Il massacro non giustifica il massacro: Israele, Gaza e i crimini di guerra

Omer Bartov

6 dicembre 2023

Il gruppo di storici che ha attaccato il mio articolo del New York Times ha offerto un’imbarazzante apologia delle politiche israeliane – e nessuna condanna dell’enorme numero di vittime civili di Gaza.

Abitanti di Gaza durante la ricerca di vittime sul luogo di un attacco israeliano contro un edificio residenziale a Gaza City, in ottobre. STRINGER/ REUTERS

Solo lo shock e l’orrore prodotti dall’indicibile massacro di Hamas del 7 ottobre possono spiegare il bizzarro articolo recentemente pubblicato su queste pagine da alcuni rispettabili storici. Presumendo di denunciare il mio articolo, pubblicato sul New York Timesil 10 novembre, come “infiammatorio e pericoloso”, gli autori insistono sul fatto che il ruolo degli “storici è quello di costruire argomenti basati sui fatti che conosciamo, non sulle idee che scegliamo di credere”.

Sembra che una volta intravisto il titolo, “Ciò che credo come storico del genocidio“, i miei stimati colleghi si siano a malapena lasciati il tempo di leggere il resto del testo, prima di lanciarsi a capofitto nella loro inspiegabile apologia delle politiche israeliane.

Permettetemi quindi di affrontare brevemente alcuni travisamenti e accuse di questo articolo, per poi riflettere sulle sue implicazioni morali, tenendo sempre presente che i suoi autori sono tutti storici che hanno scritto molto su questioni legate all’Olocausto, ai rifugiati, allo sfollamento, all’umanitarismo, al trauma, alla vendetta e alla memoria, tra le altre cose.

Gli autori aprono esprimendo preoccupazione per l’uso della parola “credere”, ammonendomi invece di attenermi alle prove. Curiosamente, in realtà uso questa parola solo due volte nel mio articolo. Una volta, per affermare che “come storico del genocidio, credo che non ci siano prove che un genocidio sia attualmente in corso a Gaza”. E una seconda volta, quando mi rivolgo a studiosi come loro, affermando che “se crediamo davvero che l’Olocausto ci abbia insegnato una lezione sulla necessità – o in realtà, sul dovere – di preservare la nostra umanità e la nostra dignità proteggendo quelle degli altri, questo è il momento di alzarsi in piedi e di parlare a gran voce, prima che la leadership di Israele faccia precipitare il Paese e i suoi vicini nell’abisso”.

Palestinesi sul luogo di un attacco israeliano a Rafah, nel sud della Striscia di Gaza, lunedì. STAFF/ REUTERS

Ma gli autori si rifiutano di ascoltare questo avvertimento. Si abbandonano invece a una serie di imbarazzanti argomentazioni apologetiche che finiscono per giustificare l’ingiustificabile. Usando una retorica che è diventata comune tra coloro che desiderano omettere il tributo straordinariamente alto di vite civili a Gaza derivante dalle operazioni militari israeliane, essi sostengono che io “marginalizzo” il massacro da parte di Hamas, anche se lo descrivo chiaramente come un crimine di guerra e un crimine contro l’umanità. Inoltre, affermano che “non do alcun rilievo ad Hamas”, sebbene l’intero scopo del mio saggio sia quello di valutare la natura della rappresaglia dell’esercito israeliano al 7 ottobre.

Ancora più stranamente, gli autori concludono che sono “corretto nel suggerire che la disumanizzazione del nemico è una cosa comune quando si entra in battaglia” – un’affermazione che non ho mai fatto nel mio saggio – e arrivano a “riconoscere che ciò che alcuni leader israeliani hanno detto sono dichiarazioni veramente spregevoli che non possono essere ignorate”. Ma, visibilmente preoccupati dalle implicazioni della loro affermazione, si contraddicono rapidamente, aggiungendo che “disumanizzare i terroristi… non è una prova di un intento genocida, ma un riflesso dei limiti del linguaggio per descrivere un comportamento che sembra davvero disumano”.

Cosa pensare di questo? Disumanizzare il linguaggio è “spregevole”, ma disumanizzare gli “animali umani” è una rappresentazione corretta della realtà? E cosa si deve fare con questi “subumani”?

Il fatto è che l’uso di un linguaggio disumanizzante è uno dei primi segni di un potenziale genocidio. Gli Hutu chiamavano i Tutsi “scarafaggi”; i nazisti chiamavano gli ebrei “parassiti”. I leader politici e militari israeliani non si sono limitati a chiamare i membri di Hamas “animali umani“, ma hanno ripetutamente parlato in modi che disumanizzano e indicano il desiderio di alcuni di distruggere Gaza e persino di eliminarne la popolazione nel suo complesso.

Questo ha due effetti. In primo luogo, agisce come incitamento alle truppe sul campo. In secondo luogo, può indicare un’intenzione che, se combinata con azioni specifiche, potrebbe essere usata come prova di azioni genocide.

Gli autori dovrebbero saperlo, dal momento che citano la Convenzione ONU sul genocidio del 1948, citata anche nel mio saggio. Essi ripetono la mia stessa argomentazione secondo cui i civili morti, ora stimati in 15.000, tra cui migliaia di bambini, non sono stati uccisi, per quanto ne sappiamo, con l’intento di distruggerli in quanto tali. Perché, allora, sono stati uccisi? Secondo gli autori è avvenuto “per ragioni strategiche, come una risposta militare a un brutale attacco terroristico”.

Riflettiamo un attimo su questa affermazione. Non dovremmo chiederci se un numero così alto di morti civili sia giustificato in una risposta militare a un atto terroristico? C’è un limite particolare oltre il quale non dovremmo andare, o possiamo ucciderne il doppio o il decuplo “per ragioni strategiche”? Questa è la questione che ho sollevato nel mio articolo e che gli autori della risposta non hanno assolutamente preso in considerazione. Se avessero consultato la documentazione facilmente accessibile sul diritto internazionale umanitario, avrebbero potuto giungere a conclusioni diverse e meno retoriche.

Secondo le Convenzioni di Ginevra, di cui Israele è firmatario, e secondo la regola della proporzionalità che fa parte di queste convenzioni, questo tributo di civili estremamente elevato può apparire sproporzionato rispetto agli obiettivi militari fissati e raggiunti, nonché all’obiettivo politico desiderato, che non è ancora stato articolato dal governo israeliano, ossia quali siano i suoi piani per il giorno successivo allo smantellamento di Hamas che è stato fissato come obiettivo militare. (È per questo motivo che scrivo – con orrore degli autori – che c’è un’alta probabilità che l’IDF abbia compiuto “gravi violazioni delle leggi e degli usi di guerra”, o in termini profani, crimini di guerra.)

Questo dovrà essere oggetto di un’indagine forense. Per esempio, se l’IDF sgancia una bomba da 2.000 libbre su un sito con centinaia di sfollati perché sotto c’erano un paio di comandanti di Hamas, uccidendo decine o centinaia di civili insieme a questi comandanti, la legge della proporzionalità potrebbe considerare tale azione un crimine di guerra. Moltiplicate tali azioni per dieci, o cento, e iniziano a emergere le azioni che stanno dietro ai 15.000 morti.

Ma gli autori della risposta al mio articolo, studiosi che hanno dedicato la loro carriera allo studio dell’Olocausto, all’uccisione di innocenti, alla memoria e alla commemorazione del genocidio e all’umanitarismo, sembrano pensare che l’uccisione di migliaia di civili palestinesi, tra cui un numero molto elevato di bambini, “per ragioni strategiche”, non sollevi alcuna questione morale o legale.

Certo, scrivono, “la sofferenza a Gaza è davvero un’orribile catastrofe”, ma non se ne assumono la responsabilità in quanto cittadini di un Paese il cui esercito ha sfollato 1,7 dei 2,2 milioni di gazawi, ha distrutto gran parte delle loro case e li ha ridotti in condizioni appena vivibili. Secondo loro, “Hamas deve essere incolpato per aver prodotto quella che è diventata una crisi umanitaria insostenibile”.

Un bambino dorme in un rifugio di fortuna, martedì, in un nuovo campo di accoglienza per i palestinesi sfollati che hanno abbandonato le loro case a causa degli attacchi israeliani, a Rafah, nel sud della Striscia di Gaza. MOHAMMED SALEM/ REUTERS

Purtroppo, secondo il diritto internazionale, questo è falso. Un esercito occupante, anche se sta combattendo contro un’organizzazione criminale, è responsabile del destino della popolazione civile nelle sue aree di operazioni e occupazione.

Per quanto riguarda il contenuto morale di questo punto di vista, si tratta di un’affermazione davvero spaventosa da parte di chiunque, tanto più se proviene da studiosi da cui ci aspettiamo una guida morale ed etica.

Lo stesso tipo di straordinaria insensibilità è dimostrato dalla negazione degli eventi in Cisgiordania. Anche in questo caso, concordano sul fatto che la situazione in Cisgiordania è “spaventosa”, solo per negare immediatamente che ci siano chiari segni che “sta scivolando verso la pulizia etnica”. Quante altre centinaia di palestinesi in Cisgiordania devono essere uccise prima che questi studiosi della disumanità gridino il loro rifiuto?

Gli autori si auto-avvertono “di non fare leva sulla propria esperienza di storico del genocidio per affermare che ‘è molto probabile che si stiano verificando crimini di guerra, persino crimini contro l’umanità’ senza fornire prove specifiche”. Il problema, a quanto pare, non è tanto la mancanza di prove, quanto piuttosto una combinazione di una visione ristretta e di una logica distorta impiegata maldestramente per difendere ciò che nel loro cuore sanno essere sbagliato. “Se ogni atto di aggressione militare viene descritto come tendente al genocidio“, esclamano, “il termine legale e storico perde rapidamente il suo significato”. Ma naturalmente gli atti di aggressione militare sono per definizione violazioni del diritto internazionale, tranne nei casi di autodifesa. Israele può giustamente affermare che le sue azioni erano per autodifesa. Ciò che non può sostenere è che il massacro giustifica il massacro.

Il mio saggio invitava gli studiosi, come gli autori di quell’articolo, a usare la loro autorità morale e le loro conoscenze professionali come baluardo contro la retorica brutalizzante e disumanizzante dei leader politici e militari israeliani, nonché delle testate giornalistiche. Anche se le reti televisive israeliane continuano a lodare gli israeliani per la loro immensa umanità e compassione reciproca, e a elogiare l’IDF come l’esercito più morale del mondo, risparmiano al loro pubblico qualsiasi immagine dell’immensa sofferenza umana a Gaza, e presentano qualsiasi empatia con il destino delle vittime palestinesi innocenti come propaganda nemica.

Gli autori di quella lettera avrebbero potuto impiegare meglio il loro tempo se avessero mostrato un po’ di coraggio morale e avessero messo in guardia da questo inasprimento dei sentimenti in Israele, invece di comporre questa goffa e insostenibile apologia di un regime screditato e di un esercito che cerca di riconquistare la fiducia del pubblico attraverso la distruzione in massa di proprietà e vite umane. Questi studiosi, miei colleghi, hanno tradito la loro vocazione e alla fine, quando la polvere si poserà, anche loro saranno chiamati a rispondere.

Omer Bartov è Samuel Pisar Professor alla Brown University e autore di Genocide, the Holocaust and Israel-Palestine: First-Person History in Times of Crisis (Bloomsbury, 2023).

https://www.haaretz.com/opinion/2023-12-06/ty-article-opinion/.premium/massacre-doesnt-justify-massacre-israel-gaza-and-war-crimes/0000018c-3585-d55e-adbf-7fd7c8900000

Traduzione a cura di AssoPacePalestina

Non sempre AssoPacePalestina condivide gli articoli che pubblichiamo, ma pensiamo che opinioni anche diverse possano essere utili per capire.

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