L’ex capo del Mossad dice che Israele è uno “stato di apartheid”.

Set 9, 2023 | Notizie

di Jonathan Ofir,  

Mondoweiss, 7 settembre 2023.   

L’ex capo del Mossad Tamir Pardo si è unito al coro di funzionari israeliani che hanno ammesso, in varia misura, che Israele pratica l’apartheid.

Cerimonia per onorare i lavoratori del Mossad, presso la residenza del Presidente a Gerusalemme. L’ex capo del Mossad, Tamir Pardo, pronuncia un discorso durante la cerimonia. (foto: Israel National Photo Collection)

L’Associated Press ha pubblicato un’intervista di ieri con l’ex capo del Mossad israeliano, Tamir Pardo, il quale ha affermato che Israele sta applicando un sistema di apartheid in Cisgiordania.

La rivelazione è ovviamente una vecchia notizia, poiché la realtà dell’apartheid è ormai riconosciuta dal consenso della comunità internazionale che si occupa di diritti umani. In effetti, limitare la designazione di apartheid alla sola Cisgiordania è di per sé limitativo – dal momento che anche organizzazioni come B’Tselem hanno tardivamente inquadrato l‘apartheid come una realtà esistente “dal fiume Giordano al Mar Mediterraneo”. La novità dell’articolo dell’Associated Press, tuttavia, è la persona che ammette la realtà dell’apartheid: un peso massimo nell’establishment della sicurezza israeliana.

Pardo non ha usato mezzi termini nel descrivere la situazione. “Qui c’è uno stato di apartheid”, ha detto. “Un territorio in cui due persone sono giudicate in base a due sistemi legali diversi, questo è uno stato di apartheid”.

Un’ondata crescente di ammissioni

Pardo si unisce a un’ondata di ammissioni, in corso dall’inizio dell’anno, dell’esistenza dell’apartheid in Palestina. A febbraio, il giornalista veterano e corrispondente militare Ron Ben Yishai ha messo in guardia dalle mire di apartheid del governo, in particolare del suo ministro delle Finanze e governatore de facto della Cisgiordania, Bezalel Smotrich. Il mese scorso, il generale in pensione Amiram Levin (che è stato anche vice capo del Mossad) ha dichiarato in un’intervista alla radio Kan che dopo “56 anni non c’è democrazia… C’è un apartheid totale”.

Questi sono i “liberali” che hanno ammesso ciò che sta accadendo sul campo. Ma anche i fascisti più espliciti, come il ministro della Sicurezza Nazionale Itamar Ben-Gvir, hanno inavvertitamente favorito il riconoscimento dell’apartheid, descrivendolo come tale in tutto e per tutto, tranne che nel nome: Ben-Gvir lo ha detto in un panel televisivo su Channel 12 due settimane fa.

“Il mio diritto, quello di mia moglie e dei miei figli di circolare liberamente per le strade della Giudea e della Samaria [la Cisgiordania] è più importante di quello degli arabi”, ha detto rivolgendosi all’unico relatore palestinese del programma, Muhammad Magadli, e aggiungendo: “Mi dispiace Muhammad, ma questa è la realtà”.

La cosa non si è fermata lì. Pochi giorni dopo, l’alleato politico di Ben-Gvir, il ministro del Patrimonio Amichai Eliyahu del Sionismo Religioso, ha paragonato lo stato dei palestinesi a quello di una prigione, ma non pensava che fosse una cosa negativa.

“Quando una persona minaccia il mio diritto alla vita, limito un po’ i suoi diritti civili e permetto alle persone normali di continuare a vivere”, aveva detto in un’intervista a Ynet, negando che i palestinesi vivano sotto l’apartheid perché invece vivono in una “prigione”.

Illusioni sioniste liberali

In questo senso, la recente ammissione di Pardo è in buona compagnia, ma dovremmo prestarvi particolare attenzione, perché i suoi commenti si riferiscono alla Cisgiordania, nonostante il suo uso apparentemente comprensivo del termine “Stato di apartheid”.

“Stato” può anche significare “status”, e qui si riferisce alla Cisgiordania nello stesso senso dell’uso di Amiram Levin.

La percezione che ci sia l’apartheid “lì” (in Cisgiordania), mentre “Israele vero e proprio” rimane incontaminato dall’apartheid, fa parte di quella che Nathan Thrall ha definito l’“Illusione dei Regimi Separati”: l’ipotesi che ci siano due regimi diversi, uno civile e l’altro militare, e che sia solo questione di tempo prima che si dividano e che l’occupazione cessi di esistere. L’essenza di questa fantasia è la convinzione che la democrazia liberale israeliana esista e possa essere salvata.

Pardo ovviamente crede in questa illusione; è diventato uno dei critici più accesi della revisione giudiziaria, come molti altri dell’élite militare e dell’intelligence. Racconta all’Associated Press che, in qualità di capo del Mossad sotto Netanyahu, lo aveva esortato a definire chiaramente i confini di Israele, altrimenti avrebbe rischiato “la distruzione di uno Stato per gli ebrei”. Il suo obiettivo è ovviamente quello di preservare il carattere “ebraico e democratico” dello Stato. Questa visione è tipicamente basata sul timore esistenziale che i palestinesi diventino una maggioranza demografica, minacciando così la “purezza ebraica” dello Stato. Si collega a campagne come “Divorziare dai Palestinesi”, promossa qualche anno fa dai “Comandanti per la Sicurezza di Israele”.

L’uso del termine apartheid sembra quindi servire come una sorta di avvertimento retorico, non contro la perdita della democrazia ebraica, ma contro la perdita della purezza ebraica. È questo il senso del sionismo liberale.

Il partito Likud di Netanyahu ha reagito con rabbia all’uso dell’appellativo di apartheid da parte di Pardo, anche se inteso come avvertimento contro ciò che potrebbe accadere. “Invece di difendere Israele e le forze armate israeliane, Pardo calunnia Israele”, si legge nella risposta. “Pardo dovrebbe vergognarsi”.

Ma forse il Likud dovrebbe ammonire il suo alleato politico (Ben-Gvir), la cui filippica, conclusa con “Mi dispiace, Muhammad “, ha inavvertitamente fatto molto di più per la sensibilizzazione all’apartheid rispetto alle dichiarazioni di Pardo.

L’autore ringrazia Ofer Neiman

Traduzione a cura di AssoPacePalestina

Non sempre AssoPacePalestina condivide gli articoli che pubblichiamo, ma pensiamo che opinioni anche diverse possano essere utili per capire.

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