L’ambasciatore USA Chas Freeman paragona l’attacco di Hamas all’offensiva del Têt in Vietnam nel 1968

di Chas W. Freeman, Jr. ,

Just World Educational, 8 ottobre 2023.

Questa guerra Hamas-Israele mette fine alla normalizzazione israelo-saudita, che però non è mai stata una prospettiva reale. Il ministero israeliano per gli Affari Strategici (cioè per la “hasbara” o propaganda) ha pubblicizzato la normalizzazione come “una svolta per il Medio Oriente”. Non è così. Potrebbe essere, invece, una svolta per Joe Biden e Benjamin Netanyahu nella loro politica interna. Ma non credo che la motivazione di Hamas fosse quella di impedire i legami ufficiali tra Gerusalemme e Riyad. La vera motivazione è più simile all’offensiva del Têt in Vietnam [l’attacco a sorpresa di nordvietnamiti e Viet Cong che colse impreparati gli USA e portò ai colloqui di pace, NdT].

L’attacco di Hamas a Israele è stato in parte un’evasione (da Gaza, la più grande prigione del mondo dopo la distruzione del Ghetto di Varsavia), ma soprattutto una rivolta dei disperati fatta dai disperati per i disperati. A volte la sofferenza diventa così insopportabile che tutto diventa lecito. Il martirio che ne consegue è inevitabile, ma è politicamente potente. E ricordare tempestivamente e a sorpresa realtà strategiche poco piacevoli può essere utile. Con questo attacco a sorpresa ben pianificato ed eseguito contro Israele, Hamas:

– monta una risposta drammatica al gabinetto estremista anti-arabo di Netanyahu, alle invasioni dei coloni della moschea di al Aqsa e ai pogrom in corso in Cisgiordania, una cosa che non hanno fatto né l’Occidente né gli Stati Arabi;

– si afferma come voce legittima del nazionalismo palestinese, screditando Fatah, Mahmoud Abbas e l’Autorità Palestinese, che sono tutti dei “kapò” dell’occupazione israeliana;

– guadagna credibilità e raccoglie consensi sia nel mondo arabo e musulmano sia nella diaspora palestinese globale;

– illustra la bancarotta delle politiche degli Stati Uniti e delle altre grandi potenze nei confronti della crescente oppressione e pulizia etnica dei palestinesi da parte di Israele;

– vendica la violenza israeliana contro i civili palestinesi;

– scredita gli Accordi di Abramo, con i quali Israele ha cercato di sottrarsi a qualsiasi resa dei conti con i palestinesi e annulla qualsiasi possibilità che si verifichi una normalizzazione (al di là di scambi frammentari) tra Arabia Saudita e Israele;

– si ingrazia l’Iran e altre forze anti-israeliane in Asia occidentale come Hezbollah (con cui non ha nulla in comune se non il comune nemico israeliano);

– mette in evidenza l’incostanza dei governi di Egitto, Giordania e altri collaboratori di fatto dell’occupazione israeliana, che si rifletterà in una pressione popolare su di loro;

– guadagna ostaggi da usare come merce di scambio per il futuro rilascio di prigionieri politici palestinesi da parte di Israele.

I pericoli geopolitici sono: che la guerra possa allargarsi al Libano e alla Siria e al terrorismo degli anni Sessanta contro gli ebrei e gli altri sostenitori del sionismo all’estero; che Netanyahu possa vedere la risposta politica al fallimento del Mossad o dello Shin Bet nel prevedere l’attacco di Hamas come una giustificazione per incolpare e attaccare l’Iran; e che l’intenzione dichiarata di Israele e i suoi tentativi di replicare a Gaza la demolizione alleata di Dresda possano portarlo a essere chiamato a risponderne a livello internazionale.

Per il momento, tuttavia, il senso di pericolo che gli israeliani comuni provano ha avuto l’effetto di far cessare le proteste contro la distruzione dello stato di diritto in Israele, sostituendole con l’unità nazionale contro i palestinesi. L’esodo degli israeliani dal loro Paese è destinato ad aumentare. L’idiota commento di una settimana fa di Jake Sullivan [un politico ed ex-Consigliere USA, NdT], secondo cui il Medio Oriente avrebbe raggiunto un rassicurante livello di calma, non fa che esporre l’ennesima illusione della diplomazia americana, parallela all’irrealismo dei commenti su Ucraina, Cina, Iran, ecc. La simpatia per Israele è ora limitata alle società in cui l’islamofobia si è radicata, anche se le atrocità palestinesi hanno il potenziale per ripristinarla. L’istintivo sostegno degli Stati Uniti al “diritto di difendersi” di Israele sarà letto a livello internazionale come sostegno alla continua oppressione, alla pulizia etnica e al periodico massacro dei palestinesi da parte di Israele. Ci sarà un contraccolpo globale contro questa posizione, come c’è stato contro la posizione USA sulla guerra in Ucraina.

Hamas perderà la battaglia militare, ma potrebbe vincere la guerra.

L’Ambasciatore Chas W. Freeman, Jr., è ex Vice-Segretario alla Difesa degli Stati Uniti ed ex ambasciatore in Arabia Saudita.

Traduzione a cura di AssoPacePalestina

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