Un attivista israeliano è stato messo in prigione per una settimana, a causa di un berretto

Lug 14, 2023 | Notizie

di Oren Ziv,

+972 Magazine, 11 luglio 2023. 

La polizia ha arrestato Gil Hammerschlag a Gerusalemme, dopo che aveva partecipato a una protesta indossando un cappellino con la foto di un palestinese ucciso dalle forze israeliane.

La polizia aveva già arrestato Gil Hammerschlag durante una protesta a Sheikh Jarrah, nella Gerusalemme Est occupata, il 2 aprile 2023. (Shai Kendler/Megaphone News)

Un attivista israeliano di sinistra, in carcere da quasi una settimana per un berretto indossato durante una protesta, è stato rilasciato martedì mattina dalla Corte Magistrale di Gerusalemme. Gil Hammerschlag, 31 anni, era stato arrestato dalla polizia nella Città Vecchia di Gerusalemme il 4 luglio perché sul suo berretto da baseball c’era la foto di un uomo palestinese ucciso due anni fa durante una protesta nella Cisgiordania occupata.

Il motivo ufficiale dell’arresto di Hammerschlag è che stava “disturbando l’ordine pubblico” mentre si recava a una veglia di protesta contro il trasferimento forzato della famiglia Ghaith-Sub Laban, che è stata espulsa dalla propria casa martedì mattina.

L’immagine sul cappello di Hammerschlag ritraeva Atef Hanaysha, un agricoltore e falegname palestinese di 47 anni del villaggio di Beit Dajan, ucciso a colpi di pistola nel marzo 2021 mentre protestava contro l’acquisizione da parte dei coloni delle terre del suo villaggio. Accanto alla fotografia c’era una frase in arabo che recitava: “La mia fionda [riferendosi alle fionde che i palestinesi usano spesso per lanciare pietre contro le forze israeliane, e con cui Hanaysha era stato fotografato durante la manifestazione] e il mio sangue sono un sacrificio per la nostra Gerusalemme”.

Palestinesi che sorreggono Atef Hanaysha, 47 anni, ferito a morte dalle forze israeliane durante una protesta nel villaggio di Beit Dajan, vicino alla città di Nablus, nella Cisgiordania occupata, il 19 marzo 2021. (Nasser Ishtayeh/Flash90)

Dopo l’arresto, Hammerschlag è stato portato in una vicina stazione di polizia, dove si è rifiutato di firmare le condizioni per il suo rilascio, che includevano un divieto di 15 giorni di accesso alla Città Vecchia. È quindi rimasto in custodia. Il giorno seguente, Hammerschlag è stato portato davanti alla Corte Magistrale di Gerusalemme, che ha ridotto il divieto a una settimana, ma si è nuovamente rifiutato di firmare e gli è stato negato il rilascio. Questo si è ripetuto quasi ogni giorno per una settimana, fino a martedì mattina, quando un giudice ha ordinato il suo rilascio.

Le udienze a cui Hammerschlag ha partecipato hanno fatto luce sulle motivazioni della polizia per il suo arresto. In un’udienza tenutasi il giorno successivo al suo arresto, un rappresentante della polizia ha dichiarato alla corte che Hammerschlag indossava un “cappello da terrorista” e che era stato arrestato dopo essere stato notato dalla polizia mentre indossava un berretto con l’immagine di un “agente di Hamas” e “camminava in modo sospetto”. Il rappresentante della polizia ha anche affermato che quando gli agenti gli hanno chiesto di identificarsi, lui “ha risposto con disprezzo” e “ha detto loro che erano ‘terroristi armati’”.

In risposta, l’avvocato di Hammerschlag, Nasser Odeh, ha criticato il “tentativo infondato” della polizia di dipingere Hanaysha come un membro di Hamas, definendolo invece un “attivista per la pace che è stato ucciso due anni fa”. Odeh ha inoltre sostenuto che non c’era motivo di arrestare Hammerschlag mentre camminava nella Città Vecchia, in una “giornata tranquilla in cui non c’erano eventi insoliti [nella zona]”.

Il 7 luglio, tuttavia, un rappresentante della polizia ha ammesso che Hammerschlag non è stato interrogato nemmeno una volta durante il suo periodo di detenzione, nonostante i protocolli che dovrebbero garantire a chi è in custodia il diritto a un rapido interrogatorio. Alcuni attivisti di sinistra hanno suggerito che la vera ragione del divieto di due settimane potrebbe essere stata l’imminente espulsione della famiglia Ghaith-Sub Laban dalla loro casa nella Città Vecchia e gli sforzi della polizia per assicurarsi che Hammerschlag non fosse presente durante lo sfratto.

Nora Sub Laban e suo figlio Ahmad piangono fuori dalla loro casa nella Città Vecchia di Gerusalemme, dopo essere stati espulsi con la forza dalla polizia quando i coloni israeliani hanno preso possesso della loro abitazione, l’11 luglio 2023. (Oren Ziv)

“Nei casi in cui un sospetto viene trattenuto per un certo numero di giorni, il provvedimento è evidentemente destinato a ridurre il ‘rischio’ che il sospetto rappresenta, il tutto mentre la polizia continua il suo interrogatorio e decide se presentare o meno un’accusa”, ha dichiarato Jonathan Pollak, un veterano attivista antisionista che ha recentemente trascorso un periodo in carcere dopo che un gruppo di estrema destra ha intentato causa contro di lui per aver protestato in Cisgiordania, e che analogamente si era rifiutato di firmare le condizioni per il rilascio. “Il fatto che la polizia abbia ammesso che non sta interrogando [Hammerschlag] mostra chiaramente che la decisione di bandirlo dalla Città Vecchia è per impedirgli di opporsi all’espulsione della famiglia Ghaith-Sub Laban”.

Questo sospetto si è rafforzato martedì mattina, quando il giudice della Corte Magistrale di Gerusalemme Amir Shaked ha ordinato il rilascio di Hammerschlag, nonostante il suo rifiuto di firmare le condizioni, e solo poche ore dopo che la famiglia Ghaith-Sub Laban era già stata espulsa dalla propria casa.

“Non firmo condizioni restrittive di rilascio”, ha dichiarato Hammerschlag a +972 al momento del rilascio. “Indossavo un berretto con la foto di Atef Hanaysha, 47 anni, che fu colpito alla testa durante una manifestazione a Beit Dajan. Se c’è qualcosa di cui vergognarsi, è l’esercito israeliano e Israele stesso”.

“Poiché è possibile non collaborare con un sistema ingiusto, questo rifiuto è la mia protesta”, ha continuato Hammerschlag. “Dopo tutto, se fossi stato palestinese non avrei avuto otto giorni [di carcere], ma forse quattro mesi, nella migliore delle ipotesi, con altri due mesi di arresti domiciliari e un’incriminazione”.

“Dobbiamo sederci in prigione… in solidarietà [con i palestinesi]. Se diventa un’azione di massa piuttosto che un’azione individuale, sovraccaricherà il sistema. E questo onere per il sistema sarà condiviso con migliaia di palestinesi e altri detenuti che non sono palestinesi, ma che il sistema tratta in modo ingiusto”.

In collaborazione con Local Call

Oren Ziv è un fotoreporter, giornalista di Local Call e membro fondatore del collettivo fotografico Activestills.

https://www.972mag.com/an-israeli-activist-was-thrown-in-jail-for-a-week-over-a-hat/

Traduzione a cura di AssoPacePalestina

Non sempre AssoPacePalestina condivide gli articoli che pubblichiamo, ma pensiamo che opinioni anche diverse possano essere utili per capire.

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