersi, tra le altre ragioni, perché aveva appoggiato l’incriminazione. Azaria è stato condannato a diciotto mesi per un’esecuzione che era stata filmata.
Questo è stato il momento in cui la bassa forza dell’esercito, oltre alla base politica del partito Likud e della destra israeliana, si sono essenzialmente ribellati alla vecchia guardia che insisteva a dire che l’IDF è un esercito professionale e disciplinato, che voleva raccontare al mondo la sua adesione al diritto internazionale, il controllo di noi stessi, le indagini, la responsabilità. Ora è diventato: “Nel nostro esercito abbiamo un’etica diversa dalla vostra, e abbiamo un’idea di stato di diritto diversa dalla vostra. Ed è inaccettabile che un soldato venga incriminato per questo”. Per me, quella è la soglia in cui si capisce che, almeno ai livelli più bassi, le idee sono cambiate.
Portiamo la storia ai giorni nostri. Come descriveresti la situazione attuale delle forze armate e cosa è successo la scorsa settimana?
Abbiamo questo scontro tra la vecchia guardia e gli istituzionalisti da una parte, e i ranghi inferiori e le persone nazionaliste e religiose dall’altra. Questi ultimi vogliono cambiare la natura, lo spirito e l’anima dell’esercito. Ma non sottovaluterei l’importanza della Corte Penale Internazionale e dei meccanismi internazionali di responsabilità. Perché la CPI incombe su di noi. Lo si può sentire nel dibattito politico in Israele. Molti di coloro che cercano di difendere l’Avvocato Generale Militare – che supervisiona le indagini sui soldati – lo definiscono importante perché è così che proteggiamo i nostri soldati e i nostri comandanti dalla CPI. Dobbiamo mostrare al mondo che abbiamo uno stato di diritto e che indaghiamo sui presunti crimini.
Ma vengono fuori tutte queste testimonianze sugli abusi ai danni dei detenuti. La CNN, il New York Times e tutto il mondo ne parlano, e c’è pressione per indagare e indagare. Così l’Avvocato Generale Militare ha inviato la polizia militare a trattenere alcuni soldati per interrogarli. E subito l’appello sui network della destra israeliana è stato: “Stanno dando la caccia ai nostri soldati”.
Tutti escono allo scoperto. Sono i ranghi inferiori, la base del Likud e gli ideologi nazional-religiosi. Vogliono cambiare ciò che è accettabile nell’IDF. E lo si può vedere da ottobre in poi con la quantità di video di soldati che parlano di ricostruire gli insediamenti. Tutto questo genere di cose. L’erosione della disciplina all’interno dell’IDF è molto forte. E all’improvviso c’è un vero e proprio scontro tra lo stato di diritto, o la storia che l’istituzione vuole raccontare al mondo, e la situazione dei ranghi inferiori. E si arriva a ciò che si è visto, ovvero centinaia di persone che hanno fatto irruzione nelle basi militari israeliane per difendere i soldati, guidate da politici. I ministri li sostengono. Si trovano a malapena ministri che li criticano.
Netanyahu sembra un caso interessante. Da un lato, è molto chiaro ciò che sta facendo a Gaza, e ha una lunga storia di commenti bigotti e di tentativi di apportare modifiche antidemocratiche al sistema giudiziario. Ma ha anche un certo interesse ad essere un leader sulla scena mondiale che goda almeno di un certo livello di rispetto. Quando lo si sente parlare al Congresso o altrove, non sembra Smotrich o Ben-Gvir, qualunque siano le sue reali opinioni. Sono quindi curioso di sapere quale pensi che sia il suo ruolo, perché sembra che la tensione che tu descrivevi nella società israeliana si manifesti in qualche modo anche nel comportamento del Primo Ministro.
Penso che sia un’ottima domanda. Sono pienamente d’accordo con te. Non credo che la sua politica sia quella di Smotrich o di Ben-Gvir. Penso che, in un certo senso, Smotrich rappresenti la svolta nazional-religiosa più ideologica in termini di richieste su dove dovrebbe essere l’Esercito e quale dovrebbe essere il suo valore, e Ben-Gvir rappresenti più la classe operaia e i ranghi più bassi. E penso che Netanyahu sia al punto in cui si trova non solo perché Smotrich e Ben-Gvir lo tengono al guinzaglio, ma anche perché c’è un’enorme frustrazione per i mancati risultati della guerra.
Mesi fa, dopo gli orrendi massacri del 7 ottobre, ci era stato promesso che avremmo spazzato via Hamas. Avremmo riportato a casa tutti gli ostaggi. Siamo da mesi dentro la guerra e non abbiamo eliminato Hamas. Quindi ora cosa pensare? Se sei una persona di centro-sinistra in Israele, incolpi Netanyahu e il suo governo perché non sono disposti a parlare del giorno dopo e perché questi obiettivi sono irraggiungibili con la sola forza. Cosa che, tra l’altro, condivido pienamente. Questo è parte del motivo per cui vediamo crescere il movimento di protesta contro Netanyahu.
Ma se si è di destra, si inizia a dare la colpa ai generali deboli e di sinistra che non sono disposti a fare ciò che serve. Si dice che i militari stanno giocando una partita con gli europei, con gli americani, con la comunità internazionale, per proteggere il paese dalla Corte Penale Internazionale. L’estrema destra dice: “Ci stanno legando le mani. Ecco perché non stiamo vincendo. Avete visto cosa è successo a Rafah. Per settimane ci hanno ostacolato. Non ci hanno permesso di entrare”.
Prima del 7 ottobre, il grande demone da rimproverare erano i tribunali. Ora l’estrema destra sta incanalando molta della sua frustrazione verso la vecchia guardia dell’esercito. Ed è qui, credo, che entra in gioco Netanyahu. Se seguite i media israeliani, ci sono molte fughe di notizie dalle discussioni di gabinetto: ministri che attaccano il capo di stato maggiore, ministri che attaccano i generali. Tutti questi attacchi fanno parte del modo in cui si incanala la frustrazione della destra israeliana. Ma in realtà il fatto è che il loro programma non funziona, nel senso che abbiamo quasi cancellato la Striscia di Gaza dalla faccia della terra, e Hamas non è scomparso. Quindi bisogna pur incolpare qualcuno per il fallimento.
C’è un punto in cui pensi che queste forze potrebbero sfidare lo Stato e che Netanyahu si schiererebbe fondamentalmente con loro? Sto parlando di una sfida allo stato all’interno di Israele.
In Cisgiordania questo è già successo.
Giusto, vedi quindi che questo doppio standard si sta diffondendo? O temi che a un certo punto ci sarà un momento di rottura?
Lo abbiamo visto con la polizia. La polizia israeliana è quasi completamente coinvolta in questo momento di rottura. È quasi completamente catturata e completamente politica. Non è ancora successo con l’esercito. Ma lo vediamo con la polizia in Cisgiordania. Lo si vede con la polizia contro le proteste, e lo si è visto quando la polizia si è rifiutata di presentarsi per difendere le basi militari dalle accuse di torture. Ad essere onesti, subito dopo il 7 ottobre, abbiamo avuto molti casi in cui i pacifisti israeliani sono stati minacciati. Gruppi WhatsApp estremisti hanno fatto circolare i nomi e gli indirizzi dei miei amici perché potessero essere attaccati. Siamo arrivati a un punto in cui non volevamo nemmeno contattare la polizia perché non ci fidavamo di lei. E questo era un microcosmo del problema più grande che abbiamo visto la scorsa settimana. La polizia in Cisgiordania è composta quasi esclusivamente da coloni e milizie. È qui che ci troviamo. Siamo a un bivio. Questa è la lotta che si sta svolgendo in Israele: se le istituzioni prevarranno o meno.
E se faccio uno zoom mentale e collego la Cisgiordania a Israele, direi che ci troviamo al punto in cui Israele dovrà decidere se siamo un paese che ha un progetto di insediamento – un progetto coloniale in Cisgiordania – o se siamo un progetto coloniale che ha un paese. Anche se le nostre istituzioni non saranno sconfitte da questo governo, credo che i cambiamenti all’interno dell’esercito e gli sviluppi sociologici rappresentino una minaccia per il futuro.
Oggi gli ideologi nazional-religiosi sono fondamentalmente una forza dominante fino al livello di comandante di brigata. Al di sopra, è ancora la vecchia élite. Ma ogni cinque-dieci anni, gli altri salgono di un gradino. Attualmente, l’istituzione cambia loro più di quanto loro cambino l’istituzione. Ma, una volta che la cosa si protrae a sufficienza, si raggiunge una massa in cui loro iniziano a cambiare l’istituzione più di quanto l’istituzione cambi loro.
Hai accennato al fatto che c’è stata una maggiore pressione sull’esercito per indagare sulle accuse di abuso e cattiva condotta dopo che sono apparsi rapporti a livello internazionale sul New York Times e sulla CNN. Questi rapporti sono stati sorprendenti per te o per chi studia queste cose in Israele?
Per me, l’idea che a Gaza stiano accadendo cose brutte, che accadranno cose brutte nei centri di detenzione, non è sorprendente. Ma quanto sono brutte, ad essere onesti, è sorprendente. Temo che stiamo solo grattando la superficie. E temo che i media non siano ancora del tutto presenti a Gaza. Temo che scopriremo di aver raggiunto nuovi livelli minimi di comportamento – in termini di regole di ingaggio estremamente permissive per quanto riguarda la quantità di danni collaterali consentiti, e in termini di trattamento dei detenuti. Per tutti questi aspetti, temo che non abbiamo ancora una storia completa.
Ma non credo che ci sia indignazione. Penso che ci sia una grossa fetta della società israeliana secondo la quale il tipo di aggressione che viene denunciata contro i detenuti sembra in realtà ragionevole. Sembra ragionevole per i membri della Knesset e per i ministri del governo. Avete visto migliaia di israeliani che si sono mobilitati per difendere questi soldati accusati di torture, malgrado quello che si dice abbiano fatto. Ecco quanto siamo caduti in basso. Una gran parte della società israeliana, della classe politica e del governo si è mobilitata per difendere queste azioni.
Isaac Chotiner è uno scrittore del New Yorker, dove è il principale collaboratore di Q. & A., una serie di interviste a personaggi pubblici della politica, dei media, dei libri, degli affari, della tecnologia e altro ancora.
https://www.newyorker.com/news/q-and-a/the-radicalization-of-israels-military
Traduzione a cura di AssoPacePalestina
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