di Tim Craig,
The Washington Post, 16 aprile 2024.
Le manifestazioni pro-palestinesi di lunedì 15 aprile, che hanno messo a dura prova il traffico nelle città statunitensi, potrebbero preludere a un’estate potenzialmente calda di proteste, creando una sfida per il presidente Biden e scatenando un dibattito sul quesito se le tattiche di alcuni attivisti potrebbero minare il sostegno pubblico al loro movimento.
I manifestanti hanno bloccato per ore le principali arterie stradali in città come San Francisco e New York, nell’ambito di una campagna globale di sensibilizzazione sulla guerra di Israele a Gaza, in occasione del Tax Day statunitense. A Chicago e Seattle, i manifestanti hanno bloccato l’ingresso agli aeroporti internazionali, costringendo i viaggiatori e gli equipaggi a raggiungere a piedi i terminal delle compagnie aeree o a perdere i voli. A San Francisco, la polizia ha dovuto usare attrezzature da saldatori per liberare i manifestanti dal Bay Bridge dopo che si erano incatenati a delle tubature.
Il caos si è scatenato mentre gli Stati Uniti si avviano verso un momento delicato per le elezioni presidenziali. Biden e l’ex presidente Donald Trump si presenteranno quest’estate alle convenzioni di nomina dei rispettivi partiti, ed entrambi gli eventi sembrano destinati ad attirare un gran numero di manifestanti. Quest’estate segna anche quattro anni dall’esplosione delle proteste a livello nazionale dopo la morte di George Floyd a Minneapolis.
Membri del Congresso, amministratori di college e alcuni sindaci di grandi città hanno già iniziato a controllare più da vicino chi partecipa ai vari eventi per cercare di ridurre al minimo i disordini. Alcuni college, tra cui l’Università del Michigan, stanno avvertendo espressamente gli studenti che potrebbero essere espulsi se disturbano gli eventi di fine semestre del campus.
Almeno finora, le proteste pro-Palestina sono state relativamente piccole rispetto alle manifestazioni di Black Lives Matter nel 2020. Gli analisti avvertono anche che, storicamente, la crescita di un movimento sociale tende a essere limitata quando la questione non si svolge negli Stati Uniti o non coinvolge direttamente le truppe americane.
Ma gli organizzatori delle proteste pro-palestinesi giurano che l’azione di lunedì è solo l’inizio di un impegno più diretto e gli analisti dicono che le manifestazioni quasi certamente aggiungeranno ancora più imprevedibilità al calendario politico di quest’anno.
“Se la situazione dovesse continuare per altri sei mesi, mi aspetterei un’escalation di tattiche e proteste più estreme”, ha dichiarato Omar Wasow, professore assistente di scienze politiche presso l’Università della California a Berkeley, che ha studiato a fondo i movimenti di protesta fin dall’epoca dei diritti civili. “Ci sarà una fazione più militante che sosterrà tattiche più estreme”.
In un’intervista al Washington Post, un organizzatore delle manifestazioni di lunedì in California ha suggerito proprio questo.
“Gli eventi di oggi sono la prova che la gente combatterà e continuerà a inasprirsi fino a quando non ci sarà un cessate il fuoco permanente”, ha dichiarato Sha Wiya Falcon, che ha partecipato a una manifestazione che ha bloccato un’autostrada a Oakland.
Gli analisti notano che il movimento pro-palestinese è ora una rete tentacolare di gruppi, molti dei quali hanno opinioni diverse su quali tattiche siano accettabili o efficaci. Molti dei gruppi hanno una leadership diffusa – o non hanno alcun leader – e questo può rendere particolarmente difficile prevedere i prossimi passi del movimento. Durante l’epoca dei diritti civili, ha osservato Wasow, c’era un gruppo di leader più coeso che stabiliva le linee guida per il tipo di tattiche da utilizzare nei diversi momenti.
Ma, secondo gli analisti, qualsiasi attività di protesta si materializzi nelle prossime settimane rappresenterà una nuova sfida per Biden, che ha cercato di bilanciare il sostegno a Israele della sua amministrazione con le crescenti richieste della sua coalizione liberale di premere per una fine immediata del conflitto.
Quattro anni fa, durante le proteste di Black Lives Matter, c’era Trump alla Casa Bianca mentre alcune manifestazioni diventavano dirompenti e scuotevano la fiducia di alcuni americani nella stabilità della nazione.
Quest’anno, toccherà a Biden rassicurare gli elettori se le proteste diventeranno più frequenti e diffuse. Tra l’altro, Biden deve anche conquistare gli elettori più giovani, che costituiscono una fetta consistente del movimento pro-palestinese.
Vincent Pons, professore associato presso la Harvard Business School, ha recentemente pubblicato uno studio che dimostra che i movimenti di protesta generalmente non influiscono sulle scelte politiche degli americani alle urne. Su 14 proteste e movimenti studiati dal 2017 al 2021, Pons ha concluso che solo le manifestazioni di Black Lives Matter nel 2020 “hanno aumentato i voti per i democratici”.
“Nel complesso, i nostri risultati indicano il limitato successo delle recenti ondate di protesta nel modificare le convinzioni e i comportamenti dell’elettorato statunitense, almeno nel breve periodo”, si legge nel rapporto.
Tuttavia, secondo Pons, le manifestazioni pro-palestinesi potrebbero intensificarsi nei prossimi mesi, perché gli attivisti sanno che Biden “non vuole disordini”.
“Se le proteste continueranno o meno dipenderà da quanto si sentiranno ascoltate dall’amministrazione”, ha detto Pons. “Il fatto che le proteste si svolgano a così breve distanza dalle elezioni presidenziali lascia pensare che l’amministrazione sia più propensa a prestare attenzione”.
Wasow concorda, affermando che una lezione tratta dall’era dei diritti civili è che le “tattiche più estreme” dei manifestanti tendono a essere più influenti sulle “élite” che cercano di proteggersi dalle rivolte.
“Quando i manifestanti usano tattiche estreme, possono perdere l’opinione pubblica, ma riescono a dare un segnale ai leader che poi vogliono gestire la questione”, ha detto Wasow. “Quindi, in questo modo, le tattiche più estreme potrebbero danneggiare una parte alle urne… ma potrebbero anche aiutarla a ottenere risposte politiche dai leader”.
L’evoluzione della protesta pro-palestinese è avvenuta in concomitanza con lo spostamento dell’opinione pubblica sulla guerra a Gaza.
A fine marzo, Gallup ha pubblicato un sondaggio secondo cui il 55% degli americani disapprova l’operazione militare di Israele a Gaza, mentre il 36% l’approva. Solo il 18% dei democratici approva l’azione, in calo rispetto al 36% dei democratici che l’approvavano a novembre.
Ma gli analisti avvertono che i dimostranti filo-palestinesi possono perdere il favore popolare se l’opinione pubblica ritiene che i dimostranti stiano intraprendendo tattiche di protesta troppo radicali.
Robb Willer, professore di psicologia e sociologia all’Università di Stanford, ha condotto una ricerca che dimostra che “le tattiche estreme riducono il sostegno popolare ai movimenti sociali”. Willer ha detto che il sostegno pubblico si allontana dai movimenti che si impegnano in “distruzione di proprietà, danni fisici ad altre persone o gravi interruzioni della vita quotidiana”.
Bloccare l’accesso ai principali aeroporti o alle autostrade, come hanno fatto lunedì i manifestanti filopalestinesi, rientra generalmente nella categoria che potrebbe provocare un contraccolpo da parte del pubblico, ha detto Willer. Queste tattiche, tuttavia, tendono ad aumentare l’attenzione dei media, quindi alcuni attivisti ritengono che il compromesso valga la pena.
“Lo chiamiamo il dilemma dell’attivista”, ha detto Willer. “Sono davvero bravi ad attirare l’attenzione dei media… quindi movimenti diversi, in stadi diversi di mobilitazione, possono avere valutazioni diverse sul loro successo”.
Khalil Abualya, uno studente palestinese americano di seconda generazione che ha contribuito a organizzare alcune manifestazioni di basso profilo all’Università del Mississippi, si preoccupa dei disaccordi interni al movimento.
Abualya dice che negli ultimi sei mesi gli americani hanno acquisito maggiore familiarità e simpatia per la causa palestinese. I suoi colleghi del campus, ad esempio, non gli chiedono più se viene dal Pakistan quando lui dice che è palestinese.
Ma teme che alcuni dei progressi compiuti da lui e da altri attivisti siano a rischio se altri manifestanti “chiudono le strade e i ponti e feriscono le persone”.
“Ritengo che sia un gioco pericoloso da fare, perché in quel momento, in quell’ambiente, siamo il volto del problema”, ha detto Abualya. “Ci sono conseguenze reali in tutto ciò che facciamo”.
Tuttavia, Abualya vede un certo valore nel far sentire Biden a disagio. Studente senior di farmacia, ha già deciso che non voterà per Biden a novembre, evidenziando le difficoltà del presidente nel conquistare in modo decisivo i giovani elettori come riuscì a fare nel 2020.
“Non voterò di certo per Biden”, ha detto Abualya, 23 anni. “Lui è rimasto a guardare senza far niente per sei mesi mentre le nostre famiglie venivano decimate” a Gaza.
Youssef Chouhoud, professore di scienze politiche presso la Christopher Newport University in Virginia, ha affermato che le continue proteste non faranno altro che evidenziare ulteriormente quanto sostegno Biden abbia perso tra i principali elettori democratici a causa della guerra.
Chouhoud, che è egiziano-americano, ha detto che c’è un “ampio segmento” di americani musulmani che non voterebbe per Biden se le elezioni si tenessero oggi.
“Non vedo alcuna prova che [le proteste] perdano vigore”, ha detto Chouhoud. “Potrebbero cambiare in termini di modalità, ma in termini di intensità… E questo è ancora un problema di primaria importanza per un ampio segmento dell’elettorato democratico”.
Niha Masih ha contribuito a questo articolo.
Tim Craig è reporter nazionale presso la redazione America. In precedenza è stato capo dell’ufficio Afghanistan-Pakistan del Washington Post, con sede a Islamabad e Kabul. Ha lavorato anche in Iraq, nel Distretto di Columbia e a Baltimora.
Traduzione a cura di AssoPacePalestina
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