Un equivoco letale, a Gaza e oltre: mascherare gli attacchi indiscriminati come potenzialmente proporzionati nei discorsi sulle leggi di guerra

Nov 7, 2023 | Notizie

di Luigi Daniele,

EJIL:Talk!, 7 novembre 2023. 

Negli ultimi anni e, nonostante la realtà, nelle ultime settimane, si è consolidata una tendenza tra gli studiosi di diritto dei conflitti armati. Questa tendenza è in antitesi con la denuncia unanime come illegale e criminale della vessazione di massa dei civili in altri teatri di conflitto (come, giustamente, in relazione alla guerra contro l’Ucraina). Al contrario, le campagne di bombardamento a Gaza hanno attirato e continuano ad attirare il maggior numero di commenti accademici che sottolineano i limiti e le deroghe all’immunità dei civili dagli attacchi. La formula “sfortunata/tragica ma probabilmente proporzionata perdita di vite civili” è stata ripetuta da innumerevoli analisi.

Nonostante l’illegalità strutturale di questo conflitto, non è una novità leggere un’abbondanza di commenti giuridici che abbracciano il prisma deformante della potenziale liceità dell’uccisione di folle di civili palestinesi. Tuttavia, ciò che è nuovo è che l’abbraccio di questo stesso prisma di approvazione continua senza sosta, mentre l’uccisione di civili gazawi assediati, sfollati, privi di assistenza sanitaria e sempre più affamati assume proporzioni scioccanti di minuto in minuto. Questa tendenza continua nonostante gli alti funzionari israeliani abbiano annunciato questa offensiva negando l’esistenza stessa di civili innocenti e nonostante i portavoce dell’IDF abbiano chiarito che questa campagna non ha come priorità la precisione.

Questo post (che sintetizza alcune argomentazioni di un articolo più lungo) sostiene che il prisma legittimante descritto riproduce alcune idee gravemente sbagliate, in particolare su come dovremmo interpretare il rapporto tra distinzione e proporzionalità nel diritto internazionale umanitario (IHL) consuetudinario.

Molte analisi sembrano aver finora esteso eccessivamente la proporzionalità al regno della distinzione, contribuendo all’attuale fallimento della maggior parte delle restrizioni del diritto internazionale umanitario e del diritto penale internazionale. Anche le recenti analisi che discutono la proporzionalità in bello degli attacchi dell’IDF, ciascuno dei quali ha ucciso e ferito diverse centinaia di civili, come il bombardamento del campo profughi di Jabalia nel nord di Gaza (si veda, tra gli altri, Andreea Manea), non menzionano nemmeno una volta il divieto di attacchi indiscriminati e sembrano implicare che le violazioni della distinzione non si verificano a meno che non vengano lanciati “attacchi diretti e deliberati” contro civili o oggetti civili.

Non sono in disaccordo con i fatti indicati da Andreea. Tuttavia, supponendo che i membri di Hamas abbiano omesso di prendere precauzioni passive (la determinazione di ciò deve includere considerazioni di fattibilità, vedi Schmitt), e supponendo che i tunnel siano obiettivi leciti (che possono essere neutralizzati o catturati con metodi meno devastanti), questo non rende in alcun modo i civili palestinesi meno civili, meno protetti o obiettivi ammissibili di prossimità. Stiamo discutendo di attacchi aerei. Non c’è modo, credo, di bombardare tunnel sotterranei con testate GBU-31 senza consapevolmente radere al suolo quartieri densamente popolati con centinaia di civili che saranno certamente uccisi.

Il divieto consuetudinario di attacchi indiscriminati, di conseguenza, diventa cruciale e ricorda ai giuristi e agli attori armati che la distinzione non proibisce solo gli attacchi diretti e deliberati contro i civili e gli oggetti civili, ma proibisce anche gli attacchi che rinunciano a discernere tra questi e gli obiettivi leciti. Questo divieto non si applica esclusivamente agli attacchi chiaramente indiscriminati di Hamas. Si applica a tutte le parti in conflitto, compreso l’IDF. Quello che cercherò di sostenere in questa sede è che gli aggressori, in tutti i conflitti, possono benissimo violare non solo il diritto internazionale umanitario, ma persino la legge sui crimini di guerra, anche se non prendono deliberatamente di mira esclusivamente civili e oggetti civili in quanto tali.

Le norme del diritto internazionale umanitario consuetudinario che regolano la scelta del bersaglio includono: 1) la distinzione, che richiede alle parti in conflitto di distinguere sempre, nella massima misura possibile, tra combattenti e civili, e tra obiettivi militari e oggetti civili, ponendo un divieto assoluto di attacchi contro questi ultimi; 2) la proporzionalità, inoperante se non viene rispettata la distinzione (vedi infra), che proibisce anche gli attacchi diretti a obiettivi legittimi nel caso in cui “si possa prevedere che essi causino incidentalmente perdite di vite umane tra i civili, lesioni ai civili, danni a oggetti civili, o una combinazione di questi [danni ai civili], che sarebbero eccessivi in relazione al concreto e diretto vantaggio militare previsto”; 3) la precauzione, corollario sia della distinzione che della proporzionalità, impone un dovere legale di costante attenzione, nella conduzione delle operazioni militari, a risparmiare i civili e gli oggetti civili, a verificare che gli oggetti da attaccare siano obiettivi legittimi e a prendere “tutte le precauzioni possibili per evitare, e in ogni caso ridurre al minimo, i danni incidentali” ai civili. Queste tre regole fondamentali possono svolgere la loro funzione protettiva solo se rispettate cumulativamente, legate in un triplice nesso sinallagmatico [reciproco e simultaneo, NdT] che presiede alla legalità degli attacchi. Allo stesso tempo, esse mantengono sfere di operatività separate, di importanza operativa distinta, delineando obblighi da rispettare in sequenza.

Come funziona questa sequenza? Come facciamo a decidere se gli attacchi sollevano solo problemi di proporzionalità e non, invece, di distinzione precedente, in particolare quando i civili vengono uccisi e mutilati in massa? C’è qualcosa che deve essere esaminato in via preliminare per poter accedere alle valutazioni di proporzionalità?

A mio avviso, la risposta è senza dubbio “sì”. Trascurare ciò che dà diritto agli aggressori stessi di impegnarsi legittimamente nella valutazione della proporzionalità può avere conseguenze devastanti (a cui credo stiamo tragicamente assistendo), alterando fondamentalmente il modo in cui il diritto internazionale umanitario stabilisce il suo equilibrio normativo tra necessità militare e umanità. Dal punto di vista logico e normativo, resta impossibile valutare la proporzionalità quando gli aggressori hanno molto probabilmente lanciato attacchi indiscriminati. È inoltre pericolosamente fuorviante, in quanto alimenta la convinzione che, qualunque sia l’entità dell’uccisione di massa calcolata di civili, essa possa sempre essere “proporzionata” se tra le persone e gli oggetti colpiti vi sono obiettivi militari di alto valore. Questo è molto lontano da una lettura sistematica del diritto internazionale umanitario. Permettetemi di articolare meglio questo punto.

Gli attacchi indiscriminati sono quelli che “a) non sono diretti verso un obiettivo militare specifico; b) impiegano un metodo o un mezzo di combattimento che non può essere diretto verso un obiettivo militare specifico; o c) impiegano un metodo o un mezzo di combattimento i cui effetti non possono essere limitati come richiesto” dal DIU. Questi attacchi sono illegali perché violano la regola fondamentale della distinzione (o discriminazione). Ora, almeno negli ultimi due tipi di attacchi proibiti (sotto le lettere “b” e “c”), tutti gli aggressori potrebbero affermare che il loro scopo era quello di colpire gli obiettivi legittimi e che non intendevano direttamente bombardare le persone o gli oggetti protetti, ma questa era una sfortunata necessità. Dobbiamo però ricordare che il diritto internazionale umanitario respinge categoricamente l’ammissibilità di questa affermazione, perché anche questi tipi di attacchi sono “di natura tale da colpire obiettivi militari e civili o oggetti civili senza distinzione“. La natura dei mezzi o dei metodi impiegati, quindi, è sufficiente a rendere irrilevante il fatto che gli aggressori avessero solo lo scopo primario di colpire obiettivi leciti, purché abbiano anche accettato, utilizzando tali mezzi o metodi, di colpire indistintamente un certo numero di persone e oggetti protetti accanto agli obiettivi leciti.

Inoltre: consideriamo il divieto di bombardamenti d’area. Il diritto internazionale umanitario vieta gli attacchi che “con qualsiasi metodo o mezzo […] trattano come un unico obiettivo militare una serie di obiettivi militari chiaramente separati e distinti situati in una città, paese, villaggio o altra area contenente una simile concentrazione di civili o oggetti civili”. Questo divieto conferma che anche quando diversi obiettivi leciti sono l’obiettivo diretto dell’attacco, rimane assolutamente (non relativamente!) proibito colpirli conmezzi o metodi che comportino il bombardamento di un’analoga concentrazione di oggetti o persone protette, disseminati tra gli obiettivi leciti (anche se diversi). Questo vale in particolare per le aree densamente popolate (vedi par. 1973).

Indiscutibilmente, quindi, il diritto internazionale umanitario considera anche il bombardamento calcolato e indiretto di alte concentrazioni di civili e oggetti civili come pienamente in grado di violare il divieto di attacchi indiscriminati, in violazione della distinzione/discriminazione.

Ora, anche gli attacchi sproporzionati accettano di colpire civili e oggetti civili, anche indirettamente. Sorge quindi la domanda: in che modo gli attacchi sproporzionati si differenziano dagli “altri tipi” (come art. 51(5) AP I 51(5) AP I ) di attacchi indiscriminati?

La sproporzione (cioè l’eccesso di danno civile accidentale prevedibile, rispetto al vantaggio militare concreto e diretto previsto) supera le linee rosse legali che separano i civili dai combattenti solo: 1) indirettamente, perché i civili e gli oggetti civili in questi casi non sono un obiettivo diretto; di per sé, tuttavia, questo aspetto non differenzierebbe sufficientemente questi attacchi da altri attacchi indiscriminati. Nei bombardamenti d’area, i bersagli diretti sono ancora obiettivi militari, potenzialmente molti, ma i mezzi o i metodi dell’attacco sono tali da colpire inevitabilmente questi bersagli insieme a una concentrazione o a un numero simile di oggetti o persone protette. Pertanto, sono sproporzionati quegli attacchi che non rispettano le linee rosse di protezione menzionate non solo indirettamente, ma anche 2) incidentalmente, perché questi attacchi non contemplano il bombardamento di concentrazioni simili (per non parlare di concentrazioni o numeri incommensurabilmente più alti) di persone e oggetti protetti accanto agli obiettivi legittimi, ma piuttosto rimangono vietati autonomamente perché accettano una conseguenza collaterale prevedibile dell’attacco su civili o oggetti civili che potrebbe essere eccessiva.

Il fatto che un danno esteso ai civili sia solo previsto, ma non direttamente perseguito come tale, quindi, non è chiaramente un motivo per escludere la natura indiscriminata di un attacco. Non è quindi sufficiente limitarsi a discutere di proporzionalità.

In effetti, non sarebbe sufficiente nemmeno per escludere i crimini di guerra di attaccare intenzionalmente civili o oggetti civili. Alcune precisazioni su questo profilo. Alcuni autori (cfr. ad es. Ohlin, Heller, Haque) hanno a lungo discusso il rapporto tra il crimine di guerra di attacchi intenzionali contro civili e oggetti civili in quanto tali, il crimine di guerra di attacchi sproporzionati e il ruolo della negligenza. La giurisprudenza della Corte Penale Internazionale (CPI) (a differenza di quella del Tribunale Criminale Internazionale Iugoslavo (ICTY) sugli attacchi illegali) ha escluso che questa soglia di reità sia sufficiente per perfezionare i crimini. Tuttavia, uccidere e mutilare consapevolmente intere folle di civili, oltre a distruggere numerosi oggetti civili, si colloca ben al di sopra di questa soglia. Il dolo indiretto/obliquo, infatti, è diverso dalla temerarietà e dal dolus eventualis. In quest’ultimo caso, l’autore del reato ignora consapevolmente il rischio sostanziale e ingiustificato che l’elemento materiale derivi dalla sua condotta. Nel primo caso, di dolo indiretto/obliquo (valida mens rea ai sensi dello Statuto di Roma), si ritiene che un autore di reato intenda non solo il risultato perseguito di un’azione, ma anche altri risultati antigiuridici, quando sono entrambi virtualmente certi di verificarsi e apprezzati dall’indagato. In casi come l’attacco al campo profughi di Jabalia, la certezza virtuale (se non assoluta) è sicuramente soddisfatta dal bombardamento di un quartiere estremamente popolato, che ha ucciso e ferito potenzialmente migliaia di civili.

Ciò significa anche che l’uccisione consapevole di uno o pochi civili o il danneggiamento di oggetti civili mentre si colpiscono obiettivi di alto valore costituiscono sempre i reati di cui all’art. 8(2)(b)(i). 8(2)(b)(i) e ii) della RS? Non è così. Il problema non è il danno ai civili che può essere ragionevolmente considerato accidentale. Il problema è la condotta di guerra indiscriminata accompagnata da affermazioni secondo cui l’uccisione di folle di civili di un altro gruppo nazionale (non importa quanti) negli attacchi aerei è sempre accidentale e mai eccessiva. Pertanto, gli attacchi che prevedono l’uccisione di folle di civili (e la distruzione di numerosi oggetti civili) dovrebbero essere esaminati in base al crimine di guerra degli attacchi sproporzionati (art. 8(2(b)).8(2)(b)(iv) RS), o piuttosto sotto il crimine di guerra di attaccare intenzionalmente civili e/o oggetti? La risposta dipende dalla possibilità di qualificare il danno civile virtualmente certo come esteso e preponderante rispetto ai vantaggi militari collaterali. Abbiamo bisogno, in buona sostanza, di un parametro giuridico che ci permetta di qualificare il danno civile calcolato (anche se non direttamente perseguito) per capire se la sua entità fosse così estesa da affermare che gli attacchi non avevano usato discriminazione.

Per considerare ragionevolmente questo danno atteso nell’ambito della sola proporzionalità, il diritto internazionale umanitario richiede che sia accidentale. I danni accidentali ai civili devono essere evitati o ridotti al minimo anche se non eccessivi nell’ambito delle precauzioni obbligatorie. Alcuni giuristi militari tendono a interpretare l’incidentalità come accidentalità (danno civile non perseguito). Si tratta di un’interpretazione eccezionalmente ristretta del termine, che traduce il concetto come “danno accidentale agli attacchi”. È fondamentale che l’incidentalità, nella formulazione delle disposizioni dell’AP I (art. 1 del Protocollo di Modifica), non sia mai relativa agli attacchi, ma sempre e inequivocabilmente riferita al danno civile.

La letteratura che dedica un’attenzione specifica al danno incidentale delle valutazioni di proporzionalità ha sinteticamente affermato che il requisito che il danno civile deve essere incidentale significa che “deve verificarsi nel corso di un attacco diretto contro un obiettivo militare”, astenendosi da altri chiarimenti sul significato di incidentalità nel suo contesto normativo sistematico. Questa concezione temporale dell’incidentalità appare riduttiva. Che il danno ai civili si verifichi nel corso di un attacco diretto contro un obiettivo militare, infatti, è sufficiente a escludere che l’attacco fosse direttamente destinato a colpire civili o oggetti civili in quanto tali, e nient’altro.

Il fatto che la valutazione prognostica pertinente sia una valutazione ex ante, inoltre, non significa che l’incidentalità possa essere ridotta a una determinazione puramente soggettiva degli aggressori (eventualmente gli aggressori svalutano come meno degna di protezione la vita dei civili vicini). Una persona ragionevolmente informata (par. 58) non solo può ma deve prevedere, come minimo, le conseguenze di un’azione nella loro misura oggettiva, prima di poter assegnare loro un valore.

L’ammissione di danni civili non accidentali, estremamente estesi e preponderanti, che dovrebbero essere bilanciati da elevati vantaggi militari, dissolve un confine fondamentale delle valutazioni di proporzionalità e le proietta oltre i loro limiti legali. Il diritto internazionale umanitario non accetta che la mutilazione e l’uccisione calcolata di massa di grandi numeri di civili, e certe distruzioni estese di infrastrutture civili, siano bilanciate da alti valori assegnati dagli attaccanti a obiettivi specifici. Nel 1987 era già chiaro che questo punto di vista è contrario al diritto internazionale umanitario: “è stata anche avanzata l’idea che, anche se molto elevate, le perdite e i danni ai civili possono essere giustificati se il vantaggio militare in gioco è di grande importanza. Questa idea è contraria alle regole fondamentali del Protocollo; il Protocollo non prevede alcuna giustificazione per gli attacchi che causano ingenti perdite e danni ai civili. Le perdite e i danni accidentali non dovrebbero mai essere estesi” (vedi par. 1980).

L’equivoco interpretativo discusso, in sintesi, rischia di riscrivere il diritto internazionale umanitario come un quadro che consente di rivendicare come “danno collaterale” uccisioni e distruzioni illimitatamente indiscriminate.

Pertanto, a mio avviso (con una lettura coordinata e sistematica del diritto internazionale umanitario e dei crimini di guerra), per essere passibile di valutazione di proporzionalità, il danno ai civili deve essere previsto come accidentale dal punto di vista degli attaccanti in un triplice senso. Dovrà essere previsto come accidentale:

  1. in relazione e in contrasto con il risultato principale dell’attacco perseguito, dal punto di vista volitivo.
  2. in relazione e in contrasto con il risultato principale dell’attacco prevedibile, dal punto di vista cognitivo/prognostico della rappresentazione delle conseguenze dell’azione.
  3. in relazione e in contrasto con il risultato principale (di carattere militare) dell’attacco oggettivo, dal punto di vista materiale, che deve essere almeno logicamente distinguibile e preponderante rispetto all’impatto secondario e indiretto sui civili e sugli oggetti civili.

In assenza di queste condizioni, il dibattito sulla proporzionalità appare una fictio iuris piuttosto favorevole agli eserciti, poiché se:

  1. il danno ai civili ci si aspetta che sia, dal punto di vista oggettivo, il risultato incommensurabilmente prevalente dell’attacco rispetto, quantitativamente, a un impatto secondario (collaterale) su obiettivi militari legittimi, più
  2. la prevedibilità del risultato principale dell’impatto sui civili è così alta da essere una certezza virtuale o (come nel caso di Jabalia) assoluta, allora
  3. si può dire che questo impatto prevalente dell’attacco su civili e/o oggetti civili è indirettamente voluto, per il semplice motivo che non è più un impatto “collaterale” e – inoltre – è previsto con certezza e apprezzato dalle forze attaccanti.

Quando gli attacchi specifici sono caratterizzati da calcoli di uccisioni di massa e distruzione estesa di persone e oggetti protetti, inclusi persone e oggetti specialmente protetti, inclusi bambini, la proporzionalità appare semplicemente inoperante ai sensi del diritto internazionale umanitario.

L’attacco di Jabalia, in sintesi, è stato un attacco indiscriminato, che ha impiegato consapevolmente un metodo o un mezzo di combattimento che non poteva, nelle circostanze, essere diretto a specifici obiettivi militari singolarmente identificati (incluso il sottosuolo), senza certamente ferire, uccidere e distruggere concentrazioni o numeri molto più elevati di persone e oggetti protetti.

In conclusione, gli autori che continuano a proporre il prisma delle convalide basate sulla proporzionalità (anche in mezzo ai massacri in atto e ai continui incitamenti al genocidio) potrebbero facilmente verificare la fattibilità morale delle loro interpretazioni alla luce dell’applicazione dello jus in bello. Sarebbero disposti a far seguire le stesse interpretazioni che propongono ai nemici strategici in ipotetiche guerre future sul loro territorio nazionale? Sarebbero disposti a considerare potenzialmente proporzionati, anziché palesemente indiscriminati, gli attacchi aerei sulle loro città, migliaia di tonnellate di esplosivo che piovono sui loro quartieri, comprese le scuole dei loro figli, gli ospedali dove sono ricoverati i loro familiari feriti e le infrastrutture indispensabili per la sopravvivenza del loro gruppo nazionale? Sospetto e spero che non lo facciano.

https://www.ejiltalk.org/a-lethal-misconception-in-gaza-and-beyond-disguising-indiscriminate-attacks-as-potentially-proportionate-in-discourses-on-the-laws-of-war/

Traduzione a cura di AssoPacePalestina

Non sempre AssoPacePalestina condivide gli articoli che pubblichiamo, ma pensiamo che opinioni anche diverse possano essere utili per capire.

.

0 commenti

Invia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Archivi

Fai una donazione

Fai una donazione tramite Paypal alla nostra associazione:

Fai una donazione ad Asso Pace Palestina

Oppure versate il vostro contributo ad
AssoPace Palestina
Banca BPER Banca S.p.A
IBAN: IT 93M0538774610000035162686

il 5X1000 ad Assopace Palestina

Il prossimo viaggio