56 anni di occupazione: spiegazione della ‘Naksa’ palestinese

di Yumna Patel,

Mondoweiss, 5 giugno 2023.   

Quando i Palestinesi ricordano la Naksa, non ricordano solo una perdita storica di vite e di terre, ma l’occupazione militare tuttora in corso che ogni giorno li priva dei loro diritti alla vita, alla libertà, alla dignità e all’autodeterminazione.

In questa foto del 1967, tratta dall’archivio dell’Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l’Occupazione (UNRWA), i rifugiati palestinesi fuggono attraverso il fiume Giordano sul ponte di Allenby danneggiato durante la guerra arabo-israeliana del 1967.

Oggi i palestinesi commemorano 56 anni di occupazione militare israeliana. Più comunemente conosciuta come Naksa, ‘battuta d’arresto’ o ‘sconfitta’ in arabo, il 5 giugno segna il primo giorno della guerra dei sei giorni, che culminò con l’occupazione da parte di Israele della Cisgiordania, di Gaza, di Gerusalemme Est, delle alture siriane del Golan e della penisola egiziana del Sinai.

La Naksa ebbe luogo nel 1967, diciannove anni dopo la Nakba, o catastrofe, del 1948, quando Israele fu fondato sulle terre della Palestina. Durante la Nakba, più di 750.000 Palestinesi divennero rifugiati, mentre il nuovo Stato ebraico aveva conquistato circa il 78% delle terre della Palestina storica. Ciò che rimaneva della Palestina dopo la Nakba era sotto l’amministrazione egiziana e giordana.

Ma dopo la guerra dei sei giorni, Israele assunse il controllo del restante 22% del territorio palestinese, imponendo l’occupazione militare della Cisgiordania e di Gaza e l’annessione illegale di Gerusalemme Est, in una mossa che non è stata mai riconosciuta dalla comunità internazionale.

Se la Nakba è stata la catastrofe che ha gettato le basi dello Stato coloniale israeliano, la Naksa è stata la sconfitta che ha completato il lavoro, innescando una catena di eventi che ha finito per delineare la realtà sul terreno della Palestina occupata negli ultimi 56 anni.

La preparazione

Ad oggi, la guerra dei sei giorni, o ‘guerra di giugno’, è celebrata da Israele e ricordata dall’Occidente come un racconto del tipo ‘Davide contro Golia’. Secondo la storia, Israele, contro ogni previsione, sconfisse i suoi aggressivi vicini arabi che operavano con l’unico scopo di eliminare il giovane stato ebraico.

Israele non aveva altra scelta che difendersi da un sicuro annientamento e, nel far questo, ha giustamente ‘catturato’ il resto del territorio palestinese, oltre al Golan e al Sinai, come questione di protezione futura contro l’Egitto e la Siria, che erano determinati a cancellare Israele dalle mappe. In altre parole, Israele non aveva scelta e, grazie a Dio, ne uscì vittorioso.

Decenni dopo, questa narrazione ha continuato a essere perpetuata dai media e persino dai film e dalle arti. Mentre i media popolari, Israele e l’Occidente si basano ancora in gran parte su questa narrazione, se si osserva il periodo precedente alla guerra dei 6 giorni si ottiene un quadro ben diverso.

La violenza contro i Palestinesi non finì magicamente dopo la Nakba. Negli anni successivi al 1948, Israele uccise migliaia di Palestinesi che cercavano di tornare alle case da cui erano stati cacciati. Le forze israeliane continuarono anche a commettere massacri nei villaggi palestinesi, mentre l’ascesa dei Fedayeen palestinesi, o combattenti per la libertà, dette luogo a operazioni transfrontaliere in Israele dalla Giordania, dall’Egitto e dalla Siria, con obiettivi che andavano dalla messa in sicurezza dei raccolti e degli effetti personali provenienti dalle terre rubate, fino alla resistenza nazionalistica contro gli obiettivi dei militari e dei coloni israeliani.

Nel 1956 Israele, insieme a Francia e Gran Bretagna, invase l’Egitto con l’obiettivo di rovesciare il Presidente egiziano Gamal Abdel Nasser, che aveva appena nazionalizzato la Compagnia del Canale di Suez, di proprietà straniera, che controllava il funzionamento del canale. Questo portò a quella che è conosciuta come la Crisi di Suez. Anche se la pressione internazionale costrinse le tre potenze a ritirarsi, Israele festeggiò una grande vittoria, assicurandosi l’accesso per operare attraverso lo Stretto di Tirana, che l’Egitto aveva bloccato a Israele dal 1948. Allo stesso tempo, le tensioni sull’utilizzo delle riserve idriche del fiume Giordano stavano arrivando al massimo, con conseguenti scontri transfrontalieri tra Siria e Israele all’inizio degli anni ’60.

Nel maggio 1967, sulla base di una falsa intelligence sovietica che affermava che Israele stava pianificando di invadere la Siria, con la quale l’Egitto aveva un trattato di difesa reciproca, l’Egitto ordinò l’evacuazione dal Sinai delle truppe dell’ONU (che erano stanziate lì dalla Crisi di Suez), e le sostituì con truppe egiziane. Successivamente, Nasser chiuse lo Stretto di Tirana nel Mar Rosso alla navigazione israeliana, cosa che Israele definì un “atto di guerra”. Alla fine di maggio, l’Egitto aveva anche firmato patti di difesa reciproca con la Giordania e l’Iraq.

La mattina del 5 giugno, Israele lanciò un attacco a sorpresa contro l’Egitto, bombardando le sue forze aeree mentre erano ancora a terra, infliggendo un duro colpo all’esercito egiziano. L'”attacco preventivo”, seguito da un’invasione israeliana di terra nel Sinai e nella Striscia di Gaza amministrata dall’Egitto, fu il catalizzatore della guerra che sarebbe durata sei giorni e avrebbe causato circa 20.000 vittime arabe e meno di 1.000 vittime israeliane.

Le conseguenze della guerra

Anche se gli eserciti arabi subirono grandi perdite, politicamente, militarmente e in termini di vittime, furono i palestinesi, alla fine, ad avere più da perdere – e lo fecero. Israele prese il controllo di ciò che restava della Palestina con il pretesto di “liberarla dall’occupazione ‘illegale’” degli arabi.

Oltre a imporre un’occupazione militare in Cisgiordania e a Gaza, Israele occupò anche il Sinai egiziano e le alture siriane del Golan. Sebbene il Sinai sia stato restituito al controllo egiziano nel 1982, il Golan siriano rimane fino ad oggi sotto il controllo israeliano.

Israele aveva anche preso dalle forze giordane il controllo della Città Vecchia di Gerusalemme, annettendo successivamente la parte orientale della città entro i confini municipali di Israele, una mossa che non è mai stata riconosciuta dalla comunità internazionale e che è ancora considerata un’annessione illegale del territorio. Un intero quartiere della Città Vecchia, il quartiere marocchino, fu distrutto dalle forze israeliane, sfollando circa 100 famiglie palestinesi per facilitare l’accesso degli ebrei al Muro Occidentale.

Secondo i gruppi per i diritti, circa 7.000 ettari di terreno furono annessi illegalmente entro i confini municipali israeliani di Gerusalemme. L’obiettivo era semplice: cercare di prendere la maggior quantità di terra possibile con la minor quantità di Palestinesi, per mantenere una maggioranza demografica ebraica nella città. Le aree palestinesi densamente popolate furono escluse, mentre le aree scarsamente popolate, ma ricche di terra, furono inserite.

Nel processo di annessione di Gerusalemme da parte di Israele e di occupazione del resto del territorio palestinese, le forze israeliane spazzarono via diversi villaggi palestinesi ed espulsero migliaia di persone dalle loro terre. Si stima che da 280.000 a 325.000 Palestinesi siano stati sfollati dalle loro case e siano diventati rifugiati, oltre a 100.000 Siriani.

Nei mesi successivi alla guerra, Israele fece un censimento che escludeva deliberatamente i Palestinesi sfollati durante la guerra, per impedire loro di tornare alle loro case. Secondo il censimento, all’epoca circa 1 milione di Palestinesi viveva in Cisgiordania e a Gaza.

Per evitare un disastro demografico, Israele non ha annesso la Cisgiordania e Gaza come ha fatto con Gerusalemme. Invece, ha messo in atto un’occupazione militare e una serie di leggi e misure volte ad accaparrarsi quanta più terra possibile e a metterla sotto il controllo dell’esercito e dello Stato.

Israele ha raggiunto questo obiettivo attraverso due politiche principali: zone militari chiuse e insediamenti ebraici.

A partire dall’agosto 1967, meno di due mesi dopo l’occupazione della Cisgiordania, Israele ha iniziato a designare zone militari chiuse nella Valle del Giordano, rendendo queste terre inaccessibili e inutilizzabili per i proprietari terrieri palestinesi. Secondo B’Tselem, alla fine del 1967, Israele aveva dichiarato quasi 68.500 ettari di terreno come zone militari chiuse. Tra il 1967 e il 1975, Israele ha dichiarato più del 26% dei terreni della Cisgiordania come zone militari chiuse, rendendole off-limits per i Palestinesi, a meno che non ottengano un permesso speciale, rilasciato da Israele.

Allo stesso tempo, Israele ha iniziato a promuovere l’insediamento di cittadini ebrei nel territorio occupato – una flagrante violazione del diritto internazionale. Il primo insediamento in Cisgiordania, Kfar Etzion, è stato fondato a settembre, solo tre mesi dopo l’inizio dell’occupazione. Nei primi 10 anni di occupazione, sono stati costruiti trenta insediamenti solo in Cisgiordania, accumulando una popolazione di oltre 4.500 coloni.

Gli insediamenti sono stati costruiti in aree strategiche come la Valle del Giordano (che contiene la maggior parte delle riserve idriche della Palestina), nei terreni intorno a Gerusalemme e in tutte le aree della Cisgiordania con una bassa densità di popolazione palestinese.

A Gerusalemme Est, un terzo della terra annessa è stata espropriata ad uso degli insediamenti, nonostante fosse in gran parte di proprietà privata dei palestinesi. Nei primi 10 anni, sono stati costruiti otto insediamenti a Gerusalemme Est. A Gaza, quattro blocchi di insediamenti sono stati costruiti nell’arco di soli tre anni (1970-1973) con la strategia di rompere la contiguità delle aree palestinesi.

L’occupazione oggi

56 anni dopo, l’occupazione militare di Israele non è finita. Anzi, ha preso nuova vita.

Nel corso degli ultimi cinque decenni e mezzo, Israele ha continuato a promulgare una serie di leggi e politiche che hanno l’obiettivo principale di espandere ulteriormente il controllo israeliano sul territorio, attraverso l’accaparramento di terre, la costruzione di insediamenti e la sottomissione violenta della popolazione palestinese.

Quando le zone militari chiuse e gli insediamenti non erano sufficienti, Israele ha iniziato a confiscare la terra ai proprietari palestinesi con il pretesto dell’ambientalismo, dichiarando più del 6% della terra in Cisgiordania come Riserva Naturale. Riscrivendo le leggi e utilizzando interpretazioni distorte e autoreferenziali dei vecchi codici fondiari dell’epoca ottomana, Israele ha dichiarato, e continua a dichiarare, vaste porzioni di terra della Cisgiordania come Terreni di Stato, confiscandole ai proprietari terrieri palestinesi e consegnandole agli insediamenti.

Attraverso la costruzione del Muro di Separazione, la maggior parte del quale è stato costruito in territorio palestinese ben oltre la Linea Verde, Israele ha sequestrato ancora più terra, annettendo di fatto terre di  Cisgiordania al territorio israeliano. Il muro è ancora oggi in costruzione.

Oggi, ci sono più di 270 insediamenti e avamposti illegali in Cisgiordania e a Gerusalemme Est, con una popolazione di coloni di circa 630.000 persone. Mentre i Palestinesi vengono cacciati dalle loro terre, come a Masafer Yatta, con il pretesto che si tratta di zone militari chiuse, Israele continua a promuovere l’espansione degli insediamenti e a proteggere comunità di coloni sempre più violente.

A Gaza, Israele ha imposto un blocco aereo, terrestre e marittimo che dura da 16 anni, portando l’occupazione militare a nuovi livelli. Mentre i posti di blocco, gli insediamenti e le incursioni terrestri dell’esercito israeliano sono un evento quotidiano in Cisgiordania, gli attacchi aerei, le offensive militari devastanti e la guerra continua sono la realtà a Gaza.

In tutto il territorio palestinese occupato, Israele controlla ogni aspetto della vita, dal registro della popolazione, ai confini e ai posti di blocco. Anche nelle parti della Cisgiordania che sono sotto il pieno controllo dell’Autorità Palestinese (solo il 18% circa della Cisgiordania), l’esercito israeliano controlla ancora i confini e conduce incursioni mortali di routine nel cuore delle città palestinesi.

I palestinesi continuano ad essere imprigionati e uccisi a ritmi allarmanti, mentre un numero sempre maggiore di gruppi per i diritti si fa avanti per affermare che, oltre all’occupazione militare, Israele sta commettendo il crimine di apartheid, non solo nella Cisgiordania occupata e a Gaza, ma anche a Gerusalemme Est e contro le comunità palestinesi in Israele.

Quando i Palestinesi ricordano la Naksa, non ricordano solo una perdita storica di vite e di terre, ma anche l’occupazione militare in corso che, ogni giorno, li priva dei loro diritti alla vita, alla libertà, alla dignità e all’autodeterminazione.

Traduzione a cura di AssoPacePalestina

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