di Joseph Massad,
Middle East Eye, 29 maggio 2023.
Mentre gli ebrei israeliani perdono la loro maggioranza demografica, i coloni terrorizzati cercano mezzi per mantenere la loro supremazia.
Uno dei fattori chiave per la sopravvivenza e l’irreversibilità delle colonie di bianchi europei in tutto il mondo è stata la demografia. Se i coloni bianchi non sono in grado di eliminare la maggioranza della popolazione nativa, il loro destino, indipendentemente dalla durata del loro dominio, è alla fine segnato.
Questo è essenzialmente il motivo per cui i coloni bianchi di Stati Uniti, Canada, Australia e Nuova Zelanda continuano a detenere il potere, mentre i coloni bianchi di Algeria, Tunisia, Libia, Marocco, Kenya, Congo, Angola, Mozambico, Rhodesia, Namibia e Sudafrica lo hanno perso.
I coloni bianchi dell’America Latina non sono stati in grado di eliminare la maggior parte delle popolazioni indigene, il che ha portato alla mescolanza razziale e alla riduzione a minoranza dei bianchi, sebbene le razze bianche e miste continuino a esercitare il potere anche in quei Paesi dell’America Latina che hanno, più o meno, una leggera maggioranza di popolazioni indigene, come Bolivia, Perù, Guatemala o Ecuador.
Israele è interessante tra le colonie di bianchi, per aver inizialmente stabilito una maggioranza demografica per poi perderla. L’insediamento dei coloni ha creato una maggioranza ebraica attraverso la pulizia etnica nel 1948, assicurandosi un futuro coloniale permanente. Tuttavia, come risultato della sua ulteriore conquista territoriale nel 1967, che ha portato quasi un milione di altri palestinesi sotto il suo dominio, Israele è tornato ad avere una minoranza ebraica negli ultimi due decenni.
Numeri in calo
È in questo nuovo contesto di minoranza ebraica che la batteria di leggi razziste che Israele ha istituito dopo il 1948 per essere la maggioranza coloniale dominante si è rivelata insufficiente. Il nuovo status di minoranza ebraica ha reso necessaria la promulgazione della Legge sullo Stato-Nazione del 2018, che ha garantito la supremazia ebraica nell’insediamento coloniale, indipendentemente dalle realtà demografiche.
In effetti, quando gli ebrei hanno perso la loro maggioranza demografica, si sono scatenate grandi lotte tra i coloni ebrei sul modo migliore per mantenere la supremazia ebraica nonostante il loro numero in calo.
Sono emerse due grandi ali impegnate nella supremazia ebraica: la prima è un’ala fondamentalista religiosa e apertamente razzista-quasi-fascista, rappresentata da gran parte dell’attuale governo israeliano, mentre la seconda è un’ala religioso-razzista con un volto laico che ama presentarsi come una forma di liberalismo tollerante.
Entrambe le ali sostengono la supremazia ebraica e la negazione di pari diritti ai palestinesi, ed entrambe hanno elaborato piani su come sbarazzarsi dei palestinesi. Tuttavia, la pulizia etnica –storicamente compiuta dall’ala religiosa-razzista ma dal volto laico– è ora anche uno dei principali argomenti di discussione dei fondamentalisti religiosi quasi-fascisti che sono saliti al potere negli ultimi due decenni.
A questo proposito, va detto che l’intento delle riforme giudiziarie che l’ala fondamentalista al governo e i suoi sostenitori stanno chiedendo è quello di aumentare la loro capacità di espellere e opprimere i palestinesi. Gli oppositori liberali e ‘laici’ di queste riforme, tuttavia, non sono preoccupati per i palestinesi. L’altra ala suprematista ebraica teme che le riforme interferiscano con i diritti degli israeliani ebrei ‘laici’.
L’ultimo censimento di Israele mostra che gli ebrei sono poco più di sette milioni. I palestinesi all’interno di Israele sono poco più di due milioni, con altri tre milioni che vivono in Cisgiordania e a Gerusalemme Est, e più di due milioni a Gaza, assediata da Israele. Mentre questi numeri mostrano una leggera ma crescente maggioranza palestinese, il calcolo del numero di ebrei in Israele si basa su considerazioni di ebraicità sulle quali non tutti i sionisti sono d’accordo.
Per questo motivo, il capo dell’Organizzazione Sionista d’America (ZOA), Morton Klein, ha recentemente chiesto a Israele di abbandonare il suo metodo per stabilire l’ebraicità, come previsto nella Legge del Ritorno, in particolare per quanto riguarda gli immigrati dall’ex Unione Sovietica.
La dichiarazione della ZOA insiste sul fatto che la Legge del Ritorno, dopo essere stata emendata nel 1970, sta portando alla “de-giudaizzazione” di Israele. La ZOA afferma che “la maggioranza ebraica dello Stato ebraico si è ridotta al ritmo dell’uno per cento ogni tre anni”, cosicché “negli ultimi 30 anni, la maggioranza ebraica dello Stato ebraico si è ridotta del 10 per cento e ora si attesta solo al 73,6 per cento, dall’84 per cento iniziale”.
Questi numeri, ovviamente, escludono i palestinesi di Gerusalemme Est, della Cisgiordania e di Gaza e includono mezzo milione di immigrati ebrei sovietici che la legge religiosa ebraica, o Halacha [la Legge del Ritorno israeliana precedente al 1970] e la ZOA non considerano “ebrei”. Ciò significa che la popolazione ebraica di Israele, secondo le stime della ZOA, è di 6,6 milioni di ebrei.
Il fatto che i coloni ebrei siano diventati di nuovo una minoranza nella Palestina storica è ciò che fa nascere la ragionevole aspettativa che il colonialismo ebraico sia diventato reversibile.
Inversione del colonialismo d’insediamento
Nel caso dell’Algeria, l’inversione del colonialismo d’insediamento è stata raggiunta quando il paese ha ottenuto l’indipendenza. I liberatori algerini hanno concesso l’uguaglianza alla minoranza di coloni francesi (circa un milione di persone, ovvero un nono della popolazione) e hanno eliminato tutti i loro privilegi, un destino peggiore della morte secondo i coloni. Rifiutando l’uguaglianza, i coloni partirono subito per la madrepatria.
Nel caso della Rhodesia, la Gran Bretagna e gli Stati Uniti si affrettarono, nella seconda metà degli anni ’70, a soccorrere i coloni bianchi di minoranza e a salvaguardare i loro privilegi, per evitare che il loro destino fosse lo stesso dei coloni dell’Angola e del Mozambico, se non dell’Algeria.
A differenza dei vicini insediamenti coloniali portoghesi, i cui rivoluzionari pretendevano la totale indipendenza e l’uguaglianza, i rivoluzionari anticoloniali dello Zimbabwe erano sempre stati aperti al compromesso. Alleati con l’esigua classe di proprietari terrieri e la piccola borghesia africana, si appellarono costantemente alla Gran Bretagna, terra madre dei coloni, affinché li aiutasse a ottenere l’indipendenza e una qualche forma di uguaglianza per gli africani indigeni.
Per ottenere l’indipendenza politica, Robert Mugabe e altri leader dello Zimbabwe accettarono di buon grado un compromesso che manteneva i privilegi economici coloniali dei bianchi dopo l’indipendenza.
L’esempio della Rhodesia divenne il modello per la fine dell’apartheid in Sudafrica nel 1994, quando l’African National Congress accettò un accordo simile dagli Stati Uniti e dagli europei per porre fine all’apartheid.
A differenza della Rhodesia e del Sudafrica, queste non erano soluzioni che le potenze imperiali offrirono ai palestinesi, in quanto la convinzione imperiale generale rimaneva quella che l’insediamento coloniale israeliano, basato sulla sua maggioranza demografica, fosse irreversibile.
Avvicinandosi alla fine
La realtà demografica, tuttavia, è cambiata notevolmente dagli anni ’90, tanto che, negli ultimi anni, persino le organizzazioni liberali per i diritti umani hanno iniziato a chiamare Israele uno Stato di ‘apartheid’. Nel frattempo, alcuni sionisti liberali un tempo impegnati hanno iniziato a chiedere, o almeno ad aspettarsi, una ‘soluzione’ di uno Stato unico che salvaguardi i privilegi coloniali ebraici.
Per i sionisti liberali, una ‘soluzione’ di uno Stato unico come il Sudafrica o la Rhodesia (dal 1980 ad almeno il 2000) è attraente, in quanto preserverebbe la supremazia economica ebraica in modo permanente, rinunciando solo parzialmente alla supremazia politica ebraica, replicando così lo status dei coloni bianchi sudafricani, ma non quello dei coloni bianchi dell’Algeria.
Tuttavia, i suprematisti ebrei di entrambe le ali, quella apertamente fondamentalista e quella pseudo-secolare (compresi i membri di partiti ‘laici’ come Kadima, Likud, ecc.), sono terrorizzati dalla prospettiva di un’uguaglianza anche solo nominale in un unico stato. Anche se ciò garantirebbe i loro privilegi economici coloniali, molti chiedono una “seconda Nakba” per evitare un simile destino.
Il fatto che questi appelli pubblici si siano moltiplicati e siano ripresi da figure politiche tradizionali testimonia la sensazione di una fine prossima, se non imminente, del colonialismo d’insediamento.
Questa situazione ha comprensibilmente fatto suonare un campanello d’allarme, non solo tra i coloni ebrei, ma anche tra i loro sostenitori, nelle colonie bianche superstiti in tutto il mondo. Negli ultimi anni, i leader israeliani hanno espresso molta preoccupazione sulla possibilità che Israele non raggiunga il suo 100° o addirittura il suo 80° anniversario.
Le minacce di un’altra Nakba sono misure disperate di un insediamento coloniale che sa che il suo destino è ormai segnato, anche se ci vorranno diversi anni prima del crollo finale. Il compito che i palestinesi devono affrontare ora è quello di prepararsi per un futuro post-Israele. Sarà un futuro che garantisce l’uguaglianza a tutti, come in Algeria, o un futuro che mantiene i privilegi economici coloniali, come in Sudafrica?
Se la questione viene lasciata alla borghesia palestinese, che ha portato avanti la soluzione dei due Stati e la resa di Oslo, possiamo essere certi che verrà imposta una variante dell’opzione sudafricana. I palestinesi ricchi, fin dall’inizio dell’occupazione britannica che ha sponsorizzato l’insediamento coloniale sionista nel novembre-dicembre 1917, hanno sempre favorito la collaborazione con la potenza coloniale (alcuni hanno collaborato persino con i sionisti) come se fosse una sorta di arbitro neutrale.
Dall’inizio degli anni ’70, la maggior parte dei ricchi palestinesi, il cui sostegno all’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) era stato visto come un mezzo per moderare le sue richieste di liberazione anticoloniale –e che sono diventati gli intermediari tra la leadership dell’OLP e i ricchi regimi arabi del Golfo–, hanno anche insistito affinché gli Stati Uniti fossero l’arbitro tra i palestinesi e i loro colonizzatori.
Come la minoranza di ricchi rhodesiani neri che sostenevano gli inglesi come arbitro tra loro e i colonizzatori bianchi britannici, l’élite palestinese continua ancora oggi a considerare solo le soluzioni imposte dall’imperialismo statunitense ed europeo. Il fatto che tali “soluzioni” abbiano condotto i Palestinesi dal 1917 al punto in cui si trovano oggi non ha fatto cambiare idea alla classe imprenditoriale palestinese.
Oggi, la domanda che i palestinesi si pongono non è se Israele finirà, ma piuttosto: cosa lo sostituirà? La ferma resistenza palestinese in tutte le sue forme e ramificazioni permetterà alla borghesia palestinese di accettare una soluzione imperialista e coloniale a nome del popolo palestinese, oppure la resistenza imporrà un fatto compiuto antimperialista e anticoloniale, insistendo sull’indipendenza e sull’uguaglianza e sulla rimozione di tutti i privilegi, politici ed economici, dei colonizzatori?
La fine di Israele si avvicina, ma dato lo stridente impegno imperialista a preservare i privilegi coloniali ebraici e la sottomissione della borghesia palestinese alle soluzioni imperiali, il futuro dei palestinesi è tutt’altro che certo.
Joseph Massad è professore di politica araba moderna e di storia intellettuale presso la Columbia University di New York. È autore di molti libri e articoli accademici e giornalistici. I suoi libri includono Effetti coloniali: La creazione dell’identità nazionale in Giordania; Desiderare gli arabi; La persistenza della questione palestinese: Saggi sul sionismo e i palestinesi e, più recentemente, L’Islam nel Liberalismo. I suoi libri e articoli sono stati tradotti in una dozzina di lingue.
https://www.middleeasteye.net/opinion/why-israels-leaders-call-for-second-nakba
Traduzione a cura di AssoPacePalestina
Non sempre AssoPacePalestina condivide gli articoli che pubblichiamo, ma pensiamo che opinioni anche diverse possano essere utili per capire.
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Che bel paese America dove tutti possono parlare, pubblicare, e sopratutto insegnare alla Columbia…. insegna storia intellettuale?? Che materia è? Ora non voglio replicare a tutti gli argomenti perchè come al solito i dati vengono letti in modo originale da certi esperti, voglio solo dire che se è pur vero che molta immigrazione attuale non garantirebbe ebraicità univoca ad Israele essendo più variegato il flusso migratorio degli ultimi tempi, ma chi va in Israele accetta e promuove il sistema Israele, cioè il sistema sionista.
I coloni bianchi in USA detengono ancora il potere etc… lo puoi dire solo alla Columbia……
Mentre è singolare ammettere che il genocidio operato dai sionisti nei confronti dei nativi è l’unica impresa senza successo di questi colonizzatori bianchi. Massad giustamente vivendo negli Stati Uniti D’America si è scordato come si vive in MO, ma se ha qualche conoscente arabo di Israele dovrebbe farsi raccontare come sarebbe bello smettere di vivere in uno stato di diritto e finalmente vivere gli agi le liberta l’uguaglianza di uno stato islamico palestinese. (perchè non fa un sondaggio con i fondi dei bianchi colonizzatori della Columbia?)