di Mondoweiss Palestine Bureau,
Mondoweiss, 11 maggio 2023.
Il concetto nascente di “unità dei campi” cerca di collegare le lotte palestinesi in diverse località geografiche. Questo è ciò che Israele sta cercando di sconfiggere a Gaza.
Un recente articolo di Abdaljawad Omar sulla rivista in lingua araba 7iber Magazine ha affrontato il concetto di “unità dei campi” in relazione all’ultima guerra di Israele contro Gaza (soprannominata “Operazione Scudo e Freccia”). Emersa originariamente durante la guerra di Gaza di due anni fa, nel maggio 2021, e l’Intifada dell’Unità dello stesso mese, l’espressione “unità dei campi” era intesa come un modo per collegare le lotte palestinesi nei loro diversi luoghi geografici, dalla Cisgiordania alle comunità palestinesi con cittadinanza israeliana, alla Striscia di Gaza assediata. L’articolo di Omar illustra come questo concetto si sia evoluto durante l’attuale assalto israeliano e come l'”unità dei campi” aspiri ora a diventare un mezzo per alzare il prezzo dell’aggressione coloniale, sia nelle città della Cisgiordania, sia nel complesso di al-Aqsa, sia nelle prigioni israeliane.
Ma prima è importante spiegare come i suddetti “campi” si siano allargati ed estesi dopo l’Intifada dell’Unità e la guerra di maggio del 2021. All’epoca, il concetto di “unità dei campi” intendeva descrivere un programma di resistenza unito tra tutte le geografie palestinesi e le tendenze politiche divergenti, qualcosa di simile al concetto di “fronte popolare unito” dei decenni precedenti nella storia della lotta palestinese, sebbene non fosse gravato dal bagaglio ideologico associato a quella strategia.
L’aspetto più notevole di questo concetto apparentemente amorfo è che, per la prima volta in quasi due decenni, la resistenza palestinese, armata o non armata, non era più confinata a un’unica enclave territoriale. Gaza non doveva più sopportare da sola il peso del sacrificio umano, né quello del confronto con il colonialismo sionista e, per la prima volta, la Cisgiordania non solo si sollevava in una serie di operazioni cosiddette “a lupo solitario”, ma vi si univano anche i palestinesi del ’48, a lungo emarginati ma mai completamente dimenticati.
Per la prima volta, inoltre, le fazioni della resistenza a Gaza – le Brigate Qassam di Hamas o Saraya al-Quds della Jihad Islamica – hanno lanciato razzi per difendere il complesso di al-Aqsa dagli attacchi sionisti al luogo sacro che avevano provocato centinaia di feriti. Questa è quella che le fazioni della resistenza hanno chiamato “Operazione Spada di Gerusalemme”, attraverso la quale la resistenza sperava di non rimanere più sulla difensiva dall’aggressione coloniale, ma di diventare un deterrente attivo contro tali provocazioni.
In modo quasi profetico, due anni dopo, quei “campi” uniti si sono rafforzati e allargati, e la Cisgiordania ha visto la rinascita di gruppi di resistenza armata da Jenin a Nablus a Gerico e oltre, in parte a causa del ruolo svolto dall’incoraggiamento e dal finanziamento proveniente dalle fazioni di resistenza a Gaza (in particolare la Jihad Islamica). Proprio a causa di questa connessione, Israele ha lanciato il suo presunto attacco “preventivo” contro Gaza nell’agosto del 2022 (“Operazione Breaking Dawn“), che aveva lo scopo di prevenire la diffusione della lotta armata in Cisgiordania infliggendo un colpo a quella che Israele considerava la fonte di tutto: la leadership della Jihad Islamica palestinese a Gaza.
Breaking Dawn non ha avuto l’effetto sperato, poiché la resistenza armata ha continuato a diffondersi in Cisgiordania per tutto l’anno successivo, nonostante una serie di brutali assassinii di combattenti della resistenza, diversi massacri a Nablus e Jenin, pogrom guidati dai coloni e arresti quasi quotidiani.
Il recente attacco a Gaza ha già causato la morte di 28 persone, la maggior parte delle quali sono civili e bambini. Tuttavia, l’obiettivo dichiarato dell’attacco era quello di uccidere tre alti dirigenti della Jihad Islamica responsabili del coordinamento con i gruppi armati in Cisgiordania. Per la seconda volta in meno di un anno, Israele stava cercando di decidere nella Striscia di Gaza il destino della Cisgiordania. Ma soprattutto, stava lanciando una guerra contro i campi uniti.
Questo contesto è fondamentale per comprendere ciò che sta accadendo ora a Gaza. Non è solo una guerra per la sopravvivenza della resistenza a Gaza, ma per la sopravvivenza di ciò che deve ancora venire: una strategia di resistenza unita che possa porre un limite a ciò che Israele può fare senza subire conseguenze. Questo è ciò che Abdaljawad Omar sottolinea nel suo articolo:
“Il concetto di unità dei campi realizza nella nostra immaginazione ciò che è possibile, ma che in realtà rimane latente: la capacità [della resistenza] di sollevarsi al di sopra di una serie di tensioni e divisioni, non solo all’interno della geografia frammentata della Palestina, ma anche nella regione nel suo complesso, al fine di raggiungere una sorta di unità nella decisione della guerra e della pace. Ecco perché questo concetto è una minaccia per il colonizzatore, perché non è altro che la riproduzione di un vecchio sogno arabo, anche se in una forma diversa e all’interno di parametri storici diversi. È il sogno di costruire società arabe e islamiche in grado di sfidare la presenza sionista e di porvi fine. Non è un compito facile, perché richiede il superamento di una serie di tendenze isolazioniste e nazionaliste ristrette, e perché arriva in un momento in cui ci sono forze che cercano di sradicare la Palestina dalla psiche araba. Ma si può dire che la realizzazione di questa unità nel campo della guerra, e di fatto la ridefinizione di ogni geografia come campo di guerra, è di per sé un atto che ha già privato quelle unità geografiche delle loro tendenze isolazioniste e dei loro interessi ristretti. Ora assistiamo all’emergere di una nuova cartografia immaginaria, che trasforma Libano, Siria, Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme in campi di battaglia, con un unico orientamento e un’unica promessa comune”.
In questo caso, Abdaljawad Omar non si riferisce solo all’ultima guerra contro Gaza, ma anche agli eventi dei mesi precedenti, quando dal Libano meridionale sono stati lanciati razzi verso Israele in risposta alle provocazioni al complesso di al-Aqsa in aprile. All’epoca, l’esercito israeliano sembrò entrare in una sorta di panico, poiché era la prima volta che venivano lanciati razzi da un luogo diverso da Gaza. La risposta israeliana è stata a dir poco silenziosa, lanciando attacchi aerei limitati solo su siti specifici da cui venivano lanciati i razzi (che Israele sosteneva essere siti di Hamas) per paura di istigare una risposta più ampia dal Libano che l’avrebbe trasformata in una guerra regionale su più fronti – Gaza, Libano e Cisgiordania.
Un mese dopo, l’icona della resistenza palestinese e martire Sheikh Khader Adnan è morto in una prigione israeliana mentre faceva uno sciopero della fame per protestare contro la sua detenzione. Simbolo di sfida in un’epoca senza simboli, Adnan era anche un membro della Jihad Islamica (anche se non della sua ala armata), e così la Jihad Islamica di Gaza lanciò anche allora una raffica di razzi verso Israele. La risposta israeliana, come quella ai razzi del Libano, è stata limitata rispetto alla consueta strategia verso Gaza di “falciare il prato”.
Eppure questi due incidenti – i razzi dal Libano dopo l’invasione di Aqsa e i razzi da Gaza dopo la morte di Adnan – erano troppo inediti perché Israele potesse ignorarli. Anche a causa della proliferazione di operazioni di resistenza armata in Cisgiordania, il governo israeliano ha pianificato il suo attuale blitz su Gaza con almeno una settimana di anticipo, bypassando il gabinetto di sicurezza e limitando il circolo decisionale al Primo Ministro Netanyahu e agli alti funzionari dell’esercito e della sicurezza.
Pertanto, l’attuale guerra a questi campi che si stanno rapidamente unificando non è tanto una guerra a ciò che sono attualmente, ma a ciò che potrebbero diventare. Abdaljawad Omar sostiene che “nonostante l’importanza della nuova frase [unità dei campi], che la resistenza e le sue diverse forze hanno propagandato come concetto-guida delle loro azioni, si tratta in sostanza di un tentativo di raggiungere una situazione che assomigli agli accordi che legavano diversi Stati arabi in patti di guerra congiunti a metà del XX secolo, come il patto di mutua difesa egiziano-siriano [del 1955]”.
Sebbene l’entità della resistenza in Palestina e nella regione sia ben lontana dall’essere così avanzata, nella fase attuale il concetto di ‘unità dei campi’, secondo Omar, cerca di elevarsi al di sopra dell’atomizzazione della resistenza palestinese, costruendo un orientamento strategico e politico comune che rende “una battaglia di resistenza a Jenin, nonostante sia un atto locale impigliato nelle sue dinamiche specifiche, parte di un tutto che a sua volta comprende altri atti a Gaza, in Libano e in Siria”.
Traduzione a cura di AssoPacePalestina
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