In questa guerra palestinesi e israeliani sono intrappolati tra due dolorose realtà

Ott 17, 2023 | Notizie

di Samah Salaime,

+972 Magazine, 13 ottobre 2023. 

Un momento ricevo dagli amici di Gaza notizie strazianti di morti ed espulsioni di massa. Un momento dopo sono preoccupata per il mio amico israeliano rapito.

Razzi sparati dalla parte meridionale della Striscia di Gaza verso Israele, 10 ottobre 2023. (Atia Mohammed/Flash90)

Quel maledetto e sanguinoso sabato mattina, volevo credere di essere in un insopportabile incubo, che mi sarei svegliata molto presto, che tutto sarebbe finito e che sarei tornata a un altro normale e noioso giorno libero. Ma no. Noi –israeliani e palestinesi, ebrei e arabi, qui in Israele, oltre la barriera di separazione a Gaza, nel sud, nel centro, nel nord, a Gerusalemme, in Cisgiordania e ovunque– siamo caduti in una terribile realtà ed è impossibile respirare. Il cuore e la mente non possono sfuggire all’orrore dei cadaveri, dei feriti e dei prigionieri.

Quel giorno sapevamo che una reazione israeliana massiccia, crudele e smisurata avrebbe spalancato le porte dell’inferno a più di 2 milioni di persone, la maggior parte delle quali, proprio come noi, sotto shock. La loro unica colpa è quella di essere gazawi sotto assedio da 16 anni, innocenti che pagheranno il prezzo orribile della “vendetta” di Israele.

L’esercito più morale del mondo si è messo subito al lavoro, rimettendo insieme il suo onore infranto e andando all’attacco. L’assalto dell’esercito potrebbe placare la sete di quelle anime che desiderano l’annientamento degli esseri umani che stanno dall’altra parte della barriera di Gaza, ma noi – israeliani e palestinesi – probabilmente annegheremo nello spargimento di sangue.

Da quel sabato mattina, vivo in due mondi paralleli. In uno, guardo i video di TikTok, i filmati di Instagram e i terrificanti post dei cittadini che vivono nel sud di Israele, che implorano gli uomini armati mascherati che hanno invaso le loro case di risparmiare le loro vite, prima di essere massacrati. Immagini di bambini, anziani, donne e uomini uccisi. Bambini perduti, donne anziane rapite e una madre terrorizzata che abbraccia due bambini piccoli e anela la salvezza.

Nessun essere umano è in grado di gestire queste situazioni, affrontando una morte certa nel seminterrato di casa, sul pavimento della cucina, accanto al marciapiede, nell’auto in fuga sulla strada. Questo è il vero terrorismo: invadere un luogo che dovrebbe essere più sicuro di qualsiasi altro e aprire il fuoco su persone inermi. Non c’è altra definizione per questo atto.

Soldati israeliani rimuovono corpi di civili israeliani nel Kibbutz Kfar Aza, vicino alla barriera israelo-gazawa, nel sud di Israele, 10 ottobre 2023. (Chaim Goldberg/Flash90)

Nell’altro mondo, parallelo, mi passano per la testa video di distruzione, bombardamenti, corpi smembrati e intere famiglie che muoiono sotto le rovine delle loro case. Video su “Spade di ferro” (il nome che l’esercito israeliano ha dato alla sua “operazione” a Gaza), sul cemento e sulla terra sotto cui saranno sepolti i corpi dei palestinesi a Gaza. Padri che corrono con i loro bambini sanguinanti in braccio e madri che urlano per il dolore e la perdita nelle strade in fiamme di Gaza.

“C’è morte da tutte le parti”

L’attacco dell’aviazione israeliana va avanti da giorni. Granate, missili e bombe cadono ovunque. Da casa mia, nel centro del paese, posso sentire e vedere i jet da combattimento israeliani sorvolare la zona, uno dopo l’altro. Mio figlio ha sviluppato una certa esperienza nei suoni della guerra: una bomba israeliana scuote l’intera area ed è accompagnata da intensi lampi; il “boom” dei razzi di Hamas è molto più debole e breve, e se l’Iron Dome intercetta il razzo si vede l’esplosione nell’aria, come un fungo nel cielo.

Da un lato, mi sono trovata a seguire le notizie sui dispersi e gli assassinati del Naqab/Negev, amici e conoscenti ebrei che cercano online i loro parenti, e un’intera famiglia beduina – compresi quattro bambini – che viveva nel Naqab senza un rifugio vicino, uccisa. Dall’altro, ho cercato di parlare su WhatsApp con le mie amiche di Gaza, donne che ho conosciuto due mesi fa nei campi profughi, per assicurarmi che fossero vive.

“I miei zii vivevano nel grande edificio Palestine Tower che è stato il primo a essere bombardato”, racconta una di loro. “Hanno ricevuto una telefonata dall’esercito che diceva loro di evacuare e se ne sono andati dopo cinque minuti. Tutti gli inquilini hanno visto le loro case crollare sotto i loro occhi. Gli zii stanno bene, alcuni di loro sono per strada, nelle scuole, con i familiari, ma anche lì è pericoloso. Il secondo giorno [dei bombardamenti] non ci sono stati avvisi, le bombe sono arrivate dal cielo e basta. C’è morte da tutte le parti, chiunque può morire in qualsiasi momento. Se io sopravvivo, sicuramente morirà qualcun altro della mia famiglia”.

Un’altra donna, del campo profughi di Al-Maghazi, mi ha raccontato: “Ho perso 15 membri della famiglia in due bombardamenti. Mio fratello e i suoi figli non hanno avuto il tempo di lasciare la casa. Nipoti e cugini si sono nascosti tutti su un piano. Finora sono stati trovati sette corpi; non so come e quando li seppelliremo”.

Una palla di fuoco e fumo si alza durante gli attacchi aerei israeliani nella Striscia di Gaza, 9 ottobre 2023. (Atia Mohammed/Flash90)

Dal campo profughi di Deir al-Balah, un’attivista del Centro delle donne mi ha scritto: “Stiamo aspettando la morte, pregando che sia veloce. Non c’è acqua, né elettricità, né cibo. Ci sono persone sotto assedio e forse il mondo ora capirà che siamo stati imprigionati qui per anni”.

E un’altra amica mi ha detto: “Ovviamente [l’attacco di Hamas] è orribile. Siamo tutti spaventati da questa guerra. Il colpo per gli israeliani è molto duro, e tu sai che io odio quello che Hamas ci sta facendo da anni. Da 15 anni, ogni anno o due, Israele ci bombarda e uccide migliaia di persone.

“Ma forse c’è un po’ di speranza che tutti i martiri che cadranno non saranno vani, che forse questa volta si riuscirà a raggiungere un vero cessate il fuoco in cambio degli ostaggi e non solo una misera hudna [tregua] – una hudna senza libertà, senza la possibilità di muoversi, senza la possibilità di guadagnarsi da vivere con dignità, mentre si aspetta di ricevere un centinaio di dollari che vengono dal Qatar e che Hamas distribuisce. Il mondo, e gli israeliani in particolare, capiranno che non possiamo essere imprigionati per sempre”.

Offerta di rifugio a Ramallah

Mentre rivivevo queste difficili conversazioni con le mie amiche di Gaza, che forse tra poche ore non saranno più vive, ho ricevuto la notizia che la mia amica Vivian Silver del Kibbutz Be’eri era stata rapita. Ho frugato nella mia corrispondenza con lei e non riuscivo a respirare mentre la immaginavo in viaggio verso un luogo sconosciuto, da qualche parte a Gaza, circondata da uomini mascherati.

Vivian è un’attivista per la pace, una donna coraggiosa con un meraviglioso senso dell’umorismo, che ha sempre rifiutato di arrendersi. Ha lavorato per porre fine all’assedio e desiderava tornare ai giorni in cui poteva visitare Gaza liberamente. Ho cercato di convinvcermi che avremmo ancora scherzato insieme sulla sua esperienza di prigionia. Sicuramente tornerà, mi sono detta.

Israeliani manifestano per il rilascio dei civili rapiti da Hamas e contro l’attuale governo israeliano, davanti al Kiryah di Tel Aviv, 11 ottobre 2023. (Avshalom Sassoni/Flash90)

Sono stati pubblicati i nomi dei 13 beduini uccisi, seguiti dall’elenco di coloro che erano stati rapiti nel Naqab e risultavano dispersi. Non ho visto le loro famiglie alla conferenza stampa tenuta dai parenti degli ostaggi. Sono abbastanza certa che non sentiremo parlare delle loro sofferenze, per i ben noti motivi.

E come se i cittadini palestinesi di Israele non fossero già abbastanza lacerati e smarriti da tutto questo trauma, si aggiunge la paura della violenza contro di loro da parte degli ebrei. I gruppi mediatici palestinesi delle cosiddette “città miste” –che non si sono ancora riprese dal trauma degli eventi del maggio 2021– hanno emesso avvisi su come comportarsi in un ambiente misto e incandescente, vista la grande circolazione sui social media ebraici di messaggi che incitano alla violenza contro gli arabi.

I miei figli mi hanno messo in guardia dall’andare nei media ebraici, credendo che qualsiasi messaggio di pace, coesistenza, solidarietà e un po’ di sanità mentale non porterà a nessun cambiamento ora, ma potrebbe solo mettere in pericolo la famiglia, come accadde durante la guerra a Gaza del 2014.

https://www.972mag.com/palestinian-citizens-israel-gaza-war/

Traduzione a cura di AssoPacePalestina

Non sempre AssoPacePalestina condivide gli articoli che pubblichiamo, ma pensiamo che opinioni anche diverse possano essere utili per capire.

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