L’Europa tra due guerre

di Josep Borrell,

Groupe d’études géopolitiques, 3 gennaio 2024. 

Due guerre mortali si stanno svolgendo ai nostri confini e dominano l’agenda europea: la guerra di aggressione russa contro l’Ucraina e la guerra che si è recentemente riaccesa in Medio Oriente. In questa sede mi concentrerò sulle conseguenze di queste guerre per l’Europa e, pertanto, non affronterò altre questioni importanti per la nostra politica estera, come le relazioni con la Cina, l’impatto del cambiamento climatico o le tensioni nel Sahel.  

Nel 2019, all’inizio del mio mandato, avevo già intuito che la sicurezza dell’Europa sarebbe diventata una questione sempre più importante. Per questo motivo abbiamo iniziato a sviluppare la Bussola Strategica, una nuova strategia per la nostra sicurezza e difesa comune. Quando l’ho presentata nel novembre 2021, ho detto che “l’Europa è in pericolo”.

L’Europa è in pericolo

All’epoca, molti pensarono che stessi esagerando. La percezione era che si trattasse solo di una manovra di marketing per “vendere” la Bussola Strategica. All’epoca, la maggior parte degli osservatori credeva ancora che il dispiegamento di truppe russe lungo i confini dell’Ucraina servisse solo a fare pressione sull’Occidente e a ottenere ulteriori concessioni. Un’opinione simile prevaleva per quanto riguarda il Medio Oriente. Ad esempio, Jake Sullivan, consigliere per la sicurezza del Presidente Biden, ha dichiarato lo scorso settembre che “raramente [il Medio Oriente] è stato così calmo”. Sono stato regolarmente scoraggiato dall’affrontare la questione israelo-palestinese. Mi veniva detto che era impossibile trovare una soluzione a questo conflitto e che, con gli accordi di Abramo, la situazione si stava evolvendo positivamente tra i Paesi Arabi e Israele. Nonostante la crescente violenza contro i palestinesi in Cisgiordania e la continua invasione di insediamenti illegali che erodono il territorio di un potenziale stato palestinese, nessuno vi prestava attenzione. Si pensava che la questione palestinese si sarebbe risolta da sola.

Tuttavia, poche settimane dopo la presentazione della Bussola Strategica, la guerra è improvvisamente tornata ai confini dell’Unione e, dal 7 ottobre, la situazione nelle nostre immediate vicinanze si è ulteriormente aggravata. La drammatica situazione a Gaza è diventata una priorità immediata, ma la guerra contro l’Ucraina rimane cruciale perché rappresenta una minaccia esistenziale per l’Unione Europea. Nonostante abbiano attori e origini diverse, questi due conflitti sono intrinsecamente interconnessi.  La percezione del conflitto a Gaza in molti dei Paesi noti come “Sud Globale” potrebbe indebolire il loro sostegno all’Ucraina contro l’aggressione russa.

Il momento Demostene dell’Europa

Durante la pandemia COVID 19, abbiamo creato la Next Generation EU emettendo un debito comune. Alcuni hanno evocato un “momento Hamiltoniano” in riferimento alla decisione presa nel 1790 da Alexander Hamilton, primo Segretario al Tesoro degli Stati Uniti, di farsi carico del debito degli Stati federati, creando un debito federale comune. Tuttavia, questa analogia è discutibile, in quanto la Next Generation EU non ha affrontato i debiti esistenti degli Stati membri ed è stata concepita come un’operazione una tantum.

Oggi, alcuni parlano di un momento Demostene, in riferimento al grande oratore e statista ateniese che, a partire dal 351 a.C., riunì i suoi concittadini grazie alle filippiche – una serie di famosi discorsi – per difendere l’indipendenza e la democrazia di Atene contro l’imperialismo di Filippo di Macedonia, padre di Alessandro Magno. Il paragone è più calzante: oggi ci troviamo di fronte all’imperialismo di una grande potenza che minaccia non solo l’Ucraina, ma anche la nostra democrazia e l’intera Unione Europea.

Temo che, se non cambiamo rapidamente rotta e non mobilitiamo tutte le nostre capacità, se permettiamo a Putin di vincere in Ucraina, se non riusciamo a porre fine alla tragedia subita dalla popolazione di Gaza, il progetto europeo sarà seriamente minacciato.

Esaminiamo più da vicino queste due guerre per capire come possiamo influenzarne il corso. Spesso ci è stato detto che la geografia non conta più, che è scomparsa dai conflitti. Ma questi due conflitti riguardano ancora questioni territoriali. Nel caso dell’Ucraina, il conflitto oppone uno stato sovrano, l’Ucraina, a una potenza imperialista, la Russia. La Russia non si è mai trasformata in un vero stato nazionale. È sempre stata un impero, sia sotto gli zar, sia sotto i sovietici, sia ora sotto Putin. Se questa identità imperialista non verrà messa in discussione, la Russia continuerà a essere una minaccia per i suoi vicini, in particolare per noi europei, e il suo sistema politico rimarrà autoritario, nazionalista e violento. Molti intellettuali russi lo hanno già sottolineato: finché la Russia non abbandonerà il suo progetto imperialista, non potrà né democratizzarsi né riformarsi.

Due popoli, una terra

Il conflitto tra Israele e Palestina è di natura diversa, ma è anch’esso incentrato su una questione territoriale. In questo caso, due popoli lottano per la stessa terra, una terra su cui entrambi hanno legittime rivendicazioni. Questo conflitto dura da un secolo. In Europa c’è stata una guerra dei 100 anni, ma questa è la guerra dei 100 anni del Medio Oriente. La domanda è: come si può risolvere questo conflitto? La risposta sta in una delle due possibilità: o questi due popoli condividono questa terra, oppure uno di loro dovrà andarsene, morire o diventare cittadino di seconda classe sotto il dominio dell’altro.

La seconda opzione sarebbe inaccettabile. Dobbiamo sforzarci di raggiungere la prima possibilità. Questo è esattamente l’obiettivo della soluzione dei due Stati, che è in discussione da oltre 30 anni, a partire dagli accordi di Oslo. Da allora, però, ben poco è stato fatto per attuare effettivamente quegli accordi. Eppure l’intera comunità internazionale sostiene questa soluzione, compresi tutti gli Stati Membri dell’Unione Europea.

Gli estremisti di entrambe le parti – Hamas da un lato e i fondamentalisti della destra israeliana dall’altro – si oppongono alla soluzione dei due Stati e hanno fatto di tutto per renderla impossibile fino ad oggi. In particolare, gli accordi di Oslo non hanno fermato gli insediamenti illegali in Cisgiordania che rappresentano, come in Ucraina, l’occupazione di terre altrui in violazione di tutte le risoluzioni delle Nazioni Unite. Oggi in Cisgiordania ci sono 700.000 coloni israeliani, il quadruplo di quelli presenti all’epoca degli accordi di Oslo, con il chiaro obiettivo di rendere impossibile la creazione di uno Stato palestinese.

Il governo israeliano rifiuta la soluzione dei due Stati

Hamas si oppone all’esistenza stessa dello Stato di Israele. Ma anche l’attuale governo israeliano si oppone, e da tempo, alla soluzione dei due Stati. Benyamin Netanyahu, l’attuale Primo Ministro, ha promesso ai suoi concittadini che con lui uno stato palestinese non avrebbe mai visto la luce, nonostante l’intera comunità internazionale sia favorevole. Questa comunità ha quindi un problema con la politica di Benyamin Netanyahu. Tuttavia, altre voci nella società israeliana, come quella dell’ex Primo Ministro Ehud Olmert o quella di un giovane sopravvissuto all’attacco al Kibbutz Be’eri, la cui testimonianza mi ha toccato profondamente, sottolineano la necessità della creazione di uno Stato palestinese. Sono convinto che ciò sia essenziale per la sicurezza a lungo termine dello Stato di Israele.

In ogni caso, la tragedia del 7 ottobre ha segnato il crollo di uno status quo che era insostenibile, anche se non volevamo vederlo. A mio parere, ci sono due lezioni da trarre da questa tragedia. In primo luogo, la soluzione non può essere trovata dalle parti in conflitto. Deve essere imposta dall’esterno, dalla comunità internazionale, dai vicini arabi, dagli Stati Uniti e dall’Europa. In secondo luogo, dobbiamo cambiare il metodo di negoziazione. A Oslo, il punto di arrivo dei negoziati non era chiaramente definito. Dobbiamo invertire questo processo. La comunità internazionale deve prima definire un punto di arrivo e poi, attraverso il negoziato, israeliani e palestinesi devono trovare il modo di raggiungerlo. Oggi gli Stati Arabi, compresi quelli che hanno riconosciuto Israele e mantengono relazioni con esso, stanno dicendo chiaramente che è impensabile per loro pagare ancora una volta per ricostruire Gaza se non c’è alcuna garanzia che la soluzione dei due Stati sarà effettivamente attuata. Senza questa garanzia, la pace a lungo termine non tornerà mai.

Non c’è una soluzione militare al conflitto israelo-palestinese

Non esiste una soluzione militare al conflitto israelo-palestinese. Hamas è prima di tutto un’idea, e non si può uccidere un’idea con le bombe. L’unico modo per uccidere una cattiva idea è proporne una migliore, che dia speranza e fiducia in un futuro in cui la pace sia possibile. Questa può e deve essere l’attuazione della soluzione dei due Stati.

Ma torniamo all’Europa e poniamoci una domanda fondamentale: siamo davvero capaci di agire collettivamente di fronte a questi conflitti? Non siamo uno Stato e nemmeno una federazione di Stati. La nostra politica estera e di sicurezza viene ancora definita all’unanimità, il che significa che l’opposizione di un solo Stato è sufficiente a renderci incapaci di agire.

E ovviamente abbiamo difficoltà a raggiungere tale unanimità su questioni complesse. Se avessimo un sistema di voto a maggioranza qualificata o un processo decisionale che non richiedesse l’unanimità totale, potremmo motivare tutti a cercare un punto di convergenza. Ci sarebbe un incentivo a negoziare, perché nessuno vorrebbe rimanere isolato. Tuttavia, la possibilità di bloccare l’intera Unione rimanendo isolati crea una grande tentazione di usare questa leva per ottenere concessioni da altri Paesi. È quello che è successo all’ultimo Consiglio Europeo quando si è deciso di aprire i negoziati di adesione con l’Ucraina. Se uno può imporre il veto, gli altri sono costretti a contrattare per tornare al consenso. Spesso questo mercanteggiare è molto costoso e soprattutto fa perdere molto tempo. Reagiamo troppo lentamente agli eventi e spesso ne paghiamo un caro prezzo. In pratica, la nostra dimensione non è sempre un punto di forza e, nel momento della verità, le nostre regole spesso ci impediscono di agire. Il previsto allargamento dell’Europa all’Ucraina, alla Moldavia e ai Paesi dei Balcani occidentali solleva la questione della riforma dell’Unione Europea. Non riesco a immaginare come potremmo continuare a operare con 37 membri se manteniamo la regola dell’unanimità. Dobbiamo lavorare in modo diverso per essere in grado di agire con sufficiente rapidità e forza in questo scenario pericoloso.

Una straordinaria risposta europea alla guerra contro l’Ucraina

Nel caso dell’Ucraina, l’unanimità è stata fortunatamente raggiunta rapidamente. Prima dell’inizio della guerra, ho visitato il Donbass nel gennaio 2022. Ho incontrato Denys Shmyhal, il primo ministro ucraino. Mi disse che dopo pochi giorni i russi avrebbero invaso l’Ucraina e mi chiese se avremmo potuto aiutarli, non inviando truppe, ma consegnando armi affinché gli ucraini potessero difendersi. All’epoca non sapevo come rispondere perché non ero sicuro che avremmo raggiunto l’unanimità per farlo. Ma fortunatamente, quando è arrivato il giorno, l’abbiamo fatto.

La reazione dell’Europa alla guerra contro l’Ucraina è stata davvero notevole. In primo luogo, siamo riusciti a ridurre drasticamente la nostra dipendenza energetica da Mosca, cosa che a prima vista sembrava quasi impossibile, con una dipendenza del 40% dal gas russo. Mosca pensava che questa dipendenza ci avrebbe impedito di reagire, ma abbiamo dimostrato il contrario. Tuttavia, ciò ha avuto un costo elevato. L’inflazione è aumentata e l’economia si è fermata. Abbiamo anche pagato un prezzo geopolitico significativo, perché abbiamo acquistato il gas disponibile a un prezzo che molti paesi meno abbienti non potevano permettersi di pagare, privandoli così di questa risorsa. Ma, alla fine, ci siamo liberati in larga misura dalla dipendenza energetica dalla Russia, che costituiva un ostacolo importante per la nostra politica estera.

Abbiamo anche imposto sanzioni senza precedenti contro la Russia. Sebbene le sanzioni non abbiano fermato la macchina da guerra di Putin, hanno indebolito l’economia russa facendo scendere il valore del rublo e facendo salire l’inflazione. Infine, per la prima volta, abbiamo fornito sostegno militare a un paese in guerra. Abbiamo fornito all’Ucraina attrezzature militari per un valore di quasi 30 miliardi di euro, in particolare mobilitando il Fondo Europeo per la Pace. Anche se non era stato originariamente concepito per questo scopo, sono molto orgoglioso di essere riuscito a utilizzarlo per l’Ucraina. Grazie al nostro aiuto, l’Ucraina è riuscita a resistere. Gli aiuti militari americani sono stati certamente maggiori, ma se si sommano gli aiuti militari, finanziari, economici e umanitari, l’Europa ha fornito all’Ucraina un sostegno di gran lunga superiore a quello degli Stati Uniti.

Questa unità durerà? Cosa faremo se gli americani ridurranno il loro sostegno all’Ucraina una volta eletto un nuovo presidente, o forse anche prima? Sono domande a cui dovremo rispondere.

Durante il Vertice del Grande Continente, qualcuno mi ha chiesto se credo che Putin possa vincere la guerra in Ucraina. Tuttavia, questa non è una domanda pertinente. Quello che ognuno di noi pensa sull’argomento è di scarso interesse. La vera domanda a cui dobbiamo rispondere è: cosa siamo disposti a fare per garantire che Putin perda questa guerra? Siamo disposti a fare tutto il necessario per ottenere questo risultato? Vogliamo davvero impedire la vittoria di Vladimir Putin, che significherebbe l’insediamento a Kiev di un governo fantoccio, come quello della Bielorussia? Personalmente, ritengo che dobbiamo agire più rapidamente e con maggiore decisione per sostenere l’Ucraina, perché la Russia rappresenta una grave minaccia strategica per l’Unione Europea, anche se devo ammettere che non tutti gli Stati membri concordano sulla natura di questa minaccia.

Non dobbiamo sottovalutare i nostri avversari. La Russia è ancora in grado di mobilitare un gran numero di truppe, nonostante le pesanti perdite subite finora. Nel febbraio 2022, c’erano 150.000 truppe russe ammassate al confine con l’Ucraina. Attualmente, ce ne sono 450.000 in Ucraina. La controffensiva ucraina non è riuscita a sfondare le linee russe. Questo sforzo è stato reso ancora più difficile in mancanza del supporto aereo che avevamo promesso ma che non abbiamo ancora fornito. Putin si sbagliava sulle capacità del suo esercito. Si sbagliava sulla resistenza degli ucraini. Si sbagliava sull’unità degli europei. Si sbagliava sulla forza del legame transatlantico. Ma è ancora lì. È ancora pronto a lasciar morire migliaia di russi per conquistare Kiev. Il suo esercito e il suo popolo stanno soffrendo, ma lui non conosce il significato di un’inversione di marcia.

Vladimir Putin non vuole veramente negoziare

Prima della guerra, tutti sono andati a Mosca: Emmanuel Macron, Olaf Scholz… per cercare di dissuadere Vladimir Putin dall’invadere l’Ucraina. Non c’è stato alcun risultato. E lo stesso vale ora. Vladimir Putin è determinato ad andare avanti fino a quando non avrà raggiunto quella che lui definisce la vittoria. Basta guardare la sua ultima conferenza stampa per rendersene conto. È evidente che non ha intenzione di accontentarsi di un pezzo di Ucraina e di lasciare che il resto entri nell’Unione Europea. Al contrario, sta già iniziando a minacciare altri Paesi, in particolare la Finlandia. In ogni caso, non cercherà alcuna pacificazione prima delle elezioni americane, che spera favoriscano i suoi piani imperialisti. La guerra ad alta intensità continuerà, quindi, e noi dobbiamo prepararci. Per cominciare, dobbiamo sviluppare la nostra industria della difesa, che non è neanche lontanamente preparata ad affrontare le sfide che abbiamo di fronte. Difendere l’Ucraina significa difendere la nostra sicurezza. Se l’Ucraina dovesse perdere la guerra, incoraggerebbe la Russia a perseguire ulteriormente le sue ambizioni imperialiste. 

Ma, come dicevo, non tutti gli Stati membri condividono questo punto di vista. Alcuni non vedono la Russia di Vladimir Putin come una minaccia strategica. La disunione su questa questione esistenziale minaccia il futuro dell’Unione Europea? È impossibile dirlo in questa fase. Da parte mia, sono convinto che l’Europa debba fare tutto il possibile per impedire la vittoria di Putin in Ucraina, cosa che sarebbe straordinariamente grave. Nei prossimi mesi lavorerò instancabilmente in questa direzione. Sono convinto che, al contrario, se l’Europa impegnerà tutte le sue forze per contrastare questa minaccia, cementerà la nostra unità e ci renderà più forti.

Europa divisa sul conflitto israelo-palestinese

Per quanto riguarda il conflitto israelo-palestinese, la situazione è molto diversa. La percezione di questo conflitto varia notevolmente tra gli Stati Membri. Ciò è dovuto principalmente al contesto storico, in particolare alle conseguenze della Shoah, il capitolo più buio della storia europea. Tuttavia, il Consiglio Europeo ha raggiunto un accordo minimo tra gli europei, affermando che Israele ha il diritto di difendersi in conformità con il diritto internazionale e che non avremmo chiesto un cessate il fuoco, ma una pausa umanitaria. Tuttavia, in due occasioni, quando le risoluzioni che chiedevano un cessate il fuoco sono state messe ai voti alle Nazioni Unite, la nostra unità ha vacillato, indebolendo la nostra posizione a livello internazionale. Il numero di Stati membri dell’UE che sostengono il cessate il fuoco è aumentato da 8 a 14 tra le due votazioni, mentre il numero di quelli che si oppongono è sceso da 4 a 2, mentre gli altri si sono astenuti.

Che capacità abbiamo di influenzare gli attori coinvolti in questa tragedia? Siamo il principale fornitore di aiuti economici ai palestinesi, e in particolare siamo il principale finanziatore dell’Autorità Palestinese. La Commissione Europea ha recentemente esaminato questa assistenza finanziaria per assicurarsi che nessuno dei fondi sia stato dirottato verso Hamas. Questo non è avvenuto e spero che gli aiuti europei ai palestinesi continuino, perché senza l’Autorità Palestinese la situazione sul campo sarebbe ancora più difficile. In particolare, l’Autorità Palestinese dovrebbe svolgere un ruolo centrale nella gestione di Gaza al termine dell’attuale crisi. Per quanto riguarda Israele, siamo il principale partner commerciale di quel paese e il nostro accordo di associazione è il più stretto che abbiamo con qualsiasi altro paese al mondo. Ciò significa che avremmo i mezzi per influenzare entrambi gli attori del conflitto, qualora decidessimo di farlo. Tuttavia, finora non abbiamo esercitato questa influenza, soprattutto per quanto riguarda Israele. Da parte mia, credo che l’Europa dovrebbe essere molto più coinvolta nella risoluzione del conflitto israelo-palestinese.  Finora ci siamo affidati troppo agli Stati Uniti nella ricerca di una soluzione a questo conflitto che ci riguarda direttamente.

Problemi di coerenza e credibilità

La coesistenza di questi due conflitti pone problemi di coerenza e credibilità dell’UE nei confronti del resto del mondo. Nel caso dell’Ucraina, abbiamo difeso la sovranità del Paese, la sua integrità territoriale e i principi fondamentali della Carta delle Nazioni Unite. E la comunità internazionale ha condiviso il nostro punto di vista: 145 Paesi hanno condannato l’aggressione russa e sostenuto l’Ucraina alle Nazioni Unite. Tuttavia, dobbiamo essere consapevoli che molti di questi Paesi non condividono il nostro senso di indignazione per l’aggressione della Russia all’Ucraina. Essi sono d’accordo nel condannare questa invasione alle Nazioni Unite, ma il loro sostegno non si estende a imporre sanzioni o altre misure. Ci chiedono invece di porre fine a questa guerra il prima possibile, perché ne subiscono le conseguenze, in particolare sui prezzi dell’energia e dei generi alimentari. Inoltre, alcuni esprimono sfiducia nelle nostre politiche, che dovrebbero essere basate su principi, ma che sono percepite da molti come guidate da due pesi e due misure a seconda dei nostri interessi.

Nel caso del conflitto israelo-palestinese, la nostra mancanza di unità ha indebolito la nostra credibilità quando si tratta di difendere il diritto internazionale. Quando 144 Stati sostengono l’Ucraina all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, crediamo che siano dalla parte giusta della storia e che la comunità internazionale si stia effettivamente esprimendo. Tuttavia, quando 153 Paesi chiedono un cessate il fuoco umanitario a Gaza, facciamo fatica a vederla allo stesso modo [l’Austria ha votato contro e la Germania si è astenuta, NdT]. È difficile appellarsi al giudizio della comunità internazionale e al voto delle Nazioni Unite in un caso e non nell’altro. Questo enigma presenta notevoli dilemmi politici e morali per l’Europa che devono essere affrontati con chiarezza e coraggio.

Questo è uno dei motivi principali per cui il conflitto tra Israele e Palestina e la guerra in Ucraina sono così strettamente legati, nonostante la loro differente natura. Se non vogliamo perdere la nostra posizione in gran parte del mondo, se vogliamo evitare che la situazione a Gaza comprometta il sostegno all’Ucraina in molti paesi – non solo nel mondo musulmano o arabo, ma anche in America Latina – dobbiamo difendere la nostra posizione in modo molto più compatibile con la percezione che il mondo ha di ciò che sta accadendo in un luogo e nell’altro. 

Naturalmente, molte altre questioni giocano un ruolo significativo nella nostra politica estera e di sicurezza. Tuttavia, nel contesto attuale, ho scelto di concentrarmi sui due principali conflitti che stiamo affrontando, sui rischi esistenziali che essi pongono all’Europa e sull’urgente necessità che la società europea li comprenda e che i suoi leader politici agiscano di conseguenza. Vi ringrazio per l’attenzione.

https://geopolitique.eu/en/2024/01/03/europe-between-two-wars/

Traduzione a cura di AssoPacePalestina

Non sempre AssoPacePalestina condivide gli articoli che pubblichiamo, ma pensiamo che opinioni anche diverse possano essere utili per capire.

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