La politica punitiva israeliana di demolizione delle case

Giu 9, 2023 | Notizie

di Yumna Patel,

Mondoweiss, 8 giugno 2023.  

L’esercito israeliano ha ammesso che la sua politica di demolizioni punitive non funziona come deterrente e i gruppi per i diritti umani hanno dichiarato che questa politica viola il diritto internazionale. Allora, perché Israele continua ad applicarla?

Le conseguenze dell’esplosione della casa del prigioniero palestinese Islam Froukh, a seguito di un raid militare israeliano notturno nella città vecchia di Ramallah. 8 giugno 2023. (Ahmad Arouri/APA Images)

Nelle prime ore del mattino di giovedì 8 giugno, un grosso convoglio di veicoli militari israeliani ha invaso il centro di Ramallah, la città centrale della Cisgiordania e cuore pulsante dell’Autorità Palestinese, per demolire la casa di un presunto attentatore palestinese.

Il raid è durato almeno sei ore. Ha scatenato scontri feroci tra soldati israeliani armati e residenti palestinesi locali, che hanno lanciato pietre e bombe molotov contro il convoglio militare pesantemente armato. Almeno sei palestinesi sono stati feriti da munizioni vere, proiettili d’acciaio rivestiti di gomma e gas lacrimogeni.

Il massiccio raid, che secondo quanto riferito consisteva in più di 100 veicoli militari e centinaia di soldati israeliani, è culminato nella distruzione della casa della famiglia di Islam Froukh, 26 anni, accusato di aver compiuto due attentati alle fermate degli autobus a Gerusalemme lo scorso novembre, in cui sono rimasti uccisi due coloni israeliani, tra cui un ragazzo di 16 anni.

I filmati girati nei pressi della casa della famiglia Froukh mostrano le forze israeliane che isolano l’area prima di riempire l’appartamento di esplosivi e farli esplodere, distruggendo completamente l’appartamento, che si trova al primo piano di un edificio a più piani.

Naturalmente, la massiccia incursione, gli spari e le esplosioni hanno terrorizzato migliaia di residenti palestinesi nell’area circostante. Ma è stato anche un segnale preoccupante del fatto che, anche nel cuore delle aree della Cisgiordania controllate dall’Autorità Palestinese, l’occupazione israeliana regna ancora sovrana. A pochi chilometri di distanza dalle case e dagli uffici di alti funzionari e leader palestinesi, le forze dell’esercito israeliano hanno fatto irruzione in città senza farsi notare e hanno demolito la casa della famiglia di un uomo che avevano già imprigionato.

Oltre alle domande sul perché l’esercito israeliano possa fare irruzione nelle città palestinesi e far esplodere le case (la risposta la trovate più avanti), il raid ha scatenato una domanda ricorrente:

Perché Israele distrugge le case dei palestinesi accusati di aggressione e delle loro famiglie?

In breve, è una questione di politica.

Israele la considera una “misura deterrente” contro futuri “attacchi terroristici”. I gruppi per i diritti dicono che si tratta di una punizione collettiva e di una politica crudele e disumana usata per colpire una popolazione civile che vive sotto occupazione militare.

Il gruppo israeliano per i diritti umani B’Tselem ha affermato che questa politica è “per definizione, destinata a danneggiare persone che non hanno fatto nulla di male e non sono sospettate di alcun illecito, ma che sono imparentate con palestinesi che hanno attaccato o tentato di attaccare civili israeliani o forze di sicurezza”.

Israele utilizza demolizioni punitive di case palestinesi da quando ha formalmente occupato la Cisgiordania e Gaza nel 1967. Lo Stato si avvale di una legge dell’epoca del Mandato Britannico, la Regola 119 dei Regolamenti di Difesa (1945), che dà “il permesso generale di confiscare, sigillare e distruggere le proprietà di abitanti che il comandante militare sospetta di aver commesso violenza, indipendentemente dal fatto che siano o meno i proprietari”, secondo Al-Haq.

Nel 2005 l’Alta Corte di Giustizia israeliana, o Corte Suprema, ha stabilito che le demolizioni di case non sarebbero più state soggette a un’udienza o a un riesame giudiziario, “convalidando di fatto le illegali decisioni extragiudiziali del comandante militare”.

In sostanza, qualsiasi palestinese che compia o sia accusato di compiere un attacco contro israeliani, siano essi soldati o coloni in Cisgiordania, o israeliani all’interno della Linea Verde, è soggetto alla demolizione della propria casa da parte dello Stato. Non sono previste udienze in tribunale in cui la famiglia possa opporsi alla demolizione, né lo Stato è tenuto a presentare prove.

Sebbene alle famiglie sia consentito appellarsi contro una demolizione una volta ordinata, B’Tsleem afferma che la Corte Suprema di Israele considera tali petizioni come “mere formalità – un cavillo inteso a creare un ipotetico sostegno al diritto dei proprietari di difendere il proprio caso”.

“Nel corso degli anni, sono state presentate alla Corte Suprema decine di petizioni contro gli ordini di demolizione delle case. Le petizioni si sono espresse contro questa misura per una questione di principio e per le modalità di esecuzione della procedura e hanno presentato argomentazioni relative a casi specifici. Tuttavia, la Corte ha respinto queste petizioni nella loro totalità, ad eccezione di rari casi e di alcune opinioni di minoranza”, afferma B’Tsleem.

Le demolizioni punitive possono avvenire in molti modi: con i bulldozer o, come sta diventando sempre più comune, con gli esplosivi, come abbiamo visto giovedì. In molti casi, Israele sigilla le case degli aggressori accusati anche prima della loro demolizione, per assicurarsi che la famiglia non possa continuare a viverci.

Sebbene la politica si concentri sui palestinesi della Cisgiordania (e di Gaza, fino al “disimpegno” di Israele nel 2005), viene applicata anche ai palestinesi che vivono nella Gerusalemme Est occupata e all’interno di Israele.

Nel corso degli anni, Israele ha distrutto centinaia di case palestinesi seguendo questa politica. Sebbene l’esercito abbia temporaneamente sospeso questa pratica tra il 2009 e il 2014 (altri dettagli più avanti), da allora è in piena attuazione.

Ciò che è particolarmente crudele, dicono i gruppi per i diritti, è che in quasi tutti i casi di demolizioni punitive di case, il presunto aggressore palestinese è già stato ucciso o imprigionato da Israele. Demolire la loro casa, o quella della loro famiglia, è solo un ulteriore livello di punizione.

Nel caso di Froukh, la cui casa di famiglia è stata demolita giovedì, il 26enne si trova già da mesi in una prigione israeliana. Secondo i media israeliani, Froukh risiedeva nella città di Kufr Aqab, nell’area di Gerusalemme, ma avrebbe “vissuto per molto tempo” nella casa della sua famiglia a Ramallah.

Dopo l’incriminazione di Froukh da parte di Israele a dicembre, le forze israeliane hanno fatto irruzione nella sua casa di Kufr Aqab e in quella della sua famiglia a Ramallah per individuare le residenze da demolire, come riporta il Times of Israel. Per ragioni non identificate dai media, Israele ha scelto di demolire la casa di famiglia di Froukh a Ramallah, notificando a febbraio i piani di demolizione alla famiglia.

La famiglia di Froukh ha fatto ricorso alla Corte Suprema israeliana contro l’ordine di demolizione, ma come accade nella maggior parte delle demolizioni punitive, il ricorso è stato respinto e l’esercito ha avuto il via libera per far saltare in aria la loro casa.

Secondo l’agenzia di stampa Wafa, i genitori e le quattro sorelle di Froukh che vivevano nell’appartamento sono rimasti senza casa.

La politica è efficace nel “dissuadere” gli attacchi?

No, e anche lo stesso esercito israeliano è d’accordo.

La ragione principale addotta da Israele per demolire le case dei presunti aggressori palestinesi, anche se la persona non vive più nella casa, è quella di “dissuadere” altri palestinesi dal compiere attacchi, per paura che le loro famiglie soffrano e che le loro case vengano demolite.

Ma come la storia ha dimostrato, nonostante decenni di questa politica e centinaia di case distrutte, questi attacchi non si sono fermati. Perché? In breve, perché l’occupazione militare di Israele e il trattamento crudele e disumano di milioni di palestinesi che vivono sotto il suo controllo non si sono fermati.

Anche lo Stato stesso non è riuscito a dimostrare che questa politica funziona. Anzi, le autorità militari hanno dimostrato il contrario.

Nel 2005, una commissione militare israeliana ha messo in dubbio l’efficacia di questa politica come deterrente, perché “generando odio ha causato più danni che benefici”, ha riferito B’Tselem in un rapporto del 2017 su questa pratica.

Una revisione dei risultati della commissione ha affermato che la politica “si spinge ai limiti della legge”. Nello stesso anno, l’allora Ministro della Difesa israeliano adottò le raccomandazioni della commissione per fermare questa politica. Per quasi dieci anni, salvo un caso a Gerusalemme Est nel 2009, le demolizioni punitive di case sono state effettivamente interrotte.

Ma nel 2014, in seguito al rapimento e all’uccisione di tre coloni israeliani, la politica è stata unilateralmente ripristinata. All’epoca, osserva B’Tselem, lo stato non spiegò come la ripresa delle demolizioni punitive potesse conciliarsi con le raccomandazioni della commissione militare del 2005, che aveva giudicato la politica inefficace e dannosa.

Da allora, decine di case di presunti aggressori palestinesi e delle loro famiglie sono state distrutte. In alcuni casi, come quello di Islam Froukh, la casa della famiglia viene distrutta ancor prima che venga emessa una condanna contro il presunto aggressore.

Cosa dice il diritto internazionale?

Che le demolizioni punitive di case sono illegali, chiaro e semplice.

Nonostante la legalizzazione di questa politica da parte dei tribunali israeliani, la politica delle demolizioni punitive di case viola chiaramente il diritto internazionale.

L’articolo 33 della Quarta Convenzione di Ginevra del 1949 afferma che: “Nessuna persona protetta può essere punita per un reato che non ha commesso personalmente. Sono proibite le pene collettive e allo stesso modo tutte le misure di intimidazione o di terrorismo”. Aggiunge che: “Sono vietate le rappresaglie contro le persone protette e i loro beni”.

Secondo il diritto internazionale, i palestinesi che vivono sotto l’occupazione militare israeliana rientrano nella categoria delle persone protette.

Come osservato da Human Rights Watch, il diritto umanitario internazionale, compresi i Regolamenti dell’Aia del 1907 e la Quarta Convenzione di Ginevra, proibiscono le punizioni collettive, “compreso il danneggiamento deliberato dei parenti di coloro che sono accusati di aver commesso crimini, in ogni circostanza”.

HRW ha aggiunto che “i tribunali di tutto il mondo hanno trattato la punizione collettiva come un crimine di guerra”.

Oltre a violare le leggi e le norme internazionali relative alle persone protette e alle punizioni collettive, Al-Haq afferma che la politica di demolizione punitiva delle case di persone innocenti che non sono state accusate o condannate per aver commesso un crimine viola ulteriormente i diritti di queste persone alle garanzie di un giusto processo.

“La corretta amministrazione della giustizia comprende il diritto all’uguaglianza davanti a tribunali e corti e il diritto a un’equa udienza in un tribunale indipendente, competente e imparziale stabilito dalla legge”, osserva Al Haq. “L’imputato gode del beneficio del dubbio e ‘non si può presumere la colpevolezza fino a quando l’accusa non sia stata provata oltre ogni ragionevole dubbio’. Le sanzioni amministrative per sospetti atti di violenza commessi da altri violano quindi i principi fondamentali della giustizia, secondo cui nessuno può essere punito per il crimine di un altro”.

Inoltre, Al-Haq afferma che la legge dell’epoca del Mandato Britannico su cui Israele basa la politica non è applicabile, dato che l’articolo 64 della Quarta Convenzione di Ginevra “richiede alla Potenza occupante di modificare le leggi nel territorio occupato che non soddisfino le garanzie umanitarie minime avanzate nelle Convenzioni di Ginevra”.

Su questa base, Al-Haq afferma che Israele deve abrogare la Regola 119 dei Regolamenti Britannici di Difesa (1945) “perché le sue disposizioni sono incoerenti con le garanzie fondamentali di giustizia, con il divieto di sanzioni collettive e con la protezione della proprietà civile prevista dalle Convenzioni di Ginevra”.

Anche la stessa Gran Bretagna ha sostenuto che la Regola 119 era già stata abrogata con il Palestine (Revocations) Order-in-Council del 1948, e come tale non si applica più ai palestinesi che vivono sotto il controllo israeliano.

Allora, perché Israele mantiene questa politica?

Se le stesse forze armate israeliane hanno affermato in precedenza che la politica delle demolizioni punitive non funziona come misura deterrente, e innumerevoli gruppi per i diritti umani hanno chiaramente sottolineato che questa politica viola il diritto internazionale, perché Israele continua ad applicarla?

Anche se questa politica non scoraggia gli attacchi come dovrebbe, riesce a incutere paura e terrore nelle comunità palestinesi che vivono sotto il controllo israeliano. In fin dei conti, queste pratiche permettono a Israele di esercitare un’altra forma di controllo sulla popolazione civile che occupa.

Human Rights Watch afferma: “vari tipi di punizioni collettive, come le demolizioni di case e le restrizioni di movimento a tappeto per intere aree o comunità sulla base delle azioni di poche persone, sono tra le politiche su cui le autorità israeliane hanno fatto affidamento per opprimere sistematicamente i palestinesi”.

Oltre agli elementi di oppressione e di controllo, uno dei motivi principali per cui Israele continua queste politiche nonostante la diffusa condanna internazionale è semplicemente perché può farlo.

Come nel caso di altre politiche impiegate da Israele contro i palestinesi – demolizioni di case, confisca di terre, restrizioni alla libertà di movimento, limitazione dell’accesso alle risorse, criminalizzazione dei gruppi della società civile e delle ONG, deportazioni ed espulsioni forzate – che contrastano con il diritto internazionale, Israele non è mai stato ritenuto veramente responsabile, se non per qualche occasionale tiratina d’orecchi.

Anche dopo le numerose dichiarazioni dei gruppi per i diritti umani palestinesi, israeliani e internazionali, secondo cui Israele sta commettendo il crimine di apartheid, una delle più gravi violazioni del diritto internazionale, non c’è stata alcuna risposta da parte della comunità internazionale sotto forma di sanzioni o di progressi nelle indagini della Corte Penale Internazionale.

Senza una vera e propria dichiarazione di responsabilità sulla scena internazionale e con il continuo sostegno, finanziamento e partnership da parte di Stati Uniti e Unione Europea, a Israele è stato permesso di fare ciò che voleva, indipendentemente da quante leggi violasse.

Traduzione a cura di AssoPacePalestina

Non sempre AssoPacePalestina condivide gli articoli che pubblichiamo, ma pensiamo che opinioni anche diverse possano essere utili per capire.

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