Gli impuniti: come gli estremisti hanno preso il controllo di Israele

Mag 24, 2024 | Notizie

di Ronen Bergman e Mark Mazzetti,

The New York Times, 16 maggio 2024. 

Dopo 50 anni in cui non si è fermata la violenza e il terrorismo contro i palestinesi da parte degli ultranazionalisti ebrei, l’illegalità è diventata legge.

Un membro del gruppo noto come Giovani delle Colline, che cerca di abbattere le istituzioni israeliane e di stabilire il “dominio ebraico”. Foto di Peter van Agtmael/Magnum, per il New York Times.

Questa storia è raccontata in tre parti. La prima documenta l’iniquo sistema di impunità che si è sviluppato intorno agli insediamenti ebraici a Gaza e in Cisgiordania. La seconda mostra come gli estremisti abbiano preso di mira non solo i palestinesi, ma anche i funzionari israeliani che cercavano di mettere pace. La terza esplora come questo movimento sia riuscito a ottenere il controllo dello stato stesso. Nel loro insieme, raccontano la storia di come un’ideologia radicale sia passata dai margini al centro del potere politico israeliano.

PARTE I.

IMPUNITÀ

Alla fine di ottobre, era chiaro che nessuno avrebbe aiutato gli abitanti del villaggio di Khirbet Zanuta. La minuscola comunità palestinese, circa 150 persone arroccate su una collina spazzata dal vento in Cisgiordania, vicino a Hebron, aveva da tempo subìto le minacce dei coloni ebrei che l’avevano costantemente accerchiata. Ma le molestie e gli atti di vandalismo occasionali, nei giorni successivi all’attacco di Hamas del 7 ottobre, si sono poi trasformati in percosse e minacce di morte. Gli abitanti del villaggio hanno lanciato appelli su appelli alla polizia israeliana e all’onnipresente esercito israeliano, ma le loro richieste di protezione sono rimaste per lo più inascoltate e gli attacchi sono continuati senza conseguenze per chi li faceva. Così un giorno gli abitanti del villaggio hanno impacchettato quello che potevano, hanno caricato le loro famiglie su dei camion e sono scomparsi.

Chi abbia poi raso al suolo il villaggio è oggetto di controversia. L’esercito israeliano dice che sono stati i coloni; un alto ufficiale della polizia israeliana dice che è stato l’esercito. In ogni caso, poco dopo la partenza degli abitanti del villaggio, di Khirbet Zanuta è rimasto ben poco oltre alle rovine di una clinica e di una scuola elementare. Su una parete della clinica, inclinata di lato, c’era un cartello che diceva che era stata finanziata da un’agenzia dell’Unione Europea che fornisce “sostegno umanitario ai palestinesi che sono a rischio di trasferimento forzato in Cisgiordania”. Vicino alla scuola, qualcuno aveva piantato la bandiera di Israele come un altro tipo di annuncio: Questa è terra ebraica ora.

Tali violenze, perpetrate per decenni in luoghi come Khirbet Zanuta, sono ben documentate. Ma proteggere le persone che compiono tali violenze è il segreto oscuro della giustizia israeliana. Il lungo arco di molestie, aggressioni e omicidi di palestinesi da parte dei coloni ebrei fa il paio con una storia d’ombra, fatta di silenzio, evitamento e favoreggiamento da parte dei funzionari israeliani. Per molti di questi funzionari, è il terrorismo palestinese a minacciare maggiormente Israele. Ma nelle interviste con più di 100 persone – ufficiali attuali ed ex ufficiali dell’esercito israeliano, della polizia nazionale israeliana e del servizio di sicurezza nazionale Shin Bet; funzionari politici israeliani di alto livello, tra cui quattro ex primi ministri; leader e attivisti palestinesi; avvocati israeliani per i diritti umani; funzionari americani incaricati di sostenere il sodalizio israelo-palestinese – abbiamo trovato una minaccia diversa e forse ancora più destabilizzante. Una lunga storia di crimini senza punizione, dicono molti di questi funzionari, minaccia non solo i palestinesi che vivono nei territori occupati, ma anche lo stesso stato di Israele.

Dopo il 7 ottobre, alcuni riservisti coloni hanno iniziato a presidiare posti di blocco non autorizzati in piena uniforme dell’esercito, una violazione aperta degli ordini che resta di solito impunita. Peter van Agtmael/Magnum, per il New York Times

Molte delle persone intervistate, alcune delle quali hanno parlato in forma anonima, altre per la prima volta apertamente, hanno raccontato non solo la violenza degli ebrei contro i palestinesi, risalente a decenni fa, ma anche uno stato israeliano che ha sistematicamente e sempre più ignorato tale violenza. È un resoconto di un movimento nazionalistico a volte criminale a cui è stato permesso di operare impunemente e di passare gradualmente dalle frange al mainstream della società israeliana. È un resoconto di come le voci all’interno del governo che si opponevano alla violenza dei coloni siano state messe a tacere e screditate. Ed è un resoconto schietto, raccontato per la prima volta dagli stessi funzionari israeliani, di come l’occupazione sia arrivata a minacciare l’integrità della democrazia del Paese.

Come abbiamo costruito questo articolo: I reporter hanno trascorso anni a intervistare più di 100 ex e attuali funzionari del governo israeliano, tra cui quattro ex primi ministri; hanno passato al setaccio documenti governativi segreti e hanno riferito da Gerusalemme, Tel Aviv, Cisgiordania e Washington. Natan Odenheimer, che ha contribuito con un reportage da Israele e dalla Cisgiordania, ha anche ottenuto documenti su come i crimini ultranazionalisti siano rimasti impuniti.

Le interviste, insieme a documenti riservati redatti negli ultimi mesi, rivelano un governo in guerra con se stesso. Un documento descrive una riunione tenutasi a marzo, quando il Magg. Gen. Yehuda Fox, capo del Comando Centrale israeliano, responsabile della Cisgiordania, ha fatto un resoconto raggelante degli sforzi di Bezalel Smotrich – un leader dell’ultradestra e funzionario del governo del Primo Ministro Benjamin Netanyahu con la supervisione della Cisgiordania – per minare l’applicazione della legge nel territorio occupato. Da quando Smotrich è entrato in carica, ha scritto Fox, gli sforzi per reprimere la costruzione di insediamenti illegali si sono ridotti “fino a scomparire”. Inoltre, secondo Fox, Smotrich e i suoi alleati stavano ostacolando proprio le misure per far rispettare la legge che il governo aveva promesso ai tribunali israeliani di adottare.

Questa è una storia, ricostruita e raccontata per la prima volta nella sua interezza, che conduce al cuore di Israele. Ma inizia in Cisgiordania, in luoghi come Khirbet Zanuta. Dalle rovine vuote del villaggio si gode di una vista chiara sulla valle e su un piccolo avamposto ebraico chiamato Fattoria Meitarim. Costruita nel 2021, la fattoria è diventata una base operativa per gli attacchi dei coloni guidati da Yinon Levi, il proprietario della fattoria. Come molti degli avamposti israeliani sorti in Cisgiordania negli ultimi anni, la Fattoria Meitarim è illegale. È illegale secondo il diritto internazionale, che secondo la maggior parte degli esperti non riconosce gli insediamenti israeliani nelle terre occupate. È illegale secondo la legge israeliana, come la maggior parte degli insediamenti costruiti a partire dagli anni Novanta.

Pochi sforzi vengono fatti per fermare la costruzione di questi avamposti o la violenza che ne deriva. In effetti, uno dei lavori quotidiani di Levi era la gestione di un’impresa di movimento terra e ha collaborato con le Forze di Difesa israeliane per demolire almeno un villaggio palestinese in Cisgiordania. Per quanto riguarda le vittime di queste violenze, esse si trovano di fronte a un sistema sconcertante e insormontabile quando cercano di ottenere soccorso. Gli abitanti dei villaggi che cercano aiuto dalla polizia devono di solito sporgere denuncia di persona presso una stazione di polizia israeliana, che in Cisgiordania si trova quasi esclusivamente all’interno degli insediamenti stessi. Dopo aver superato i controlli di sicurezza e aver raggiunto la stazione, a volte aspettano per ore un traduttore arabo, per poi sentirsi dire che non hanno i documenti giusti o prove sufficienti per presentare una denuncia. Come ci ha detto un alto funzionario militare israeliano, la polizia “sfinisce i palestinesi in modo che non presentino denunce”.

Eppure, a novembre, senza alcuna protezione da parte della polizia o dell’esercito, gli ex residenti di Khirbet Zanuta e di cinque villaggi vicini hanno scelto di verificare se la giustizia fosse ancora possibile appellandosi direttamente alla Corte Suprema di Israele. In una petizione, gli avvocati degli abitanti del villaggio, appartenenti a Haqel, un’organizzazione israeliana per i diritti umani, hanno sostenuto che giorni dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre, un gruppo di incursori che comprendeva coloni e soldati israeliani ha aggredito i residenti del villaggio, ha minacciato di omicidio e distrutto proprietà in tutto il villaggio. Hanno affermato che l’incursione fa parte di “un trasferimento di massa di antiche comunità palestinesi”, in cui i coloni, lavorando fianco a fianco con i soldati, stanno approfittando dell’attuale guerra a Gaza per raggiungere l’obiettivo di più lunga data di “ripulire” parti della Cisgiordania, aiutati dal “disprezzo ampio e senza precedenti” dello stato e dal suo “consenso de facto ai massicci atti di deportazione”.

La Corte Suprema ha accettato di ascoltare il caso e il sollievo che gli abitanti del villaggio chiedono – cioè l’applicazione della legge – potrebbe sembrare modesto. Ma il nostro reportage rivela quanto decenni di storia si siano accaniti contro di loro: Dopo 50 anni di crimini senza punizioni, per molti versi i coloni violenti e lo stato sono diventati una cosa sola.

Iskhak Jabarin vicino alla sua casa a Shab al Butum. Fa parte del gruppo che ha presentato una petizione alla Corte Suprema di Israele per chiedere protezione dai coloni, compresi quelli di Avigayil, l’insediamento dietro di lui a destra. Peter van Agtmael/Magnum, per il New York Times

SEPARATI E DISEGUALI

I devastanti attacchi di Hamas del 7 ottobre in Israele, la crisi in corso degli ostaggi israeliani e l’invasione e i bombardamenti israeliani sulla Striscia di Gaza che ne sono seguiti possono aver riportato l’attenzione del mondo sulla persistente incapacità di Israele di affrontare la questione dell’autonomia palestinese. Ma è in Cisgiordania che gli effetti corrosivi a lungo termine dell’occupazione sulla legge e sulla democrazia israeliana sono più evidenti.

Un campione di tre dozzine di casi nei mesi successivi al 7 ottobre mostra il grado sorprendente di decadenza del sistema legale. In tutti i casi, che riguardano reati diversi come il furto di bestiame, l’aggressione e l’incendio doloso, nessun sospetto è stato accusato di un crimine; in un caso, un colono ha sparato a un palestinese nello stomaco mentre un soldato delle Forze di Difesa Israeliane guardava, eppure la polizia ha interrogato l’uomo che ha sparato per soli 20 minuti, e mai come un sospetto criminale, secondo una nota interna dell’esercito israeliano. Durante l’esame dei casi, abbiamo ascoltato le registrazioni di attivisti israeliani per i diritti umani che chiamavano la polizia per denunciare vari crimini contro i palestinesi. In alcune registrazioni, la polizia si è rifiutata di recarsi sul posto, sostenendo di non sapere dove fossero i villaggi; in un caso, ha deriso gli attivisti definendoli “anarchici”. Un portavoce della Polizia Nazionale Israeliana ha rifiutato di rispondere alle ripetute domande sulle evidenze da noi raccolte.

La violenza e l’impunità dimostrate da questi casi esistevano già da molto prima del 7 ottobre. In quasi tutti i mesi precedenti a ottobre, il tasso di incidenti violenti è stato superiore a quello dello stesso mese dell’anno precedente. E Yesh Din, un gruppo israeliano per i diritti umani, esaminando più di 1.600 casi di violenza da parte dei coloni in Cisgiordania tra il 2005 e il 2023, ha scoperto che solo il 3% si è concluso con una condanna. Ami Ayalon, capo dello Shin Bet dal 1996 al 2000 – che ora parla a causa della sua preoccupazione per l’incapacità sistemica di Israele di far rispettare la legge – afferma che questa singolare mancanza di conseguenze riflette l’indifferenza della leadership israeliana da anni. “Il gabinetto, il primo ministro”, dice, “fanno capire allo Shin Bet che se viene ucciso un ebreo, è una cosa terribile. Se viene ucciso un arabo, non va bene, ma non è la fine del mondo”.

La valutazione di Ayalon è stata ripresa da molti altri funzionari che abbiamo intervistato. Mark Schwartz, un generale americano a tre stelle in pensione, è stato il più alto funzionario militare presso l’Ambasciata degli Stati Uniti a Gerusalemme dal 2019 al 2021, supervisionando gli sforzi di sostegno internazionale per la partnership tra Israele e l’Autorità Palestinese. “Non c’è responsabilità”, dice ora a proposito della lunga storia di crimini dei coloni e delle operazioni israeliane condotte con mano pesante in Cisgiordania. “Queste cose intaccano la fiducia e, in ultima analisi, la stabilità e la sicurezza di Israele e dei territori palestinesi. È innegabile”.

Dopo la guerra arabo-israeliana del 1967, Israele controllava nuovi territori in Cisgiordania, nella Striscia di Gaza, nella penisola del Sinai, nelle alture del Golan e a Gerusalemme Est. Nel 1979, ha accettato di restituire la penisola del Sinai all’Egitto. The New York Times

Come ha fatto una giovane nazione a rivoltarsi così rapidamente contro i propri ideali democratici, e a quale prezzo? Qualsiasi risposta significativa a queste domande deve tenere conto di come mezzo secolo di comportamenti illegali, rimasti in gran parte impuniti, abbiano spinto una forma radicale di ultranazionalismo al centro della politica israeliana. Questa è la storia che viene qui raccontata in tre parti. Nella prima parte, descriviamo le origini di un movimento religioso che negli anni Settanta stabilì insediamenti ebraici nei territori appena conquistati di Gaza e Cisgiordania. Nella seconda parte, raccontiamo come gli elementi più estremi del movimento dei coloni abbiano iniziato a prendere di mira non solo i palestinesi, ma anche i leader israeliani che cercavano di fare pace con loro. Nella terza parte mostriamo come i membri più affermati dell’ultradestra israeliana, impuniti per i loro crimini, abbiano conquistato il potere politico in Israele, anche se una generazione più radicale di coloni ha giurato di eliminare del tutto lo stato israeliano.

Molti israeliani che si sono trasferiti in Cisgiordania lo hanno fatto per motivi diversi dall’ideologia, e tra i coloni c’è una grande maggioranza che non è coinvolta nella violenza o in altri atti illegali contro i palestinesi. E molti all’interno del governo israeliano hanno lottato per espandere lo stato di diritto nei territori, con un certo successo. Ma hanno anche affrontato dure reazioni, con conseguenze personali talvolta gravi. Gli sforzi del Primo Ministro Yitzhak Rabin negli anni ’90, sulla scia della Prima Intifada, per fare pace con Yasir Arafat, presidente dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, hanno dato vita a una nuova generazione di terroristi ebrei e alla fine gli sono costati la vita.

Il disaccordo su come gestire i territori occupati e i loro residenti ha generato un sistema di applicazione della legge complesso e talvolta opaco. Al centro ci sono due sistemi di giustizia separati e diseguali: uno per gli ebrei e l’altro per i palestinesi.

La Cisgiordania è sotto il comando dell’IDF, il che significa che i palestinesi sono soggetti a una legge militare che conferisce all’IDF e allo Shin Bet una notevole autorità. Queste forze possono trattenere i sospetti per lunghi periodi senza processo o accesso a un avvocato o alle prove contro di loro. Possono, con poche restrizioni, intercettare, sorvegliare segretamente, entrare nei database e raccogliere informazioni su qualsiasi arabo che vive nei territori occupati. I palestinesi sono soggetti a tribunali militari – non civili – che sono molto più punitivi quando si tratta di accuse di terrorismo e meno trasparenti a un controllo esterno. (In un comunicato, l’IDF ha dichiarato: “L’uso di misure di detenzione amministrativa viene fatto solo in situazioni in cui le autorità di sicurezza dispongono di informazioni affidabili e credibili che indicano un pericolo reale rappresentato dal detenuto per la sicurezza della regione, e in assenza di altre alternative per eliminare il rischio”. La Commissione ha rifiutato di rispondere a diverse domande specifiche, in alcuni casi affermando che “gli eventi sono troppo antichi per essere affrontati”).

Secondo un alto funzionario della difesa israeliana, dal 7 ottobre circa 7.000 riservisti dei coloni sono stati richiamati dall’IDF, messi in uniforme, armati e hanno ricevuto l’ordine di proteggere gli insediamenti. Sono stati dati loro ordini specifici: non andate fuori dagli insediamenti, non copritevi il volto, non avviate blocchi stradali non autorizzati. Ma in realtà molti di loro hanno lasciato gli insediamenti in uniforme, indossando maschere, istituendo posti di blocco e molestando i palestinesi.

Tutti i coloni della Cisgiordania sono in teoria soggetti alla stessa legge militare che si applica ai residenti palestinesi. In pratica, però, sono trattati secondo la legge civile dello Stato di Israele, che formalmente si dovrebbe applicare solo nel territorio all’interno dei confini dello Stato. Ciò significa che lo Shin Bet potrebbe indagare su due atti terroristici simili in Cisgiordania – uno commesso da coloni ebrei e uno commesso da palestinesi – e utilizzare strumenti investigativi completamente diversi.

In questo sistema, anche la questione di quale comportamento venga considerato come atto di terrorismo è diversa per ebrei e arabi. Per un palestinese, la semplice ammissione di essersi dichiarato favorevole ad Hamas conta come un atto di terrorismo che consente alle autorità israeliane di utilizzare metodi di interrogatorio severi e lunghe detenzioni. Inoltre, la maggior parte degli atti di violenza compiuti da arabi contro ebrei viene classificata come attacco “terroristico”, dando allo Shin Bet e ad altri servizi la licenza di usare i metodi più duri a loro disposizione.

Il compito di indagare sul terrorismo ebraico spetta a una divisione dello Shin Bet chiamata Dipartimento per il Controspionaggio e la Prevenzione della Sovversione nel Settore Ebraico, noto più comunemente come Dipartimento Ebraico. Questo dipartimento impallidisce sia in termini di dimensioni che di prestigio rispetto al Dipartimento Arabo dello Shin Bet, la divisione incaricata principalmente di combattere il terrorismo palestinese. In ogni caso, la maggior parte degli episodi di violenza dei coloni – incendi di veicoli, taglio di uliveti – ricade sotto la giurisdizione della polizia, che tende a ignorarli. Quando il Dipartimento Ebraico indaga su minacce terroristiche più gravi, è spesso ostacolato fin dall’inizio e anche i suoi successi sono stati talvolta compromessi da giudici e politici simpatizzanti della causa dei coloni. Questo sistema, con le sue lacune e i suoi ostacoli, ha permesso ai fondatori dei gruppi che propugnavano la violenza estrema negli anni ’70 e ’80 di agire senza conseguenze, e oggi ha costruito un bozzolo protettivo intorno ai loro discendenti ideologici.

Alcune di queste persone ora guidano Israele. Nel 2022, appena 18 mesi dopo aver perso la carica di primo ministro, Benjamin Netanyahu ha riconquistato il potere stringendo un’alleanza con i leader dell’ultradestra del Partito del Sionismo Religioso e del Partito del Potere Ebraico. È stato un atto di disperazione politica da parte di Netanyahu, che ha portato al potere alcune figure veramente radicali, persone – come Smotrich e Itamar Ben-Gvir – che avevano passato decenni a impegnarsi per strappare la Cisgiordania e Gaza dalle mani degli arabi. Solo due mesi prima, secondo le notizie dell’epoca, Netanyahu si era rifiutato di condividere il palco con Ben-Gvir, che era stato condannato più volte per aver sostenuto organizzazioni terroristiche e che, davanti alle telecamere nel 1995, aveva vagamente minacciato la vita di Rabin, assassinato settimane dopo da uno studente israeliano di nome Yigal Amir.

A quel punto, Ben-Gvir era il ministro della Sicurezza nazionale di Israele e Smotrich era il ministro delle Finanze di Israele, incaricato inoltre di supervisionare gran parte delle attività del governo israeliano in Cisgiordania. Nel dicembre 2022, un giorno prima del giuramento del nuovo governo, Netanyahu ha pubblicato un elenco di obiettivi e priorità per il suo nuovo gabinetto, compresa una chiara dichiarazione che l’ideologia nazionalistica dei suoi nuovi alleati era ora la stella guida del governo. “Il popolo ebraico”, si leggeva, “ha un diritto esclusivo e inalienabile a tutte le parti della terra di Israele”.

Due mesi dopo, due coloni israeliani sono stati uccisi in un attacco di uomini armati di Hamas vicino a Huwara, un villaggio in Cisgiordania. Le diffuse richieste di vendetta, comuni dopo gli attacchi terroristici palestinesi, provenivano ora dall’interno del nuovo governo di Netanyahu. Smotrich ha dichiarato: “il villaggio di Huwara deve essere spazzato via”.

E, ha aggiunto, “credo che lo Stato di Israele debba farlo”.

Nel 2005, le autorità israeliane hanno arrestato Bezalel Smotrich dopo aver saputo di un complotto per rallentare il ritiro israeliano da Gaza. Smotrich fu poi rilasciato senza accuse. Un ufficiale dello Shin Bet che lo interrogò disse che rimase “silenzioso come un pesce” per tutto il tempo. Moti Kimchi

LA NASCITA DI UN MOVIMENTO

Con la schiacciante vittoria nella guerra arabo-israeliana del 1967, Israele ha più che raddoppiato la quantità di terra che controllava, conquistando nuovi territori in Cisgiordania, nella Striscia di Gaza, nella penisola del Sinai, sulle alture del Golan e a Gerusalemme Est. Ora si trovava di fronte a una scelta: le nuove terre sarebbero diventate parte di Israele o sarebbero state cedute come parte di un futuro stato palestinese? Per un gruppo di giovani israeliani imbevuti di zelo messianico, la risposta era ovvia. L’acquisizione dei territori animò un movimento politico religioso – Gush Emunim, o “Blocco dei Fedeli” – che era determinato a colonizzare le terre appena conquistate.

I seguaci di Gush Emunim credevano che la venuta del Messia sarebbe stata accelerata se, invece di studiare i libri sacri dalla mattina alla sera, gli ebrei avessero colonizzato i territori appena occupati. Ritenevano che questa fosse la terra del “Grande Israele” e che i primi coloni avessero uno spirito pionieristico. Si consideravano discendenti diretti dei primi sionisti, che costruirono fattorie e kibbutzim vicino ai villaggi palestinesi durante la prima parte del XX secolo, quando la terra era sotto il controllo britannico. Ma mentre il sionismo del periodo precedente era in gran parte laico e socialista, i nuovi coloni credevano di portare avanti l’agenda di Dio.

La legalità di tale programma era una questione aperta. Le Convenzioni di Ginevra, di cui Israele era firmatario, vietano alle potenze occupanti di deportare o trasferire “parti della propria popolazione civile nel territorio che occupa”. Ma lo status del territorio era, secondo molti all’interno e all’esterno del governo israeliano, più complesso. I coloni cercavano di creare ciò che alcuni di loro chiamavano “fatti sul terreno”. Questo li ha messi in conflitto sia con i palestinesi sia, almeno in teoria, con le autorità israeliane responsabili di impedire la diffusione degli insediamenti illegali.

Se il governo si sarebbe dimostrato flessibile o meno su questi temi si è visto chiaramente nell’aprile del 1975 a Ein Yabrud, una base militare giordana abbandonata vicino a Ofra, in Cisgiordania. Da mesi un gruppo di operai percorreva il breve tragitto da Israele per lavorare alla ricostruzione della base e una sera decise di rimanere. Il loro obiettivo era quello di stabilire un punto d’appoggio ebraico in Giudea e Samaria, la denominazione israeliana dei territori che compongono la Cisgiordania, e avevano trovato una porta sul retro che richiedeva solo una minima spinta. Il loro leader si incontrò la sera stessa con Shimon Peres, allora ministro della Difesa israeliano, che disse all’IDF di ritirarsi. Peres avrebbe trattato il nascente insediamento non come una comunità, ma come un “campo di lavoro”, e l’IDF non avrebbe fatto nulla per ostacolare il loro lavoro.

Uno stenditoio a Ofra nel 1979. Micha Bar-Am/Magnum Photos

La manovra di Peres era in parte un segno della debolezza del partito laburista al potere, che aveva dominato la politica israeliana fin dalla fondazione del paese. Il trauma residuo della Guerra dello Yom Kippur del 1973 – quando Israele fu colto completamente di sorpresa dalle forze egiziane e siriane prima di respingere alla fine gli eserciti invasori – aveva scosso la fiducia dei cittadini nei loro leader e movimenti come Gush Emunim, che sfidavano direttamente l’autorità dello Stato israeliano, avevano guadagnato slancio in mezzo al declino dei laburisti. Questo, a sua volta, ha rinvigorito la destra politica israeliana.

Alla fine degli anni ’70, i coloni, sostenuti in parte da un crescente favore politico, si stavano espandendo di numero. Carmi Gillon, che entrò nello Shin Bet nel 1972 e a metà degli anni Novanta ne divenne direttore, ricorda l’evoluzione dei dibattiti interni. Di chi era la responsabilità di affrontare i coloni? Il famoso servizio di sicurezza nazionale israeliano doveva far rispettare la legge di fronte ad atti di insediamento chiaramente illegali? “Quando ci siamo resi conto che Gush Emunim aveva l’appoggio di così tanti politici, abbiamo capito che non avremmo dovuto toccarli”, ha detto nella sua prima intervista per questo articolo nel 2016.

Tuttavia, un leader del movimento di ultradestra si sarebbe rivelato difficile da ignorare. Meir Kahane, un rabbino ultraradicale di Flatbush, Brooklyn, aveva fondato la militante Jewish Defense League nel 1968 a New York. Non nascondeva la sua convinzione che la violenza fosse talvolta necessaria per realizzare il suo sogno del Grande Israele, e parlava persino del progetto di acquistare fucili calibro 22 perché gli ebrei potessero difendersi. “Il motto della nostra campagna sarà: ‘Ogni ebreo ha una calibro 22’”, dichiarò. Nel 1971 ricevette la sospensione condizionale della pena per l’accusa di fabbricazione di bombe e all’età di 39 anni si trasferì in Israele per iniziare una nuova vita. Da un albergo in Piazza Sion a Gerusalemme, fondò una scuola e un partito politico, che si sarebbe poi chiamato Kach, e attirò seguaci con la sua retorica infuocata.

Meir Kahane, il rabbino militante di Brooklyn, nel 1984, subito dopo la sua elezione alla Knesset. Benami Neumann/Gamma-Rapho, via Getty Images

Kahane diceva di voler cambiare lo stereotipo che descrive gli ebrei come vittime e sosteneva, in termini spesso vivaci, che sionismo e democrazia sono radicalmente in tensione. “Il sionismo è nato per creare uno stato ebraico”, disse Kahane in un’intervista al Times nel 1985, cinque anni prima di essere assassinato da un uomo armato a New York. “Il sionismo dichiara che ci sarà uno stato ebraico con una maggioranza di ebrei, qualunque cosa accada. La democrazia dice: ‘No, se gli arabi sono la maggioranza hanno il diritto di decidere il loro destino’. Quindi sionismo e democrazia sono in contrasto. Io dico chiaramente che sto dalla parte del sionismo”.

UN RAPPORTO SEPOLTO

Nel 1977, il partito Likud ha guidato una coalizione che, per la prima volta nella storia di Israele, ha ottenuto una maggioranza di destra nel Parlamento del Paese, la Knesset. Il partito era guidato da Menachem Begin, un veterano dell’Irgun, un’organizzazione paramilitare che conduceva attacchi contro gli arabi e le autorità britanniche nella Palestina mandataria, l’entità coloniale britannica che precedette la creazione di Israele. Il Likud – in ebraico “l’alleanza” – era a sua volta un amalgama di diversi partiti politici. Il Kach stesso era ancora all’esterno e lo sarebbe sempre rimasto. Ma le sue idee e ambizioni radicali si stavano avvicinando alla corrente principale.

La vittoria del Likud arrivò 10 anni dopo la guerra che aveva portato a Israele grandi quantità di nuove terre, ma la questione di cosa fare con i territori occupati non era ancora stata risolta. Come nuovo primo ministro, Begin sapeva che affrontare la questione avrebbe significato affrontare il problema degli insediamenti. Ci poteva essere una base legale per prendere la terra? Qualcosa che permettesse agli insediamenti di espandersi con il pieno sostegno dello stato?

Fu Plia Albeck, allora burocrate poco conosciuta del Ministero della Giustizia israeliano, a trovare la risposta per Begin. Cercando tra i regolamenti dell’Impero Ottomano, che governava la Palestina negli anni precedenti al Mandato Britannico, si era imbattuta nel Codice Fondiario Ottomano del 1858, un importante sforzo di riforma fondiaria. Tra le altre disposizioni, la legge permetteva al sultano di confiscare qualsiasi terreno che non fosse stato coltivato dai proprietari per un certo numero di anni e che non si trovasse “a breve distanza” dall’ultima casa del villaggio. Il provvedimento non soddisfaceva le disposizioni della Convenzione di Ginevra, ma per il suo dipartimento era un precedente sufficiente. Ben presto Albeck si trovò a volare su un elicottero dell’esercito, a mappare la Cisgiordania e a identificare gli appezzamenti di terreno che potevano soddisfare i criteri della legge ottomana. Lo stato israeliano aveva sostituito il sultano, ma l’effetto era lo stesso. L’interpretazione giuridica creativa di Albeck portò alla formazione di oltre 100 nuovi insediamenti ebraici, che lei chiamava “i miei figli”.

Plia Albeck nel 1987. Lavorando dal Ministero della Giustizia israeliano, ha usato il Codice Fondiario Ottomano del 1858 come precedente per stabilire più di 100 nuovi insediamenti ebraici in Cisgiordania. HaOlam HaZeh

Allo stesso tempo, Begin stava tranquillamente mediando un accordo di pace con il presidente egiziano Anwar Sadat negli Stati Uniti a Camp David. Il patto che alla fine negoziarono restituì la penisola del Sinai all’Egitto e promise una maggiore autonomia ai palestinesi nei territori occupati in cambio di relazioni normalizzate con Israele. Alla fine i due leader si aggiudicarono un premio Nobel per la pace. Ma Gush Emunim e altri gruppi di destra videro gli accordi come una scioccante inversione di rotta. Da questa rabbia nacque una nuova campagna di intimidazione. Il rabbino Moshe Levinger, uno dei leader di Gush Emunim e fondatore dell’insediamento nel cuore di Hebron, ha dichiarato gli scopi del movimento alla televisione israeliana. Agli arabi, ha detto, “non deve essere permesso di alzare la testa”.

A guidare questo sforzo sarebbe stata una propaggine militarizzata del Gush Emunim chiamata Jewish Underground. Il primo assaggio di ciò che sarebbe accaduto arrivò il 2 giugno 1980. Un’autobomba esplose come parte di un complesso piano di assassinio contro figure politiche palestinesi di spicco in Cisgiordania. L’attacco fece fuori le gambe di Bassam Shaka, sindaco di Nablus; Karim Khalaf, sindaco di Ramallah, fu costretto all’amputazione di un piede. Kahane, che nei giorni precedenti l’attacco aveva detto in una conferenza stampa che il governo israeliano avrebbe dovuto formare un “gruppo terroristico ebraico” che avrebbe “lanciato bombe e granate per uccidere gli arabi”, applaudì gli attacchi, così come il rabbino Haim Druckman, un leader di Gush Emunim allora in carica alla Knesset, e molti altri all’interno e all’esterno del movimento. Il generale di brigata Binyamin Ben-Eliezer, allora comandante supremo dell’IDF in Cisgiordania, notando le ferite subite dai sindaci palestinesi sotto la sua sorveglianza, disse semplicemente: “È un peccato che non li abbiano colpiti un po’ più in alto”. Fu avviata un’indagine, ma sarebbero passati anni prima che raggiungesse qualche risultato. Ben-Eliezer è diventato leader del partito laburista e ministro della Difesa.

Bassam Shaka, sindaco di Nablus, in ospedale dopo che un attentato dinamitardo compiuto da terroristi ebrei nel 1980 gli aveva fatto saltare entrambe le gambe. David Rubinger, via Getty Images

La minaccia che gli attacchi incontrollati rappresentavano per le istituzioni e per i meccanismi di guardia della democrazia ebraica non sfuggì ad alcuni membri dell’élite israeliana. Mentre la violenza si diffondeva, un gruppo di professori dell’Università di Tel Aviv e dell’Università Ebraica di Gerusalemme inviò una lettera a Yitzhak Zamir, procuratore generale di Israele. Erano preoccupati, scrivevano, che l’illegale “attività di polizia privata” contro i palestinesi che vivono nei territori occupati rappresentava una “minaccia per lo stato di diritto nel paese”. I professori vedevano una possibile collusione tra i coloni e le autorità. “C’è il sospetto che crimini simili non siano trattati allo stesso modo e che alcuni criminali ricevano un trattamento preferenziale rispetto ad altri”, affermavano i firmatari della lettera. “Questo sospetto richiede un esame approfondito”.

La lettera scosse Zamir, che conosceva bene alcuni dei professori. Era anche consapevole che le prove di un’applicazione selettiva della legge – una legge per i palestinesi e un’altra per i coloni – avrebbero confutato l’affermazione del governo israeliano secondo cui la legge veniva applicata in modo equo e sarebbero potute diventare uno scandalo sia interno che internazionale. Zamir chiese a Judith Karp, allora vice procuratrice generale di Israele per gli incarichi speciali, di guidare una commissione che esaminasse la questione. Karp era responsabile della gestione delle questioni più delicate per il Ministero della Giustizia, ma questo caso avrebbe richiesto una discrezione ancora maggiore del solito.

Mentre la sua squadra indagava, dice Karp, “mi è apparso subito chiaro che quanto descritto nella lettera non era nulla rispetto alla realtà effettiva sul campo”. Lei e la sua commissione investigativa hanno trovato casi su casi di violazione di domicilio, estorsione, aggressione e omicidio, mentre le autorità militari e la polizia non avevano fatto nulla o avevano svolto indagini fittizie che non portavano a nulla. “La polizia e l’IDF, sia in azione che in inazione, stavano davvero collaborando con i vandali coloni”, dice Karp. “Operavano come se non avessero alcun interesse a indagare quando c’erano denunce, e in generale facevano tutto il possibile per scoraggiare i palestinesi dal presentarle”.

Nel maggio 1982, Karp e la sua commissione presentarono un rapporto di 33 pagine, in cui si stabiliva che decine di reati erano stati indagati in modo insufficiente. La commissione notava anche che, nelle loro ricerche, la polizia aveva fornito informazioni incomplete, contraddittorie e in parte false. Il comitato concludeva che quasi la metà delle indagini aperte contro i coloni erano state archiviate senza che la polizia conducesse nemmeno un’indagine rudimentale. Nei pochi casi in cui aveva indagato, la commissione aveva trovato “profonde lacune”. In alcuni casi, la polizia aveva assistito ai crimini e non aveva fatto nulla. In altri, i soldati erano disposti a testimoniare contro i coloni, ma le loro testimonianze e altre prove erano state insabbiate.

Judith Karp ha guidato un’indagine governativa interna del 1982 che ha rilevato la scarsa volontà o l’incapacità delle autorità israeliane di affrontare i crimini dei coloni. “Eravamo molto ingenui”, ricorda ora. Peter van Agtmael/Magnum, per il New York Times

Ben presto fu chiaro a Karp che il governo avrebbe insabbiato il rapporto. “Eravamo molto ingenui”, ricorda ora. Zamir aveva ricevuto l’assicurazione che il gabinetto avrebbe discusso le gravi scoperte e in effetti aveva chiesto la totale riservatezza. Il ministro degli Interni dell’epoca, Yosef Burg, invitò Karp a casa sua per quella che lei ricorda come “una conversazione personale”. Burg, leader del partito religioso nazionale filo-coloni, era ormai un ministro del governo con un incarico o un altro da più di 30 anni. Karp pensava che volesse saperne di più sul suo lavoro, che in teoria avrebbe potuto avere importanti ripercussioni sulla destra religiosa. “Ma, con mio grande stupore”, racconta l’autrice, “iniziò semplicemente a rimproverarmi con un linguaggio duro su ciò che stavamo facendo. Ho capito che voleva che lasciassimo perdere”.

La Karp annunciò che avrebbe lasciato la commissione d’inchiesta. “La situazione che abbiamo scoperto è stata di totale impotenza”, dichiarò. Quando l’esistenza del rapporto (ma non il suo contenuto) trapelò al pubblico, Burg negò di aver mai visto un’indagine del genere. Quando il contenuto completo del rapporto fu finalmente reso pubblico nel 1984, un portavoce del Ministero della Giustizia disse solo che la commissione era stata sciolta e che il Ministero non stava più monitorando il problema.

UN’ONDATA DI VIOLENZA

L’11 aprile 1982, un soldato dell’IDF in uniforme di nome Alan Harry Goodman sparò all’interno della moschea della Cupola della Roccia a Gerusalemme, uno dei luoghi più sacri per i musulmani di tutto il mondo. Imbracciando un fucile M16, dotazione standard dell’esercito israeliano, uccise due arabi e ne ferì molti altri. Quando gli investigatori perquisirono l’appartamento di Goodman, trovarono volantini di Kach, ma un portavoce del gruppo dichiarò di non aver condonato l’attacco. Il Primo Ministro Begin condannò l’attacco, ma biasimò anche i leader islamici che avevano chiesto uno sciopero generale in risposta, cosa che lui vedeva come un tentativo di “sfruttare la tragedia”.

Una rivolta fuori dalla moschea Cupola della Roccia nel 1982, dopo che Alan Harry Goodman aveva ucciso due arabi e ne aveva feriti molti altri. Bettmann/Getty Images

L’anno successivo, terroristi mascherati del Jewish Underground aprirono il fuoco contro gli studenti del Collegio islamico di Hebron, uccidendo tre persone e ferendone altre 33. Le autorità israeliane condannarono il massacro, ma furono meno chiare su chi ne dovesse rispondere. Il generale Ori Orr, comandante delle forze israeliane nella regione, dichiarò alla radio che sarebbero state perseguite tutte le strade. Ma, aggiunse, “non abbiamo alcuna descrizione e non sappiamo chi stiamo cercando”.

Il Dipartimento Ebraico si trovò continuamente in ritardo nei suoi sforzi per affrontare l’assalto. Nell’aprile del 1984, ottenne una svolta importante: i suoi agenti sventarono un piano del Jewish Underground per far esplodere cinque autobus pieni di palestinesi e arrestarono circa due dozzine di membri del Jewish Underground che avevano avuto un ruolo anche nell’attentato al Collegio Islamico e negli attentati ai sindaci palestinesi del 1980. Ma solo dopo settimane di interrogatori dei sospetti, lo Shin Bet apprese che il Jewish Underground stava sviluppando un piano per far esplodere la moschea della Cupola della Roccia. La pianificazione prevedeva decine di viaggi di raccolta di informazioni sul Monte del Tempio e una valutazione dell’esatta quantità di esplosivo che sarebbe stata necessaria e del luogo in cui collocarla. L’obiettivo era quello di trascinare l’intero Medio Oriente in una guerra, che il Jewish Underground considerava come una condizione preliminare per la venuta del Messia.

Carmi Gillon, che all’epoca era a capo del Dipartimento Ebraico dello Shin Bet, afferma che il fatto che lo Shin Bet non fosse venuto a conoscenza prima di un complotto che coinvolgeva così tante persone e di una pianificazione così ambiziosa, è stato un “grave fallimento dell’intelligence”. E non è stato lo Shin Bet, osserva, a impedire che il complotto si realizzasse. È stato lo stesso Jewish Underground. “Fortunatamente per tutti noi, hanno deciso di rinunciare al piano perché ritenevano che il popolo ebraico non fosse ancora pronto”.

Una casa in un insediamento israeliano in Cisgiordania. Dal 7 ottobre, circa 7.000 riservisti dei coloni sono stati richiamati dall’IDF, hanno indossato l’uniforme, sono stati armati e hanno ricevuto l’ordine di proteggere gli insediamenti. Peter van Agtmael/Magnum, per il New York Times

Una casa in un insediamento israeliano in Cisgiordania. Dal 7 ottobre, circa 7.000 riservisti dei coloni sono stati richiamati dall’IDF, hanno indossato l’uniforme, sono stati armati e hanno ricevuto l’ordine di proteggere gli insediamenti. Peter van Agtmael/Magnum, per il New York Times

Dovetecapire perché tutto questo è importante ora”, ci ha detto Ami Ayalon, inclinandosi in avanti per enfatizzare le sue parole. Il sole che splendeva nel cortile dell’ex direttore dello Shin Bet brillava sul suo cuoio capelluto calvo, illuminando un viso che sembrava scolpito con un coltello non affilato. “Non stiamo discutendo del terrorismo ebraico. Stiamo discutendo del fallimento di Israele”.

Ayalon è stato protettivo nei confronti del suo ex servizio, insistendo sul fatto che lo Shin Bet, nonostante alcuni fallimenti, di solito ha l’intelligence e le risorse per scoraggiare e perseguire il terrorismo di destra in Israele. E, ha detto, di solito hanno la volontà di farlo. “La domanda è perché non stanno facendo nulla al riguardo”, ha detto. “La risposta è molto semplice. Non possono affrontare i nostri tribunali. E la comunità legale trova quasi impossibile affrontare la comunità politica, che è sostenuta dalla strada. Quindi tutto parte dalla strada”.

All’inizio degli anni ’80, il movimento dei coloni aveva iniziato a guadagnare un po’ di influenza all’interno della Knesset, ma rimaneva lontano dal mainstream. Quando lo stesso Kahane fu eletto alla Knesset nel 1984, i membri degli altri partiti, compreso il Likud, si giravano e uscivano dalla stanza quando lui si alzava per tenere un discorso. Un problema era che la continua espansione degli insediamenti stava diventando un elemento di frizione nelle relazioni tra Stati Uniti e Israele. Durante un viaggio di Begin a Washington nel 1982, il Primo Ministro ebbe un incontro a porte chiuse con la Commissione per le Relazioni Estere del Senato per discutere dell’invasione israeliana del Libano di quell’anno, uno sforzo per estromettere l’OLP che aveva causato molte vittime civili. Secondo il resoconto del Times, il senatore Joseph R. Biden Jr. del Delaware, allora al suo secondo mandato, ebbe uno scambio di opinioni furioso con Begin sulla Cisgiordania, dicendogli che Israele stava perdendo il sostegno negli Stati Uniti a causa della politica degli insediamenti.

Ma i funzionari israeliani capirono che gli americani si accontentavano in genere di sfogare la loro rabbia sulla questione senza intraprendere azioni più incisive, come limitare gli aiuti militari a Israele, che allora come oggi erano fondamentali per la sicurezza del paese. Dopo che i membri del Jewish Underground responsabili degli attentati ai sindaci della Cisgiordania e di altri attacchi furono finalmente processati nel 1984, furono dichiarati colpevoli e condannati a pene che andavano da pochi mesi all’ergastolo. Tuttavia, i complottisti non mostrarono alcun rimorso e si scatenò una campagna pubblica per la loro grazia. Anche il Ministro degli Esteri Yitzhak Shamir si schierò a favore della grazia, affermando che si trattava di “ottime e brave persone che hanno sbagliato nel loro percorso e nelle loro azioni”. La clemenza, suggerì Shamir, avrebbe impedito il ripetersi del terrorismo ebraico.

Alla fine, il Presidente Chaim Herzog, contro le raccomandazioni dello Shin Bet e del Ministero della Giustizia, firmò una straordinaria serie di indulti e commutazioni di pena per i complottisti. Furono rilasciati e accolti come eroi dalla comunità dei coloni, e alcuni assunsero posizioni di rilievo nel governo e nei media israeliani. Uno di loro, Uzi Sharbav, oggi un leader del movimento per gli insediamenti, è intervenuto a una recente conferenza per promuovere il ritorno dei coloni a Gaza.

In effetti, quasi tutti gli ebrei coinvolti in attacchi terroristici contro gli arabi negli ultimi decenni hanno ricevuto sostanziali riduzioni di pena. Gillon, che era capo del Dipartimento Ebraico quando alcune di queste persone sono state arrestate, ricorda il “profondo senso di ingiustizia” che ha provato quando sono state rilasciate. Ma ancora più importante, dice, è stata “la questione del messaggio che la grazia trasmette al pubblico e a chiunque pensi di compiere atti di terrorismo contro gli arabi”.

FALLIMENTI OPERATIVI

Nel 1987, una serie di conflitti a Gaza portò a una prolungata rivolta palestinese in tutti i territori occupati e in Israele. La Prima Intifada, come venne chiamata, era motivata dalla rabbia per l’occupazione, che stava entrando nel suo terzo decennio. Per i sei anni successivi, i palestinesi attaccarono gli israeliani con pietre e bombe Molotov e lanciarono una serie di scioperi e boicottaggi. Israele dispiegò migliaia di soldati per sedare la rivolta.

Nei territori occupati, gli attacchi di rappresaglia tra coloni e palestinesi erano un problema crescente. Il movimento Gush Emunim si era diffuso e frammentato in diversi gruppi, rendendo difficile per lo Shin Bet inserire un numero sufficiente di informatori tra i coloni. Ma il servizio aveva un informatore chiave: un uomo con il nome in codice Shaul. Era una figura fidata tra i coloni ed era diventato uno stretto assistente del rabbino Moshe Levinger, il leader del Gush Emunim che aveva fondato l’insediamento di Hebron.

Levinger era stato interrogato più volte perché sospettato di avere un ruolo in molteplici attacchi violenti, ma Shaul disse agli agenti dello Shin Bet che stavano vedendo solo una parte dell’intero quadro. Ha raccontato loro delle incursioni passate e di quelle previste; dei coloni che attraversavano i villaggi arabi, vandalizzavano le case, bruciavano decine di auto. Gli agenti gli ordinarono di partecipare a questi raid per rafforzare la sua copertura. Il fotografo di un giornale di Hebron nel 1985 ha immortalato Shaul mentre distruggeva il muro di un mercato arabo con una mazza. Come da prassi, lo Shin Bet gli aveva ordinato di partecipare a qualsiasi attività che non comportasse il danneggiamento di vite umane, ma capire quali attività non avrebbero oltrepassato quel limite divenne sempre più difficile. “La maggior parte degli attivisti era composta da pazzi, gentaglia, ed era molto difficile essere sicuri che non avrebbero fatto del male alle persone e che avrebbero danneggiato solo le proprietà”, ha detto Shaul. (Shaul, la cui vera identità rimane segreta, ha fornito queste citazioni in un’intervista del 2015 con Bergman -uno degli autori di questo rapporto- per il giornale israeliano in lingua ebraica Yedioth Ahronoth. Parte del suo racconto viene pubblicato qui per la prima volta).

Nel settembre 1988, il rabbino Levinger, patrono di Shaul, stava attraversando Hebron quando, come disse in seguito in tribunale, i palestinesi iniziarono a lanciare pietre contro la sua auto e a circondarlo. Levinger tirò fuori una pistola e iniziò a sparare all’impazzata contro i negozi vicini. Gli investigatori hanno detto che uccise un negoziante di 42 anni, Khayed Salah, che stava chiudendo la saracinesca in acciaio del suo negozio di scarpe, e ferì un secondo uomo. Levinger ha invocato la legittima difesa, ma non si è certo pentito. “So di essere innocente”, ha detto al processo, “e di non aver avuto l’onore di uccidere l’arabo”.

I pubblici ministeri fecero un accordo con Levinger. Fu condannato per omicidio colposo, a cinque mesi di carcere e rilasciato dopo soli tre.

Il rabbino Moshe Levinger (a sinistra) con i suoi seguaci nel 1975. Leader del Gush Emunim, dichiarò gli scopi del movimento alla televisione israeliana. Gli arabi, disse, “non devono avere il permesso di alzare la testa”. Moshe Milner/GPO, via Getty Images

Lo Shin Bet si è trovato di fronte al classico dilemma delle agenzie di intelligence: come e quando lasciare che i suoi informatori partecipassero agli stessi atti di violenza che il servizio avrebbe dovuto fermare. C’era una certa logica nell’approccio dello Shin Bet con Shaul, ma di certo non aiutava a scoraggiare gli atti di terrore in Cisgiordania, specialmente con una scarsa presenza di polizia nei territori occupati e un potente gruppo di interesse che assicurava che chiunque fosse accusato di violenza fosse rilasciato con una sentenza leggera.

Nei molti anni trascorsi come talpa dello Shin Bet, Shaul ha raccontato di aver assistito a numerosi fallimenti operativi e di intelligence da parte dell’agenzia. Uno dei peggiori, ha detto, è stato l’omicidio di tre palestinesi nel dicembre 1993, in un atto di vendetta dopo l’assassinio di un leader dei coloni e di suo figlio. Mentre tornavano a casa dopo una giornata di lavoro in Israele, i tre palestinesi, che non avevano alcun legame con la morte dei coloni, furono tirati fuori dalla loro auto e uccisi vicino alla città cisgiordana di Tarqumiyah.

Shaul ha ricordato come un attivista dei coloni gli disse con orgoglio che lui e due amici avevano commesso gli omicidi. Ha contattato i suoi responsabili dello Shin Bet per raccontare ciò che aveva sentito. “E improvvisamente ho visto che stavano perdendo interesse”, ha detto Shaul. Solo più tardi ha capito il perché: due degli assassini erano informatori dello Shin Bet. Il servizio non voleva far saltare la propria copertura, o peggio, subire lo scandalo che due dei suoi agenti fossero coinvolti in un omicidio e in un insabbiamento.

In una dichiarazione, lo Shin Bet ha affermato che la versione dei fatti di Shaul è “piena di dettagli errati”, ma si è rifiutato di specificare quali dettagli fossero errati. Né il procuratore di Stato né il procuratore generale hanno risposto alle richieste di commento, che includevano la versione completa degli eventi di Shaul e ulteriori prove raccolte nel corso degli anni.

Shaul ha detto di aver fornito numerosi rapporti ai suoi responsabili sulle attività di un altro seguace di Meir Kahane e della Lega di Difesa Ebraica, nato a Brooklyn: il dottor Baruch Goldstein. Si era laureato in medicina all’Albert Einstein College of Medicine nel Bronx e nel 1983 era emigrato in Israele, dove ha lavorato prima come medico nell’IDF, poi come medico d’urgenza a Kiryat Arba, un insediamento vicino a Hebron.

Negli anni successivi, Goldstein si è guadagnato l’attenzione dello Shin Bet con le sue idee eliminazioniste, definendo gli arabi “nazisti dell’ultima ora” e facendo visita al terrorista ebreo Ami Popper in prigione, dove stava scontando una condanna per l’omicidio di sette palestinesi nel 1990 nel sobborgo di Tel Aviv Rishon LeZion. Shaul ha detto che all’epoca considerava Goldstein una “figura carismatica e altamente pericolosa” e ha ripetutamente sollecitato lo Shin Bet a monitorarlo. “Mi hanno risposto che non erano affari miei”, ha detto.

‘MANI PULITE’

Il 24 febbraio 1994, Goldstein licenziò improvvisamente il suo autista personale. Secondo Shaul, Goldstein disse all’autista che sapeva che era un informatore dello Shin Bet. Terrorizzato per essere stato scoperto, l’autista fuggì immediatamente dalla Cisgiordania. Ora Goldstein si muoveva inosservato.

Quella sera era iniziato il Purim, la commemorazione festiva della vittoria degli ebrei su Haman l’Agagita, funzionario di corte dell’Impero persiano e nemesi degli ebrei nel Libro di Ester dell’Antico Testamento. Gli israeliani di destra hanno spesso tracciato paralleli tra Haman e gli arabi – nemici che cercano di annientare gli ebrei. Goldstein si è svegliato presto il giorno dopo, ha indossato la sua uniforme dell’IDF e alle 5:20 è entrato nella Grotta dei Patriarchi, un antico complesso di Hebron che funge da luogo di culto sia per gli ebrei che per i musulmani. Goldstein portava con sé il suo fucile Galil in dotazione all’IDF. Era anche il mese sacro musulmano del Ramadan e quella mattina centinaia di musulmani affollavano la sala di preghiera. Goldstein si è messo di fronte ai fedeli e ha iniziato a fare fuoco, sparando 108 colpi prima di essere trascinato a terra e picchiato a morte. Il massacro ha ucciso 29 fedeli musulmani e ne ha feriti più di 100.

Baruch Goldstein, un medico di Brooklyn trasferitosi in Israele nel 1983. Nel 1994 aprì il fuoco in una moschea nella Grotta dei Patriarchi a Hebron, uccidendo 29 fedeli musulmani prima di essere trascinato e picchiato a morte. La sua tomba è ora un luogo di pellegrinaggio per i coloni ultraradicali. Agence France-Presse – Getty Images

Gli omicidi sconvolsero Israele e il governo rispose con un giro di vite sull’estremismo. Kach e Kahane Chai, le due organizzazioni politiche più strettamente affiliate al movimento kahanista, furono messe fuori legge ed etichettate come gruppi terroristici, così come qualsiasi altro partito che chiedesse “l’istituzione di una teocrazia nella biblica Terra d’Israele e l’espulsione violenta degli arabi da quella terra”. Rabin, in un discorso alla Knesset, si rivolse direttamente ai seguaci di Goldstein e Kahane, che secondo lui erano il prodotto di una malevola influenza straniera su Israele. “Non fate parte della comunità di Israele”, disse. “Non siete partner dell’impresa sionista. Siete un trapianto straniero. Siete un’erbaccia. L’ebraismo ragionevole vi sputa fuori. Vi siete posti al di fuori del muro della legge ebraica”.

Dopo il massacro, fu nominata una commissione d’inchiesta statale, guidata dal giudice Meir Shamgar, presidente della Corte Suprema. Il rapporto della commissione, reso pubblico nel giugno 1994, criticava aspramente gli accordi di sicurezza alla Grotta dei Patriarchi ed esaminava le pratiche delle forze dell’ordine nei confronti dei coloni e dell’estrema destra in generale. Un’appendice segreta al rapporto, contenente materiale ritenuto troppo sensibile per il consumo pubblico, includeva una lettera del dicembre 1992 del commissario di polizia israeliano, che ammetteva essenzialmente che la polizia non era in grado di far rispettare la legge. “La situazione nei distretti è estremamente desolante”, scriveva, usando la nomenclatura amministrativa per i territori occupati. “La capacità della polizia di funzionare è ben lontana dal minimo richiesto. Ciò è dovuto alla mancanza di risorse essenziali”.

Nelle sue conclusioni, la commissione, ricalcando le linee del rapporto Karp del decennio precedente, confermava ciò che le organizzazioni per i diritti umani avevano detto per anni, ma che erano state ignorate dall’establishment israeliano. La commissione aveva riscontrato che le forze dell’ordine israeliane erano “inefficaci nel gestire le denunce”, che ritardavano la presentazione delle accuse e che raramente venivano emessi ordini restrittivi contro i criminali “cronici” del “nocciolo duro” dei coloni.

L’IDF rifiutò di permettere che Goldstein fosse sepolto nel cimitero ebraico di Hebron. È stato invece sepolto nell’insediamento di Kiryat Arba, in un parco intitolato a Meir Kahane, e la sua tomba è diventata un luogo di pellegrinaggio permanente per gli ebrei che vogliono celebrare, come recita il suo epitaffio, il “santo” che è morto per Israele con “mani pulite e cuore puro”.

Due uomini studiano vicino alla Grotta dei Patriarchi a Hebron. Dietro di loro, alcuni tirocinanti della polizia di frontiera israeliana in viaggio d’istruzione entrano nella grotta. Peter van Agtmael/Magnum, for The New York Times

UNA MALEDIZIONE DI MORTE

Un colono ultranazionalista che si recava regolarmente sulla tomba di Goldstein era un adolescente radicale di nome Itamar Ben-Gvir, che a volte radunava altri seguaci in occasione del Purim per celebrare l’assassino ucciso. I festeggiatori di Purim spesso si vestono in costume e in una di queste occasioni, ripresa in video, Ben-Gvir indossava addirittura un costume da Goldstein, completo di barba finta e stetoscopio. A quel punto, Ben-Gvir aveva già attirato l’attenzione del Dipartimento Ebraico e gli investigatori lo interrogarono più volte. L’esercito rifiutò di arruolarlo nel servizio militare previsto per la maggior parte dei cittadini israeliani.

Dopo il massacro alla Grotta dei Patriarchi, una nuova generazione di kahanisti ha indirizzato la propria rabbia contro Rabin per aver firmato l’accordo di Oslo e per averli privati, a loro avviso, dei loro diritti di nascita. “Dal mio punto di vista, l’azione di Goldstein fu un campanello d’allarme”, dice Hezi Kalo, un alto funzionario dello Shin Bet di lunga data che all’epoca supervisionava la divisione che comprendeva il Dipartimento Ebraico. “Mi resi conto che sarebbe stata una storia molto pesante, che le mosse diplomatiche del governo Rabin non sarebbero passate senza spargimento di sangue”.

Il governo israeliano stava finalmente prestando attenzione alla minaccia e alcune parti del governo agirono per affrontarla. Lo Shin Bet aumentò le dimensioni del Dipartimento Ebraico e iniziò a lanciare un nuovo tipo di allarme: i terroristi ebrei non minacciavano più solo gli arabi. Minacciavano gli ebrei.

Alcuni avvertimenti hanno fatto notare che i rabbini degli insediamenti in Cisgiordania, insieme ad alcuni politici di destra, stavano ora apertamente sostenendo la violenza contro i funzionari pubblici israeliani, specialmente Rabin. I rabbini estremisti hanno emesso sentenze di legge ebraica contro Rabin – imponendo una maledizione di morte, una Pulsa Dinura, e fornendo una giustificazione per ucciderlo, un din rodef.

Carmi Gillon aveva ormai lasciato la direzione del Dipartimento Ebraico e ora aveva l’incarico più importante allo Shin Bet. “Discutere e riconoscere qeste leggi halakhiche equivaleva a una licenza di uccidere”, dice ora, ripensandoci. Era particolarmente preoccupato per Benjamin Netanyahu e Ariel Sharon, che stavano alimentando la furia dei rabbini di destra e dei leader dei coloni nelle loro battaglie contro Rabin.

Lo Shin Bet voleva perseguire i rabbini che avevano approvato le condanne a morte per motivi religiosi contro Rabin, ma l’ufficio del Procuratore di Stato si rifiutò. “All’epoca non davano abbastanza importanza al legame tra l’incitamento e la legittimazione del terrorismo”, dice un ex procuratore che ha lavorato nell’ufficio del Procuratore di Stato a metà degli anni ’90.

Nel 1995 lo Shin Bet lanciò un avvertimento dopo l’altro. “Non si trattava più di un semplice incitamento, ma di informazioni concrete sull’intenzione di uccidere figure politiche di primo piano, tra cui Rabin”, ricorda ora Kalo. Nell’ottobre di quell’anno, Ben-Gvir parlò alle telecamere della televisione israeliana tenendo in mano un ornamento del cofano di una Cadillac, che si vantava di aver divelto dall’auto di servizio del Primo Ministro durante le caotiche manifestazioni contro Oslo davanti alla Knesset. “Abbiamo preso la sua auto”, disse, “e prenderemo anche lui”. Il mese successivo Rabin era morto.

Itamar Ben-Gvir, ora ministro israeliano della sicurezza nazionale, durante una protesta nel 2009. Moti Milrod/Associated Press

COSPIRAZIONI

Yigal Amir, l’uomo che sparò e uccise Rabin a Tel Aviv dopo una manifestazione a sostegno degli accordi di Oslo il 4 novembre 1995, non era sconosciuto al Dipartimento Ebraico. Un venticinquenne che studiava legge, informatica e Torah all’Università Bar-Ilan vicino a Tel Aviv, si era radicalizzato di fronte agli sforzi di Rabin per fare la pace con i leader palestinesi e aveva legami con Avishai Raviv, il leader di Eyal, un nuovo gruppo di estrema destra vagamente affiliato al movimento Kach. In realtà, Raviv era un informatore dello Shin Bet, nome in codice Champagne. Aveva sentito Amir parlare della giustizia delle sentenze del din rodef, ma non lo aveva identificato ai suoi responsabili come un pericolo immediato. “Nessuno ha preso Yigal sul serio”, ha detto più tardi in un procedimento giudiziario. “È comune nei nostri circoli parlare di attacchi a personaggi pubblici”.

Lior Akerman è stato il primo investigatore dello Shin Bet a interrogare Amir nel centro di detenzione dove era stato rinchiuso dopo l’assassinio. Naturalmente non c’erano dubbi sulla sua colpevolezza. Ma c’era la questione più ampia della cospirazione. Amir aveva dei complici? Avevano altri piani? Akerman ricorda di aver chiesto ad Amir come potesse conciliare la sua fede in Dio con la decisione di assassinare il Primo Ministro di Israele. Amir, riferisce, gli disse che i rabbini avevano giustificato l’uccisione del primo ministro per proteggere Israele.

Amir era compiaciuto, ricorda Akerman, e non rispose direttamente alla domanda sui complici. “Ascoltate”, ha detto, secondo Akerman, “ci sono riuscito. Sono riuscito a fare qualcosa che molti volevano ma che nessuno osava fare. Ho sparato con una pistola che molti ebrei avevano in mano, ma ho premuto il grilletto perché nessun altro aveva il coraggio di farlo”.

Yigal Amir, che ha assassinato il Primo Ministro Yitzhak Rabin nel 1995, durante un’apparizione in tribunale nel 2004. Lior Mizrahi/Getty Images

Gli investigatori dello Shin Bet chiesero di conoscere l’identità dei rabbini. Amir all’inizio è stato schivo, ma alla fine gli interrogatori hanno tirato fuori abbastanza da identificare almeno due di loro. Kalo, il capo della divisione che supervisionava il Dipartimento Ebraico, si è rivolto al procuratore generale per sostenere che i rabbini dovevano essere arrestati immediatamente e perseguiti per incitamento all’omicidio. Ma il procuratore generale non è stato d’accordo, affermando che quella dei rabbini era una voce protetta e il loro incoraggiamento non poteva essere direttamente collegato all’omicidio. Nessun rabbino fu arrestato.

Giorni dopo, tuttavia, la polizia portò Raviv – l’agente dello Shin Bet noto come Champagne – in detenzione presso una Corte Magistrale di Tel Aviv, con l’accusa di aver cospirato per uccidere Rabin, ma fu rilasciato poco dopo. Il ruolo di Raviv come informatore venne in seguito alla luce e nel 1999 fu arrestato per non aver agito in base alle precedenti conoscenze dell’assassinio. Venne assolto da tutte le accuse, ma da allora è diventato un punto fermo delle teorie cospiratorie estremiste che vedono il suo mancato allarme come prova del fatto che l’assassinio del Primo Ministro non fu dovuto alla retorica violenta della destra dei coloni, o alle condanne a morte dei rabbini, o all’incitamento dei leader dell’opposizione, ma agli sforzi fin troppo riusciti di un agente provocatore dello Shin Bet. Una teoria del complotto più complicata e insidiosa, ma non per questo meno falsa, era che fosse stato lo stesso Shin Bet ad assassinare Rabin o a permettere che l’assassinio avvenisse.

Avishai Raviv (a destra), l’agente dello Shin Bet noto come Champagne, nel 1987. Raviv è stato accusato nel 1999 di non aver impedito l’assassinio di Rabin. In seguito è stato assolto. Moshe Shai/Flash90

Gillon, all’epoca capo del servizio, si dimise e le indagini, le accuse e le controaccuse continuarono per anni. Fino al 7 ottobre 2023, l’uccisione del primo ministro è stata considerata il più grande fallimento nella storia dello Shin Bet. Kalo ha cercato di riassumere cosa è andato storto nella sicurezza israeliana. “L’unica risposta che io e i miei amici potevamo dare al fallimento era la compiacenza”, ha scritto nel suo libro di memorie del 2021. “Semplicemente non riuscivano a credere che una cosa del genere potesse accadere, sicuramente non per mano di un altro ebreo”.

IL RAPPORTO SASSON

Nel 2001, mentre la Seconda Intifada scatenava un’ondata di attentati suicidi palestinesi contro i civili israeliani, Ariel Sharon assunse la carica di Primo Ministro. Il difficile processo di pace si era completamente fermato in mezzo alle violenze e l’ascesa di Sharon sembrava inizialmente segnare un’altra vittoria per i coloni. Ma nel 2003, in una delle più sorprendenti inversioni di rotta della storia politica israeliana, Sharon annunciò quello che definì il “disimpegno” di Israele da Gaza, con un piano per rimuovere i coloni – con la forza, se necessario – nei due anni successivi.

Le motivazioni erano complesse e oggetto di un notevole dibattito. Per Sharon, almeno, sembrava essere una mossa tattica. “Il significato del piano di disimpegno è il congelamento del processo di pace”, disse all’epoca il suo consigliere senior Dov Weisglass ad Haaretz. “E quando si congela il processo, si impedisce la creazione di uno stato palestinese”. Ma Sharon stava anche affrontando notevoli pressioni da parte del Presidente George W. Bush per fare qualcosa riguardo agli insediamenti illegali in Cisgiordania, in continua espansione, che costituivano un crescente ostacolo a qualsiasi accordo di sicurezza regionale. Nel luglio 2004, Sharon chiese a Talia Sasson, da poco in pensione come capo della divisione compiti speciali dell’ufficio del Procuratore di Stato, di redigere un parere legale sul tema degli “avamposti non autorizzati” in Cisgiordania. Le sue istruzioni erano chiare: indagare su quali agenzie e autorità governative israeliane fossero segretamente coinvolte nella costruzione degli avamposti. “Sharon non interferì mai nel mio lavoro, e non fu nemmeno sorpreso dalle conclusioni”, ha detto Sasson in un’intervista rilasciata due decenni dopo. “Dopo tutto, sapeva meglio di chiunque altro quale fosse la situazione sul campo e si aspettava solo conclusioni gravi”.

La domanda era abbastanza semplice: come è stato possibile che centinaia di avamposti siano stati costruiti nel decennio successivo all’ordine di Yitzhak Rabin di fermare la maggior parte dei nuovi insediamenti? Ma lo sforzo di Sasson di trovare una risposta si scontrò con ritardi, evitamenti e vere e proprie bugie. Il suo rapporto finale usava un linguaggio attento ma puntuale: “Non tutti quelli a cui mi sono rivolta hanno accettato di parlare con me. Uno ha dichiarato di essere troppo impegnato per incontrarmi, mentre un altro è venuto all’incontro ma si è rifiutato di rispondere in modo significativo alla maggior parte delle mie domande”.

Sasson scoprì che tra il gennaio 2000 e il giugno 2003, una divisione del Ministero israeliano per le Costruzioni e gli Alloggi aveva emesso 77 bandi per la creazione di 33 siti in Cisgiordania, tutti illegali. In alcuni casi, il Ministero aveva persino pagato la pavimentazione di strade e la costruzione di edifici in insediamenti per i quali il Ministero della Difesa aveva emesso ordini di demolizione.

Diversi ministeri hanno nascosto il fatto che i fondi venivano dirottati verso la Cisgiordania, riportandoli invece sotto clausole di bilancio come “sviluppo generale vario”. Proprio come nel caso del Rapporto Karp di due decenni prima, Sasson e i suoi colleghi del Ministero della Giustizia scoprirono che la Cisgiordania veniva amministrata in base a leggi completamente separate che, dice Sasson, “mi apparvero del tutto folli”.

Talia Sasson consegna un rapporto sugli insediamenti ebraici non autorizzati nel 2005. Il suo rapporto ha rilevato che “sono state le agenzie statali e pubbliche a violare la legge, le regole, le procedure che lo Stato stesso aveva stabilito”. Flash90/EPA

Il rapporto di Sasson prendeva in particolare considerazione Avi Maoz, che diresse il Ministero delle Costruzioni e degli Alloggi durante la maggior parte di quel periodo. Attivista politico che all’inizio della sua carriera parlava apertamente di spingere tutti gli arabi fuori dalla Cisgiordania, Maoz ha contribuito a fondare un insediamento a sud di Gerusalemme negli anni ’90 e ha iniziato a costruire un’alleanza professionale con Benjamin Netanyahu, che all’epoca era ambasciatore israeliano presso le Nazioni Unite e che di lì a poco avrebbe ottenuto il suo primo mandato come primo ministro. Anni dopo, Maoz sarebbe stato determinante nel garantire la sopravvivenza politica di Netanyahu.

“Il quadro che emerge agli occhi di chi guarda è grave”, ha scritto Sasson nel suo rapporto. “Invece di essere il governo di Israele a decidere la creazione di insediamenti nei territori di Giudea e Samaria, il suo posto è stato preso, dalla metà degli anni ’90 in poi, da altri”. I coloni, ha scritto, sono stati “la forza motrice”, ma non avrebbero potuto avere successo senza l’assistenza di “vari ministri dell’edilizia e delle abitazioni nei periodi pertinenti, alcuni dei quali chiudevano un occhio, altri fornivano sostegno e incoraggiamento”.

Questa rete clandestina operava, scrive Sasson, “con massicci finanziamenti da parte dello stato di Israele, senza un’adeguata trasparenza pubblica, senza criteri obbligatori. La costruzione degli avamposti non autorizzati avviene in violazione delle procedure corrette e delle regole amministrative generali e, in particolare, in flagrante e continua violazione della legge”. Queste violazioni, ha avvertito Sasson, provengono dal governo: “Sono state le agenzie statali e pubbliche a violare la legge, le regole e le procedure che lo stato stesso aveva stabilito”. Si tratta di un conflitto che ha di fatto neutralizzato i controlli e gli equilibri interni di Israele e che rappresenta una grave minaccia per l’integrità della nazione. “Le forze dell’ordine non sono in grado di agire contro i dipartimenti governativi che a loro volta violano la legge”.

Ma, come era accaduto al rapporto segreto di Judith Karp di decenni prima, il Rapporto Sasson, reso pubblico nel marzo 2005, non ha avuto quasi alcun impatto. Avendo ricevuto un mandato direttamente dal Primo Ministro, Sasson poteva credere che la sua indagine avrebbe potuto portare allo smantellamento degli avamposti illegali che si erano diffusi in tutti i territori palestinesi. Ma anche Sharon, con la sua alta carica, si era trovato impotente di fronte alla macchina che ora proteggeva ed espandeva gli insediamenti in Cisgiordania – la stessa macchina che lui aveva contribuito a costruire.

Il tutto sullo sfondo del ritiro da Gaza. Sharon, che ha iniziato a supervisionare la rimozione degli insediamenti da Gaza nell’agosto 2005, è stato il terzo primo ministro israeliano a minacciare il sogno dei coloni di un Grande Israele, e il suo sforzo ha attirato un’aspra opposizione non solo da parte dei coloni ma anche da una parte crescente dell’establishment politico. Netanyahu, che ha svolto il suo primo mandato come primo ministro dal 1996 al 1999 e che in precedenza aveva votato a favore del ritiro, si è dimesso dalla carica di ministro delle Finanze nel gabinetto di Sharon in segno di protesta – e in previsione di un’altra corsa per il posto di primo ministro.

Avi Maoz ha contribuito a fondare un insediamento a sud di Gerusalemme negli anni ’90 e ha iniziato a costruire un’alleanza professionale con Benjamin Netanyahu. Anni dopo, Maoz sarebbe stato determinante nel garantire la sopravvivenza politica di Netanyahu. Amir Cohen/EPA, via Shutterstock

I coloni stessi hanno preso misure più attive. Nel 2005, il Dipartimento Ebraico dello Shin Bet ha ricevuto informazioni su un complotto per rallentare il ritiro israeliano da Gaza utilizzando 700 litri di benzina per far esplodere veicoli su un’autostrada principale. In seguito alla soffiata, gli agenti hanno arrestato sei uomini nel centro di Israele. Uno di loro era Bezalel Smotrich, il futuro ministro che supervisionava gli affari civili in Cisgiordania.

Smotrich, allora 25enne, fu trattenuto e interrogato per settimane. Yitzhak Ilan, uno degli ufficiali dello Shin Bet presenti agli interrogatori, racconta che Smotrich rimase “silenzioso come un pesce” per tutto il tempo, “come un criminale esperto”. Fu rilasciato senza accuse, dice Ilan, in parte perché lo Shin Bet sapeva che sottoporlo a processo avrebbe potuto esporre gli agenti del servizio all’interno dei gruppi estremisti ebraici, e in parte perché riteneva che in ogni caso Smotrich avrebbe probabilmente ricevuto una punizione minima. Lo Shin Bet era molto a suo agio con i tribunali quando combattevamo il terrorismo palestinese e ottenevamo le punizioni pesanti che volevamo, dice. Con i terroristi ebrei è stato esattamente il contrario.

Quando Netanyahu fece il suo trionfale ritorno come primo ministro nel 2009, si propose di minare il rapporto di Talia Sasson, che lui e i suoi alleati vedevano come un ostacolo all’accelerazione della campagna di insediamento. Nominò una propria commissione d’inchiesta, guidata dal giudice Edmond Levy della Corte Suprema, noto per il suo sostegno alla causa dei coloni. Ma il rapporto Levy, completato nel 2012, non ha minato le conclusioni del rapporto Sasson, anzi, per certi versi le ha rafforzate. Secondo la commissione, gli alti funzionari israeliani erano pienamente consapevoli di ciò che stava accadendo nei territori e lo stavano semplicemente negando per motivi di opportunità politica. Questo comportamento, hanno scritto, non si addice a “un paese che ha proclamato lo stato di diritto come obiettivo”. Netanyahu è andato comunque avanti.

Coloni che piantano alberi nei pressi di un insediamento illegale chiamato Mitzpe Yair, nelle colline a Sud di Hebron, come modo per appropriarsi del territorio. Peter van Agtmael/Magnum, for The New York Times

PARTE III.

UNA NUOVA GENERAZIONE

L’ascesa di un primo ministro di estrema destra non ha impedito che la virulenta tendenza antigovernativa all’interno del movimento dei coloni si diffondesse. Una nuova generazione di kahanisti stava prendendo una piega ancora più radicale, non solo contro i politici israeliani che potevano opporsi a loro o che non li avevano sufficientemente aiutati, ma contro la nozione stessa di stato israeliano democratico. Un gruppo che si faceva chiamare Hilltop Youth propugnava la distruzione totale dello stato sionista. Meir Ettinger, che prende il nome da suo nonno Meir Kahane, era uno dei leader della Hilltop Youth e faceva sembrare moderate le opinioni di suo nonno.

Il loro obiettivo era quello di abbattere le istituzioni israeliane e stabilire un “dominio ebraico”: ungere un re, costruire un tempio al posto delle moschee di Gerusalemme sacre ai musulmani di tutto il mondo, imporre un regime religioso a tutti gli ebrei. Ehud Olmert, che è stato primo ministro israeliano dal 2006 al 2009, ha dichiarato in un’intervista che la Hilltop Youth “crede sinceramente, profondamente, emotivamente che questa sia la cosa giusta da fare per Israele. È una salvezza. Questa è la garanzia per il futuro di Israele”.

Un ex membro della Hilltop Youth, che ha chiesto di rimanere anonima perché teme che parlarne possa metterla in pericolo, ricorda come lei e i suoi amici usassero un avamposto illegale su una collina in Cisgiordania come base per lanciare pietre contro le auto palestinesi. “I palestinesi chiamavano la polizia e noi sapevamo di avere almeno 30 minuti prima del loro arrivo, se arrivavano. E se arrivavano, non arrestavano nessuno. Lo abbiamo fatto decine di volte”. La polizia della Cisgiordania, dice, non avrebbe potuto essere meno interessata a indagare sulle violenze. “Quando ero giovane, pensavo di essere più furba della polizia perché ero intelligente. Più tardi ho scoperto che o non ci provano o sono molto stupidi”.

L’ex membro della Hilltop Youth racconta di aver iniziato ad allontanarsi dal gruppo quando le loro tattiche sono diventate più estreme e quando Ettinger ha iniziato a parlare apertamente di uccidere i palestinesi. Si è offerta di diventare un’informatrice della polizia e, durante un incontro con i funzionari di intelligence della polizia nel 2015, ha descritto i piani del gruppo per commettere omicidi – e per fare del male a qualsiasi ebreo che si fosse messo sulla loro strada. Secondo il suo resoconto, ha raccontato alla polizia degli sforzi per perlustrare le case dei palestinesi prima di scegliere un obiettivo. La polizia avrebbe potuto avviare un’indagine, dice, ma non era nemmeno abbastanza curiosa da chiederle i nomi delle persone che stavano progettando l’attacco.

Nel 2013, Ettinger e altri membri della Hilltop Youth hanno formato una cellula segreta che si fa chiamare Revolt, con l’obiettivo di istigare un’insurrezione contro un governo che “ci impedisce di costruire il tempio, che blocca la nostra strada verso la vera e completa redenzione”.

Durante una perquisizione in uno dei rifugi del gruppo, gli investigatori dello Shin Bet hanno scoperto i documenti di fondazione della Revolt. “Lo stato di Israele non ha il diritto di esistere e quindi non siamo vincolati alle regole del gioco”, dichiarava uno dei documenti. I documenti chiedevano la fine dello stato di Israele e chiarivano che nel nuovo stato che sarebbe sorto al suo posto non ci sarebbe stato assolutamente spazio per i non ebrei e per gli arabi in particolare: “Se i non ebrei non se ne andranno, sarà lecito ucciderli, senza distinguere tra donne, uomini e bambini”.

Non si trattava solo di chiacchiere. Ettinger e i suoi compagni organizzarono un piano che comprendeva tempistiche e passi da compiere in ogni fase. Un membro ha persino redatto un manuale di addestramento con le istruzioni su come formare le cellule del terrore e bruciare le case. “Per impedire ai residenti di fuggire”, consigliava il manuale, “si possono lasciare pneumatici incendiati all’ingresso della casa”.

Revolt ha compiuto un primo attacco nel febbraio 2014, incendiando una casa disabitata in un piccolo villaggio arabo in Cisgiordania chiamato Silwad, ed ha proseguito con altri attacchi incendiari, lo sradicamento di uliveti e la distruzione di granai palestinesi. I membri del gruppo hanno incendiato moschee, monasteri e chiese, tra cui la Chiesa della Moltiplicazione dei Pani e dei Pesci sulle rive del Mar di Galilea. Un ufficiale di polizia ha visto lo stesso Ettinger attaccare un gregge di pecore appartenente a un pastore arabo. Ha lapidato una pecora e poi l’ha sgozzata davanti al pastore, ha testimoniato in seguito l’ufficiale. “È stato scioccante”, ha detto. “C’era una sorta di follia in tutto ciò”.

Meir Ettinger, nipote di Meir Kahane e leader della Hilltop Youth, dopo il suo arresto nel 2015. È stato rilasciato dalla detenzione amministrativa, con alcune restrizioni, dopo 10 mesi. Ariel Schalit/Associated Press

Lo Shin Bet ha definito Revolt come un’organizzazione che cercava di “minare la stabilità dello stato di Israele attraverso il terrore e la violenza, compresi danni fisici e spargimenti di sangue”, secondo un memo interno dello Shin Bet, e ha cercato di mettere diversi dei suoi membri, tra cui Ettinger, in detenzione amministrativa – una misura applicata spesso contro gli arabi.

Il Procuratore di Stato, tuttavia, non ha approvato la richiesta. L’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari (OCHA) ha documentato 323 episodi di violenza da parte dei coloni contro i palestinesi nel 2014; i palestinesi sono stati feriti in 107 di questi incidenti. L’anno successivo, Revolt ha intensificato la violenza sostenendo apertamente l’omicidio di arabi.

Lo Shin Bet e la polizia hanno identificato uno dei membri di spicco di Revolt, Amiram Ben-Uliel, rendendolo un obiettivo della sorveglianza. Ma il servizio non è riuscito a prevenire l’ondata di violenza che ha scatenato. La notte del 31 luglio 2015, Ben-Uliel si è lanciato in una serie di omicidi in un villaggio della Cisgiordania centrale chiamato Duma. Ben-Uliel ha preparato una borsa con due bottiglie di liquido incendiario, stracci, un accendino, una scatola di fiammiferi, guanti e vernice spray nera. Secondo l’accusa contro di lui, Ben-Uliel ha cercato una casa con chiari segni di vita per assicurarsi che la casa che incendiava non fosse abbandonata. Alla fine ha trovato la casa di Reham e Sa’ad Dawabsheh, una giovane madre e un giovane padre. Ha aperto una finestra e ha lanciato una molotov nell’abitazione. È fuggito e nell’incendio che ne è seguito i genitori hanno riportato ferite che li hanno uccisi. Il loro figlio maggiore, Ahmad, è sopravvissuto all’attacco, ma il loro bambino di 18 mesi, Ali, è morto bruciato.

È sempre stato chiaro, dice Akerman, ex funzionario dello Shin Bet, “che quei gruppi selvaggi sarebbero passati dal bullismo verso gli arabi al danneggiamento di proprietà e alberi e infine all’omicidio di persone”. È ancora furioso per come il servizio ha gestito il terrorismo ebraico. “Lo Shin Bet sa come trattare questi gruppi, usando ordini di emergenza, detenzione amministrativa e metodi speciali di interrogatorio fino a quando non cedono”, dice. Ma sebbene fosse perfettamente disposto ad applicare questi metodi per indagare sul terrorismo arabo, il servizio è stato più moderato quando si è trattato di ebrei. “Permetteva loro di incitare alla violenza, poi passavano alla fase successiva e cominciavano a dare fuoco a moschee e chiese. Ancora imperterriti, sono entrati a Duma e hanno bruciato una famiglia”.

Ahmad Dawabsheh, l’unico sopravvissuto all’attacco incendiario di Amiram Ben-Uliel che ha ucciso i suoi genitori e il fratello minore, nella casa di Duma dove sono avvenuti gli omicidi, che è stata lasciata intatta. Peter van Agtmael/Magnum, for The New York Times

In un primo momento lo Shin Bet ha affermato di avere difficoltà a localizzare gli assassini, anche se si supponeva che fossero tutti sotto costante sorveglianza. Quando Ben-Uliel e gli altri responsabili furono finalmente arrestati, i politici di destra tennero discorsi infuocati contro lo Shin Bet e incontrarono le famiglie dei responsabili per mostrare il loro sostegno. Ben-Uliel è stato condannato all’ergastolo e Ettinger è stato infine messo in detenzione amministrativa, ma la frattura si stava allargando. Nel dicembre 2015, i membri della Hilltop Youth fecero circolare un video che mostrava i membri di Revolt ballare estasiati con fucili e pistole, cantando canzoni di odio per gli arabi, mentre uno di loro accoltellava e bruciava una fotografia del bambino ucciso, Ali Dawabsheh. Netanyahu, da parte sua, ha denunciato il video, che, ha detto, ha esposto “il vero volto di un gruppo che rappresenta un pericolo per la società e la sicurezza israeliana”.

Amiram Ben-Uliel parla alla moglie da dietro un vetro durante un’udienza in Israele nel 2020. Attualmente sta scontando diversi ergastoli. Menahem Kahana/Agence France-Presse – Getty Images

AMICI AMERICANI

L’espansione degli insediamenti è stata a lungo un elemento di frizione nelle relazioni di Israele con gli Stati Uniti, con funzionari americani che hanno passato anni a mettere doverosamente in guardia Netanyahu sia in pubblico che in incontri privati sul suo sostegno all’impresa delle colonie. Ma l’elezione di Donald Trump nel 2016 ha messo fine a tutto questo. La politica verso Israele della sua nuova amministrazione è stata guidata soprattutto dal genero, Jared Kushner, che ha avuto una lunga relazione personale con Netanyahu, un amico del padre che aveva soggiornato nella loro casa di famiglia nel New Jersey. Trump, in un’agenda regionale più ampia e perfettamente in linea con i piani dello stesso Netanyahu, sperava anche di far fallire l’accordo nucleare con l’Iran negoziato da Barack Obama e di mediare patti diplomatici tra Israele e le nazioni arabe che lasciassero irrisolta e fuori discussione la questione di uno stato palestinese.

Se c’erano domande sulla posizione della nuova amministrazione sugli insediamenti, hanno trovato risposta quando Trump ha scelto il suo ambasciatore in Israele. La sua scelta, David Friedman, è un avvocato fallimentare che per anni ha contribuito a gestire un’organizzazione no-profit americana che ha raccolto milioni di dollari per Beit El, uno dei primi insediamenti di Gush Emunim in Cisgiordania e il luogo in cui Bezalel Smotrich è cresciuto e ha studiato. L’organizzazione, sostenuta anche dalla famiglia Trump, aveva contribuito a finanziare scuole e altre istituzioni all’interno di Beit El. All’indomani dell’uscita di scena di Trump, Friedman ha fatto riferimento alla “presunta occupazione” dei territori palestinesi da parte di Israele e ha rotto con la politica statunitense di lunga data affermando che “gli insediamenti sono parte di Israele”.

Questo non ha reso Friedman un destinatario particolarmente amichevole degli avvertimenti regolarmente lanciati dal tenente generale Mark Schwartz, il generale a tre stelle che nel 2019 è arrivato all’ambasciata di Gerusalemme per coordinare la sicurezza tra il governo israeliano e l’Autorità Palestinese. Berretto Verde di carriera, che ha combattuto in Afghanistan e in Iraq ed è stato vice comandante del Comando Congiunto per le Operazioni Speciali, la task force militare con autorità sulle unità di missioni speciali antiterrorismo degli Stati Uniti, Schwartz non era a corto di esperienza in Medio Oriente.

Ma rimase subito sconvolto da ciò che avveniva in Cisgiordania: coloni che agivano impunemente, una forza di polizia sostanzialmente inesistente al di fuori degli insediamenti e l’esercito israeliano che alimentava le tensioni con le proprie operazioni. Schwartz ricorda quanto fosse arrabbiato per quelle che definiva le tattiche di “punizione collettiva” dell’esercito, tra cui la demolizione delle case palestinesi, che considerava azioni gratuite e controproducenti. “Ho detto: ‘Ragazzi, non è così che agiscono i militari professionisti’”. Per Schwartz, la Cisgiordania era per certi versi il Sud americano degli anni Sessanta. Ma da un momento all’altro la situazione avrebbe potuto diventare ancora più instabile e sfociare nella prossima intifada.

Schwartz è diplomatico quando ricorda le sue interazioni con Friedman, il suo ex capo. Era un “buon ascoltatore”, dice Schwartz, ma quando lui sollevava le sue preoccupazioni riguardo agli insediamenti, Friedman spesso sviava il discorso sottolineando “la mancanza di apprezzamento da parte del popolo palestinese per ciò che gli americani stanno facendo per loro”. Schwartz ha anche discusso le sue preoccupazioni sulla violenza dei coloni direttamente con i funzionari dello Shin Bet e dell’IDF, ma per quanto ne sa, Friedman non ha dato seguito alla questione con la leadership politica. “Non ho mai avuto l’impressione che sia andato da Netanyahu per discuterne”.

Friedman vede le cose in modo diverso. “Credo di aver avuto una prospettiva molto più ampia sugli atti di violenza in Giudea e Samaria” rispetto a Schwartz, dice ora. “Ed era chiaro che la violenza proveniente dai palestinesi contro gli israeliani era in gran parte più diffusa”. Afferma di “non essere preoccupato per gli ‘apprezzamenti’ dei palestinesi; ero preoccupato per l’abbraccio della loro leadership al terrore e per la mancanza di volontà di controllare la violenza”. Ha rifiutato di parlare delle conversazioni avute con i funzionari israeliani.

Settimane dopo che Trump ha perso le elezioni del 2020, il Segretario di Stato Mike Pompeo si è recato in Israele per un viaggio che ha consegnato una serie di regali a Netanyahu e alla causa dei coloni. Ha annunciato nuove linee guida che richiedono che le merci importate negli Stati Uniti da parti della Cisgiordania siano etichettate come “Made in Israel”. Ha inoltre raggiunto in elicottero Psagot, un’azienda vinicola in Cisgiordania, diventando così il primo Segretario di Stato americano a visitare un insediamento. Uno dei grandi azionisti dell’azienda, la famiglia Falic, con sede in Florida, ha donato milioni di dollari a vari progetti negli insediamenti.

Durante la sua visita, all’ora di pranzo Pompeo si è soffermato a scrivere una nota nel libro degli ospiti della cantina. “Non sia mai che io sia l’ultimo Segretario di Stato a visitare questa bellissima terra”, ha scritto.

UNA COALIZIONE DI COLONI

La determinazione di Benjamin Netanyahu a diventare primo ministro per un sesto mandato, cosa senza precedenti, ha avuto un prezzo: l’alleanza con un movimento da cui un tempo rifuggiva, ma che era stato portato nel mainstream politico dalla costante deriva a destra di Israele. Netanyahu, che ora è sotto processo per corruzione e altre accuse, ha ripetutamente fallito nei suoi tentativi di formare una coalizione dopo che la maggior parte dei partiti aveva annunciato di non essere più disposta a unirsi a lui. Si è impegnato personalmente nelle trattative per alleare il partito Potere Ebraico di Itamar Ben-Gvir e il Partito del Sionismo Religioso di Bezalel Smotrich, rendendoli i kingmaker per chiunque cercasse di formare una coalizione di governo. Nel novembre 2022, la scommessa ha dato i suoi frutti: con il sostegno ormai cruciale dell’estrema destra, Netanyahu è tornato in carica.

I due uomini portati al potere da questo accordo erano alcune delle figure più estreme che avessero mai ricoperto posizioni così elevate in un gabinetto israeliano. Lo Shin Bet aveva monitorato Ben-Gvir negli anni successivi all’assassinio di Yitzhak Rabin e lo aveva arrestato con diverse accuse, tra cui incitamento al razzismo e sostegno a un’organizzazione terroristica. In alcuni casi Ben-Gvir ha ottenuto l’assoluzione o il proscioglimento, ma è stato anche condannato più volte e ha scontato la pena in carcere. Durante la Seconda Intifada, ha guidato proteste che chiedevano misure estreme contro gli arabi e ha perseguitato politici israeliani che riteneva non sufficientemente falchi.

Poi Ben-Gvir ha fatto un cambiamento radicale: Si è iscritto alla facoltà di legge. Ha anche accettato un lavoro come assistente di Michael Ben-Ari, membro della Knesset del partito Unione Nazionale, che aveva raccolto molti seguaci del movimento Kach. Nel 2011, dopo una lunga serie di controversie legali legate alla sua fedina penale, è stato ammesso all’albo degli avvocati. Ha cambiato taglio di capelli e abbigliamento per apparire più mainstream e ha iniziato a lavorare dall’interno, affermando di rappresentare “i soldati e i civili che si trovano in difficoltà legali a causa della situazione della sicurezza in Israele”. Netanyahu lo ha nominato ministro della Sicurezza nazionale, con autorità sulla polizia.

Anche Smotrich è entrato nella vita pubblica dopo il suo arresto nel 2005 da parte dello Shin Bet per aver progettato blocchi stradali per fermare il ritiro israeliano da Gaza. Ha reso il Dipartimento Ebraico dello Shin Bet un frequente bersaglio di critiche, lamentando che esso sprecava tempo e denaro per indagare su crimini commessi da ebrei, quando i veri terroristi erano palestinesi. I suoi alleati dell’ultradestra a volte si riferivano al Dipartimento Ebraico come Hamakhlaka Hayehudit, l’espressione ebraica che indica l’unità della Gestapo che eseguì la Soluzione Finale di Hitler.

Ben-Gvir (a sinistra) e Smotrich partecipano a una sessione speciale della Knesset per il giuramento del nuovo governo di destra nel 2022. Amir Cohen/Agence France-Presse – Getty Images

Nel 2015, durante la campagna per un seggio alla Knesset, Smotrich ha dichiarato che “ogni shekel investito in questo Dipartimento Ebraico è uno shekel in meno investito nel terrorismo reale e nel salvare vite umane”. Sette anni dopo, Netanyahu lo ha nominato sia ministro delle Finanze che ministro della Difesa, incaricato di supervisionare gli affari civili in Cisgiordania, e ha costantemente spinto per sottrarre ai militari l’autorità sul territorio. Come parte dell’accordo di coalizione con Netanyahu, Smotrich ha ora l’autorità di nominare una delle figure amministrative di alto livello in Cisgiordania, che contribuisce a supervisionare la costruzione di strade e l’applicazione delle leggi edilizie. Le elezioni del 2022 hanno portato alla Knesset anche Avi Maoz, l’ex funzionario del ministero degli Alloggi che Talia Sasson aveva indicato come la mano nascosta del sostegno del governo israeliano agli insediamenti illegali. Da allora, Maoz si era unito al partito di estrema destra Noam, usandolo come piattaforma per promuovere politiche razziste e omofobe. E non ha mai dimenticato, né perdonato, Sasson. Nella “Giornata Internazionale Contro la Corruzione” del 2022, Maoz è salito sul leggio della Knesset e ha denunciato il rapporto di Sasson di quasi due decenni prima, affermando che era stato scritto “con l’odio per gli insediamenti e il desiderio di danneggiarli”. Questa, ha detto, è “corruzione pubblica di altissimo livello, per la quale persone come Talia Sasson dovrebbero essere perseguite”.

Pochi giorni dopo aver assunto il suo nuovo incarico, Ben-Gvir ha ordinato alla polizia di rimuovere le bandiere palestinesi dagli spazi pubblici in Israele, affermando che “incitano e incoraggiano il terrorismo”. Smotrich, da parte sua, ha ordinato drastici tagli ai pagamenti all’Autorità Palestinese – una mossa che ha portato lo Shin Bet e la divisione di intelligence dell’IDF a sollevare preoccupazioni sul fatto che i tagli avrebbero interferito con gli sforzi dell’Autorità Palestinese di vigilare e prevenire il terrorismo palestinese.

Settimane dopo il giuramento del nuovo gabinetto, la divisione Giudea e Samaria dell’IDF ha distribuito un video istruttivo ai soldati di un’unità di terra che stava per essere dispiegata in Cisgiordania. Intitolato “Sfida operativa: le fattorie”, il video ritrae i coloni come pacifici agricoltori che vivono una vita pastorale, nutrendo capre e pascolando pecore e mucche in circostanze pericolose. Gli avamposti illegali che si moltiplicano in Cisgiordania sono “piccoli e isolati luoghi di insediamento, ciascuno con una manciata di residenti, pochi dei quali – o nessuno – portano armi, i mezzi di difesa sono scarsi o inesistenti”.

Sono i coloni, secondo il video, a essere sotto costante minaccia di attacco, che si tratti di “penetrazione nella fattoria da parte di un terrorista, di un attacco contro un pastore nei pascoli, di un incendio doloso” o di “distruzione di proprietà” – minacce dalle quali i soldati dell’IDF devono proteggerli. Il comandante di ogni compagnia dell’esercito che sorveglia una fattoria deve, si legge nel video, “collegarsi con il responsabile della sicurezza e mantenere le comunicazioni”; i soldati e gli ufficiali sono incoraggiati a coltivare una relazione stretta e intima con i coloni. “L’informale”, viene detto agli spettatori, “è molto più importante del formale”.

Il video affronta molte questioni di sicurezza, ma non affronta mai la questione della legge. Quando abbiamo chiesto al comandante della divisione che ha prodotto il video, il Brig. Gen. Avi Bluth, perché l’IDF stesse promuovendo il sostegno militare a insediamenti che sono illegali secondo la legge israeliana, egli ha affermato direttamente che le fattorie erano del tutto legali e ci ha offerto di organizzare un tour di alcune di esse. In seguito, un portavoce dell’esercito si è scusato per le osservazioni del generale, ha riconosciuto che le fattorie erano illegali e ha annunciato che l’IDF non avrebbe più promosso il video. Nel maggio scorso, Bluth è stato comunque promosso a capo del Comando Centrale di Israele, responsabile di tutte le truppe israeliane nel centro di Israele e in Cisgiordania.

In agosto, Bluth sostituirà il Magg. Gen. Yehuda Fox, che durante i suoi ultimi mesi al comando della Cisgiordania ha visto un crollo quasi totale delle forze dell’ordine nella sua area di comando. Alla fine di ottobre, Fox ha scritto una lettera al suo capo, il capo dello staff militare israeliano, affermando che l’ondata di terrorismo ebraico portata avanti per vendicare gli attacchi del 7 ottobre “potrebbe incendiare la Cisgiordania”. L’IDF è la più alta autorità di sicurezza in Cisgiordania, ma il comandante supremo dell’esercito ha dato la colpa alla polizia, che in ultima analisi risponde a Ben-Gvir. Fox ha dichiarato di aver istituito una task force speciale per affrontare il terrorismo ebraico, ma le indagini e l’arresto dei responsabili sono “interamente nelle mani della polizia israeliana”.

E, ha scritto, non stanno facendo il loro lavoro.

‘UNA SOLA VIA PER IL FUTURO’

Quando all’inizio di gennaio è arrivato il giorno in cui la Corte Suprema avrebbe dovuto ascoltare la causa intentata dalla popolazione di Khirbet Zanuta, gli abitanti del villaggio sfollato sono arrivati con un’ora di ritardo. Avevano ricevuto il permesso d’ingresso dall’Ufficio di Coordinamento Distrettuale per partecipare all’udienza, ma sono stati ritardati dalle forze di sicurezza prima di raggiungere il checkpoint che separa Israele dalla Cisgiordania. Il loro avvocato, Quamar Mishirqi-Assad, osservando che la loro lotta per presenziare all’udienza rifletteva proprio la sostanza della loro petizione, ha insistito che l’udienza non poteva procedere senza di loro. I giudici hanno accettato di aspettare.

Alla fine gli abitanti del villaggio sono stati condotti in aula e Mishirqi-Assad ha iniziato a presentare il caso. Il procedimento era in ebraico, quindi la maggior parte degli abitanti del villaggio non ha potuto seguire le argomentazioni che descrivevano i terrori quotidiani inflitti dai coloni e la palese assenza di sforzi da parte delle forze dell’ordine per fermarli.

Abitanti di un villaggio palestinese presso la Corte Suprema israeliana a gennaio. Sono tra i residenti di sei villaggi in Cisgiordania che chiedono al governo israeliano di far rispettare la legge in loco. Peter van Agtmael/Magnum, for The New York Times

Gli avvocati che rappresentano l’esercito e la polizia hanno negato le accuse di abuso e di mancata applicazione della legge. Quando un giudice ha chiesto quali sarebbero state le misure operative da adottare se gli abitanti del villaggio avessero voluto tornare, uno degli avvocati dello stato ha risposto che potevano già farlo – non c’era alcun ordine che lo impedisse.

Il successivo a parlare è stato il Col. Roi Zweig-Lavi, ufficiale della Direzione Operazioni del Comando Centrale. Egli ha affermato che molti di questi incidenti erano legati a false rivendicazioni. In realtà, ha detto, alcuni abitanti del villaggio avevano probabilmente distrutto le loro stesse case, a causa di una “questione interna”. Ora incolpano i coloni per sfuggire alle conseguenze delle loro stesse azioni.

Le opinioni del colonnello Zweig-Lavi sugli insediamenti e sul suo ruolo nel proteggerli erano ben note. In un discorso del 2022, disse a un gruppo di studenti di yeshiva in Cisgiordania che “l’esercito e gli insediamenti sono la stessa cosa”.

All’inizio di maggio, il tribunale ha ordinato allo stato di spiegare perché la polizia non ha fermato gli attacchi e ha dichiarato che gli abitanti del villaggio hanno il diritto di tornare alle loro case. Il tribunale ha anche ordinato allo stato di fornire dettagli su come avrebbe garantito il ritorno sicuro degli abitanti del villaggio. Ora tocca allo stato decidere come conformarsi. O decidere se lo farà.

Quando la Corte Suprema ha emesso le sue sentenze, gli Stati Uniti hanno finalmente intrapreso un’azione di pressione diretta sul governo Netanyahu riguardo ai coloni violenti. Il 1° febbraio, la Casa Bianca ha emesso un ordine esecutivo che imponeva sanzioni a quattro coloni per aver “intrapreso attività terroristiche”, tra le altre cose, in Cisgiordania. Uno dei quattro è Yinon Levi, il proprietario della fattoria Meitarim vicino a Hebron e l’uomo che funzionari americani e israeliani ritengono abbia orchestrato la campagna di violenza e intimidazione contro gli abitanti del villaggio di Khirbet Zanuta. Il governo britannico ha emesso le proprie sanzioni poco dopo, affermando in una dichiarazione che il governo israeliano ha creato “un ambiente di quasi totale impunità per gli estremisti coloni in Cisgiordania”.

Yinon Levi durante un incontro alla Knesset a febbraio, poco dopo che gli Stati Uniti hanno imposto sanzioni contro di lui in relazione all'”escalation di violenza contro i civili in Cisgiordania”. Yonatan Sindel/Flash90

La mossa della Casa Bianca contro i singoli coloni, la prima di un’amministrazione americana, è stata accolta con un misto di rabbia e scherno dai ministri del governo di Netanyahu. Smotrich ha definito “del tutto pretestuose” le accuse dell’amministrazione Biden nei confronti di Levi e di altri e ha dichiarato che collaborerà con le banche israeliane per opporsi al rispetto delle sanzioni. Un messaggio che è circolato in un canale WhatsApp aperto della Hilltop Youth diceva che Levi e la sua famiglia non sarebbero stati abbandonati. “Il popolo di Israele si sta mobilitando per loro”, si legge.

I funzionari americani si chiedono se le azioni del governo siano solo misure simboliche adottate da un presidente americano in difficoltà che sta perdendo il sostegno in patria per la sua politica su Israele. Non porranno fine alla violenza, dicono, ma sono un segnale al governo Netanyahu sulla posizione degli Stati Uniti: la Cisgiordania potrebbe ribollire e potrebbe presto diventare l’ultimo fronte di una guerra regionale in Medio Oriente in espansione dal 7 ottobre.

Ma la guerra potrebbe essere l’obiettivo. Ehud Olmert, l’ex primo ministro israeliano, ha detto di credere che molti membri dell’ultradestra in Israele “vogliono la guerra”. Vogliono l’intifada”, ha detto, “perché è la prova definitiva che non c’è modo di fare pace con i palestinesi e che c’è solo una strada da percorrere per il futuro: distruggerli”.

Servizio aggiuntivo di Natan Odenheimer.

Peter van Agtmael è un fotografo Magnum che si occupa di Israele e dei territori palestinesi dal 2012. È mentore del Programma Arabo di Fotografia Documentaria.

Ronen Bergman è uno scrittore del New York Times Magazine, con sede a Tel Aviv. Il suo ultimo libro è “Rise and Kill First: The Secret History of Israel’s Targeted Assassinations”, pubblicato da Random House.

Mark Mazzetti è un giornalista investigativo di Washington D.C. che si occupa di sicurezza nazionale, intelligence e affari esteri. Ha scritto un libro sulla C.I.A.

https://www.nytimes.com/2024/05/16/magazine/israel-west-bank-settler-violence-impunity.html?te=1&nl=from-the-times&emc=edit_ufn_20240517

Traduzione a cura di AssoPacePalestina

Non sempre AssoPacePalestina condivide gli articoli che pubblichiamo, ma pensiamo che opinioni anche diverse possano essere utili per capire.

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1 commento

  1. IleanaZarone

    Sono atterrita! Quando gli uomini capiranno che gli uomini come loro hanno gli stessi diritti?

    Rispondi

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