In questa politica che cerca di farci credere di tutto, i fili tirati dai super-ricchi sono fin troppo visibili

di Jonathan Cook,

Jonathan Cook Substack, 15 giugno 2024. 

Biden va a giro fuori scena o cammina come un robot geriatrico. Eppure ci vorrebbero far credere che ci stia guidando sapientemente attraverso le mine nucleari delle continue guerre dell’Occidente.

Il presidente Joe Biden al G7 in Italia.

Viviamo in un mondo di finzione politica, un mondo in cui i fili tirati nell’interesse dei super-ricchi sono sempre più visibili. Eppure ci si aspetta che fingiamo di non vedere quei fili. Ancora più sorprendente è il fatto che molte persone sembrano davvero cieche di fronte a questo spettacolo di marionette.

1. Il “leader del mondo libero”, il presidente Joe Biden, riesce a malapena a mantenere l’attenzione per più di qualche minuto senza andare fuori tema o vagare fuori scena. Quando deve camminare davanti alle telecamere, lo fa come se stesse facendo un provino per il ruolo di un robot geriatrico. Tutto il suo corpo è preso dalla concentrazione necessaria per camminare in linea retta.

Eppure si suppone che stia manovrando con cura le leve dell’impero occidentale, facendo calcoli criticamente difficili per mantenere l’Occidente libero e prospero, tenendo al contempo sotto controllo i suoi nemici – Russia, Cina, Iran – senza provocare una guerra nucleare. È davvero in grado di fare tutto questo quando fatica a mettere un piede davanti all’altro?

2. Parte di questo difficile equilibrio diplomatico che Biden starebbe conducendo, insieme ad altri leader occidentali, riguarda l’operazione militare di Israele a Gaza. La “diplomazia” dell’Occidente – sostenuta da abbondanti trasferimenti di armi – ha portato all’uccisione di decine di migliaia di palestinesi, la maggior parte dei quali donne e bambini; alla graduale morte per fame di 2,3 milioni di palestinesi ormai da molti mesi; alla distruzione del 70% del patrimonio abitativo della Striscia e di quasi tutte le sue principali infrastrutture e istituzioni, tra cui scuole, università e ospedali.

Eppure dovremmo credere che Biden non abbia alcuna influenza su Israele, anche se Israele dipende interamente dagli Stati Uniti per le armi che utilizza per distruggere Gaza.

Dovremmo credere che Israele agisca solo per “autodifesa”, anche se la maggior parte delle persone uccise sono civili disarmati; e che stia “eliminando” Hamas, anche se Hamas non sembra essere stato indebolito, e anche se le politiche di fame di Israele si abbatteranno sui giovani, sugli anziani e sui vulnerabili molto prima di uccidere un solo combattente di Hamas.

Dovremmo credere che Israele abbia per Gaza un piano per il “giorno dopo”, che non sia il risultato che queste politiche sembrano voler raggiungere: rendere Gaza inabitabile in modo che la popolazione palestinese sia costretta ad andarsene.

E, come se non bastasse, dovremmo credere che, quando hanno giudicato “plausibile” l’ipotesi che Israele stia commettendo un genocidio, i giudici della più alta corte del mondo, la Corte Internazionale di Giustizia, abbiano dimostrato di non comprendere la definizione legale del crimine di genocidio. O che magari siano stati guidati dall’antisemitismo.

3. Nel frattempo, gli stessi leader occidentali che armano il massacro compiuto da Israele di decine di migliaia di civili palestinesi a Gaza, tra cui più di 15.000 bambini, hanno inviato centinaia di miliardi di dollari di armamenti all’Ucraina per aiutare le sue forze armate. L’Ucraina deve essere aiutata, ci dicono, perché è vittima di una potenza vicina aggressiva, la Russia, decisa a espandersi e a rubare terre.

E invece dovremmo ignorare i due decenni di espansione militare occidentale verso est, attraverso la Nato, che alla fine ha bussato, dall’Ucraina, alla porta della Russia – e ignorare il fatto che i migliori esperti occidentali sulla Russia hanno avvertito per tutto questo tempo che stavamo giocando con il fuoco nel farlo e che l’Ucraina si sarebbe rivelata una linea rossa invalicabile per Mosca.

Non dovremmo fare alcun paragone tra l’aggressione russa all’Ucraina e quella di Israele ai palestinesi. In quest’ultimo caso, Israele è da considerare la vittima, anche se occupa violentemente il territorio dei suoi vicini palestinesi da tre quarti di secolo e, in flagrante violazione del diritto internazionale, costruisce insediamenti ebraici sul territorio che dovrebbe costituire la base di uno Stato palestinese.

Dovremmo credere che i palestinesi di Gaza non abbiano un diritto a difendersi paragonabile a quello dell’Ucraina, nessun diritto a difendersi da decenni di belligeranza israeliana, che si tratti delle operazioni di pulizia etnica del 1948 e del 1967, del sistema di apartheid imposto alla popolazione palestinese rimasta in seguito, del blocco di Gaza durato 17 anni che ha negato ai suoi abitanti l’essenziale della vita, o del “plausibile genocidio” che l’Occidente sta ora armando e a cui sta fornendo copertura diplomatica.

Infatti, se i palestinesi cercano di difendersi, l’Occidente non solo si rifiuta di aiutarli, come invece ha fatto con l’Ucraina, ma li considera terroristi – anche i bambini, a quanto pare.

4. Julian Assange, il giornalista ed editore che ha fatto più di chiunque altro per svelare i meccanismi interni delle istituzioni occidentali e i loro piani criminali in paesi come l’Iraq e l’Afghanistan, è dietro le sbarre da cinque anni nel carcere di massima sicurezza di Belmarsh. Prima di allora, ha trascorso sette anni di detenzione arbitraria – secondo gli esperti legali delle Nazioni Unite – nell’ambasciata ecuadoriana a Londra, costretto a chiedere asilo da una persecuzione politica. In un interminabile processo legale, gli Stati Uniti ne chiedono l’estradizione per poterlo rinchiudere in un quasi-isolamento che potrebbe durare fino a 175 anni.

Eppure dovremmo credere che i suoi 12 anni di detenzione effettiva – pur non essendo stato giudicato colpevole di alcun reato – siano del tutto estranei al fatto che, pubblicando i cablogrammi segreti, Assange ha rivelato che, a porte chiuse, l’Occidente e i suoi leader parlano e agiscono come gangster e psicopatici, soprattutto per quanto riguarda gli affari esteri, e non come gli amministratori di un ordine globale benigno che sostengono di supervisionare.

I documenti divulgati da Assange mostrano i leader occidentali pronti a distruggere intere società per favorire il dominio delle risorse occidentali e il proprio arricchimento – e desiderosi di usare le bugie più oltraggiose per raggiungere i loro obiettivi. Non hanno alcun interesse a sostenere il valore che dicono di amare della libertà di stampa, tranne quando questa libertà viene usata come arma contro i loro nemici.

Dovremmo credere che i leader occidentali vogliono davvero che i giornalisti agiscano come un cane da guardia della società, magari ponendo un limite al potere dei leader, anche se invece stanno perseguitando a morte proprio il giornalista che ha creato una piattaforma per informatori, Wikileaks, per fare proprio questo. (Assange ha già subito un ictus a causa della sua lotta ultradecennale per la libertà).

Dovremmo credere che l’Occidente concederà ad Assange un processo equo, quando gli stessi stati che hanno collaborato alla sua incarcerazione – e, nel caso della CIA, al progetto del suo assassinio – sono proprio quelli che lui ha denunciato per crimini di guerra e terrorismo di stato. Dovremmo credere che stiano seguendo un processo legale, non una persecuzione, nel ridefinire come reato di “spionaggio” i suoi sforzi per portare trasparenza e responsabilità negli affari internazionali.

5. I media pretendono di rappresentare gli interessi dei pubblici occidentali in tutta la loro diversità e di agire come una vera e propria finestra sul mondo.

Dovremmo credere che questi stessi media siano liberi e pluralisti, anche quando sono di proprietà dei super-ricchi e degli stati occidentali che da tempo sono stati svuotati di ogni significato democratico per servire invece solo i super-ricchi.

Dovremmo credere che un mezzo di comunicazione che dipende completamente per la sua sopravvivenza dagli introiti dei grandi inserzionisti aziendali possa fornirci notizie e analisi senza timori e senza occulti favori. Dovremmo credere che un mezzo di comunicazione il cui ruolo principale è vendere audience agli inserzionisti aziendali possa chiedersi se, nel farlo, stia svolgendo un ruolo benefico o dannoso.

Dovremmo credere che un mezzo di comunicazione saldamente inserito nel sistema finanziario capitalista che ha messo in ginocchio l’economia globale nel 2008 e ci sta portando verso la catastrofe ecologica, sia in grado di valutare e criticare spassionatamente quel modello capitalista; che i media possano in qualche modo rivoltarsi contro i miliardari che li possiedono o che possano rinunciare agli introiti delle aziende di proprietà dei miliardari che sostengono i media attraverso la pubblicità.

Dovremmo credere che i media siano in grado di valutare obiettivamente i meriti di una guerra, cioè le guerre condotte in serie dall’Occidente – dall’Afghanistan all’Iraq, dalla Libia alla Siria, dall’Ucraina a Gaza – quando i media sono inseriti in conglomerati aziendali i cui altri grandi interessi includono la produzione di armi e l’estrazione di combustibili fossili.

Dovremmo credere che i media promuovano acriticamente la crescita infinita per ragioni di necessità economica e di buon senso, anche se le contraddizioni sono evidenti: il modello di crescita perenne è impossibile da sostenere su un pianeta finito le cui risorse si stanno esaurendo.

6. Nei sistemi politici dell’Occidente, a differenza di quelli dei suoi nemici, si suppone che esista una scelta democratica significativa tra candidati che rappresentano visioni del mondo e valori opposti.

Si suppone che crediamo in un modello politico occidentale di apertura, pluralismo e responsabilità, anche quando negli Stati Uniti e nel Regno Unito ai cittadini viene offerto uno scarto elettorale tra due candidati e partiti che, per avere una possibilità di vittoria, devono conquistare il favore dei media aziendali che rappresentano gli interessi dei loro proprietari miliardari, devono far felici i donatori miliardari che finanziano le loro campagne e devono conquistare le grandi imprese dimostrando il loro impegno incrollabile verso un modello di crescita infinita che è completamente insostenibile.

Si suppone che questi leader siano al servizio del pubblico votante – offrendo una scelta tra destra e sinistra, tra capitale e lavoro – quando, in realtà, al pubblico viene presentata solo una scelta tra due partiti prostrati al Grande Denaro, quando i programmi politici dei partiti non sono altro che una gara a chi riesce a placare meglio l’élite della ricchezza.

Dovremmo credere che l’Occidente “democratico” rappresenti l’incarnazione della salute politica, anche se ripesca ripetutamente le peggiori persone immaginabili per guidarlo.

Negli Stati Uniti, la “scelta” imposta all’elettorato è tra un candidato (Biden) che dovrebbe essere a spasso nel suo giardino, o forse a prepararsi per i suoi ultimi, difficili anni in una casa di cura, e un concorrente (Donald Trump) la cui incessante ricerca di adorazione e arricchimento personale non avrebbe mai dovuto andare oltre la conduzione di un reality show televisivo.

Nel Regno Unito, la “scelta” non è migliore: tra un candidato (Rishi Sunak) più ricco del re britannico -e altrettanto protetto- e un concorrente (Sir Keir Starmer) che è così ideologicamente vuoto che il suo curriculum pubblico è il risultato di un decennale esercizio di riaggiustamenti.

Tutti, notiamo, sono pienamente d’accordo con chi opera il continuo genocidio a Gaza, tutti sono indifferenti a molti mesi di massacro e fame dei bambini palestinesi, tutti sono fin troppo pronti a diffamare come antisemita chiunque mostri un briciolo dei principi e dell’umanità che a loro mancano in modo evidente.

I super-ricchi possono essere appena fuori dal campo visivo, ma i fili che tirano sono fin troppo visibili. È ora di darci un taglio.

https://jonathancook.substack.com/?utm_source=substack&utm_medium=email

Traduzione a cura di AssoPacePalestina

Non sempre AssoPacePalestina condivide gli articoli che pubblichiamo, ma pensiamo che opinioni anche diverse possano essere utili per capire.

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