I palestinesi sostengono a larga maggioranza la lotta armata per porre fine all’occupazione

di Philip Weiss,

Mondoweiss, 6 maggio 2023.  

Tre quarti dei palestinesi nei territori occupati credono che sia ormai impossibile creare uno Stato palestinese. Di conseguenza, il 54% “sostiene il ritorno al confronto armato e all’intifada”.

Khalil Shikaki

La convinzione dei palestinesi di ottenere un proprio stato continua a diminuire: Tre quarti dei palestinesi nei territori occupati affermano che la probabilità di avere uno loro stato nei prossimi cinque anni è “scarsa o nulla”, secondo gli ultimi sondaggi.

Di conseguenza, “gli atteggiamenti dell’opinione pubblica palestinese stanno diventando più militanti: aumenta il sostegno alla lotta armata”, secondo il Palestinian Center for Policy and Survey Research (PCPSR).

I palestinesi in Cisgiordania e a Gaza sostengono a larga maggioranza la lotta armata per porre fine all’occupazione.

Alla domanda su quale fosse il mezzo più efficace per porre fine all’occupazione israeliana e costruire uno stato indipendente, l’opinione pubblica si è divisa in tre gruppi: il 54% ha scelto la lotta armata, il 18% i negoziati e il 23% la resistenza popolare. Tre mesi fa, il 51% aveva scelto la lotta armata e il 21% i negoziati.

I numeri, raccolti dal PCPSR a marzo, sono ancora più alti per quanto riguarda il sostegno palestinese alle nuove cellule non affiliate di giovani armati in Cisgiordania, in particolare la Tana dei Leoni a Nablus:

Il 68% dell’opinione pubblica (71% nella Striscia di Gaza e 66% in Cisgiordania) si dice favorevole alla formazione di gruppi armati come la “Tana dei Leoni”, che non prendono ordini dall’AP e non fanno parte dei servizi di sicurezza dell’AP; il 25% è contrario.

Il sostegno palestinese alla resistenza armata include attacchi ai coloni israeliani, che sono generalmente considerati come dei civili. I sondaggisti hanno chiesto informazioni su un attacco palestinese che ha ucciso due coloni in un’auto a febbraio. “Una grande maggioranza, il 71%, dichiara di sostenere l’uccisione di due coloni a Huwara, mentre il 21% si dichiara contrario a questo e ad altri attacchi armati simili”.

I palestinesi prevedono “lo scoppio di una terza intifada armata” in Cisgiordania? Il 61% risponde di sì, il 36% di no.

Questi atteggiamenti stanno attraversando anche le frontiere.

Permettetemi per un momento di passare a Washington, dove si esprime simpatia per la resistenza armata dei palestinesi! Il mese scorso, il coeditore di un nuovo libro intitolato “The One State Reality” ha tenuto un discorso straordinario sulla legittimità della violenza palestinese e sull’illegittimità della violenza israeliana. “Penso che mentre ci muoviamo in questa realtà di un unico stato, dobbiamo anche ripensare la natura della violenza”, ha detto Michael Barnett, professore di Affari Internazionali alla George Washington University.

I commenti di Barnett mostrano quanto la fine della soluzione dei due stati stia cambiando il discorso anche negli Stati Uniti:

Molte violenze commesse dall’IDF (Israel Defense Forces) e da altri mi sembrano rientrare nella nozione di terrorismo di stato che circola da decenni. Quindi, il fatto che sia fatto da Israele non lo rende legittimo…

Questo è più radicale e si rifà a dichiarazioni precedenti del diritto internazionale sul diritto di un popolo a resistere; a volte c’è una resistenza che è terrorismo. Ma ci sono altre forme di resistenza che non sono necessariamente terrorismo… come è stato scritto a proposito del movimento di decolonizzazione, dove è legittimo per un popolo sotto occupazione resistere. Parte di questa resistenza sarà violenta, e se la violenza è rivolta, ad esempio, alle forze dell’esercito e non ai civili, allora è potenzialmente legittima. ..

I palestinesi hanno ovviamente riflettuto a lungo su questi temi. Il mese scorso, il responsabile del PCPSR, Khalil Shikaki, ha parlato con Americans for Peace Now e ha riferito che il sostegno dei palestinesi alla soluzione dei due stati continua a diminuire: Lo scorso dicembre, quasi un terzo dei palestinesi, il 32%, sosteneva il concetto di due stati. A marzo 2023, questa percentuale è scesa al 27%.

Questo 27% è comunque più grande di qualsiasi altro blocco di opinione. Il 22% dei palestinesi sostiene il concetto di uno stato con pari diritti, soprattutto i giovani, ha detto Shikaki. Ma i suoi numeri non supportano l’affermazione che i politici statunitensi fanno abitualmente, secondo cui la maggior parte dei palestinesi vuole una soluzione a due stati.

I palestinesi non sostengono la soluzione dei due stati perché non la ritengono possibile. Tre quarti dei palestinesi, il 74%, ritiene che la soluzione dei due stati “non sia più pratica o fattibile a causa dell’espansione degli insediamenti israeliani”, afferma Shikaki. Questa percentuale è salita dal 69% di tre mesi prima perché i palestinesi vedono sempre più spesso che “non è possibile separare i due popoli in due stati distinti”.

Il sostegno dei palestinesi alla soluzione a due stati è stato sconfitto dagli eventi. Trent’anni fa, quando fu firmato Oslo, il sostegno a due stati era dell’80-85%. Netanyahu ha contribuito fortemente alla disillusione. Shikaki:

Il declino del sostegno alla soluzione dei due stati è stato graduale, anno dopo anno. Ma gli ultimi cinque anni in particolare sono stati i più difficili.

La lotta armata è il grande vincitore:

“Alla luce di tutto ciò, i risultati mostrano un aumento della percentuale di coloro che sostengono il ritorno al confronto armato e all’intifada”.

Fino a due anni fa il sostegno a uno stato era pari a un terzo dei palestinesi. Ma poi è scoppiata la guerra con Hamas del maggio 2021 e ci sono state violenze contro i palestinesi nelle strade israeliane, che hanno cambiato significativamente l’atteggiamento dei palestinesi riguardo alla condivisione di uno stato con gli israeliani. “Il sostegno a uno stato è diminuito quasi immediatamente dopo la guerra di maggio”.

Quello che hanno visto nel maggio 2021 è che il conflitto scoppia alla prima occasione, che c’è violenza e che questa soluzione non è quella che pensavano, che non ci saranno uguali diritti e che la violenza continuerà a perseguitarli, anche se andranno nella direzione dello stato unico.

Shikaki ha detto che quasi un quarto dei palestinesi è senza speranza e non è favorevole ad alcuna soluzione. Questo gruppo è in crescita e ha un forte sostegno per la violenza.

Il gruppo che sta crescendo di dimensioni è quello che crede che non ci sia nulla da sostenere, perché non c’è una soluzione politica al conflitto, che il conflitto è essenzialmente permanente e non sarà mai risolto. Questo è il massimo della frustrazione e della disperazione che vediamo tra il pubblico palestinese. Questo gruppo di palestinesi, che oggi si aggira tra il 20 e il 25%, ha sostanzialmente perso ogni speranza. E proprio in questo gruppo troviamo il maggior sostegno alla violenza, perché questo gruppo non crede più nella diplomazia o nei negoziati.

E anche se il Congresso USA è a stragrande maggioranza a favore degli “Accordi di Abramo”, accordi di normalizzazione tra Israele e le monarchie arabe come una sorta di progresso, i palestinesi vedono questo come un tradimento globale della Palestina che riduce le possibilità di pace. Shikaki:

La percezione dei palestinesi non è cambiata: questi accordi danneggiano in modo significativo la causa palestinese, riducono le prospettive di pace, perché offrono agli israeliani i benefici della pace senza che gli israeliani facciano nulla per la pace. E quindi riducono gli incentivi per gli israeliani a fare concessioni per raggiungere la pace. Perché pagare un prezzo per qualcosa che si può avere gratis? Questa è la percezione prevalente. Ma c’è naturalmente un’altra componente emotiva nel rifiuto della normalizzazione, ed è la percezione prevalente tra l’opinione pubblica che questi Paesi arabi stiano essenzialmente abbandonando la causa palestinese, abbandonando Gerusalemme e i luoghi santi per soddisfare i propri interessi personali.

Shikaki ha detto che il nuovo governo fascista israeliano sta rendendo i palestinesi ancor più scettici.

Il nuovo Israele è una minaccia in più, che si concentra su luoghi sacri come la Moschea di Al Aqsa e, in misura minore, sulla percezione che la velocità dell’annessione strisciante sarà ora molto più rapida e la crudeltà dell’occupazione sarà ora maggiore…

Per i palestinesi, la minaccia rappresentata oggi dai luoghi santi è molto diversa rispetto al passato. E potrebbe portare a gravi violenze; quasi tutto ciò che riguarda i luoghi santi porterà molto probabilmente a una significativa erosione delle condizioni di sicurezza e a instabilità in Cisgiordania.

I palestinesi vogliono ancora la sovranità più di ogni altro risultato, un proprio stato.

L’idea che l’occupazione israeliana possa terminare e che i palestinesi possano avere l’opportunità di creare un proprio stato, continua ad essere la priorità principale dei palestinesi in tutti i nostri sondaggi.

Ma i palestinesi hanno poca fiducia nella capacità dell’Autorità Palestinese di creare uno stato del genere. I giovani sono particolarmente amareggiati:

Il fallimento dell’Autorità Palestinese nella governance, negli ultimi anni, ha creato una percezione molto negativa della statualità, in particolare tra i giovani, che tendono a essere i più liberali e i più impegnati per un governo pulito, una governance democratica e così via. Nei focus group che teniamo presso il nostro centro, quando chiediamo ai giovani di questo, del declino e del sostegno alla statualità palestinese, di nuovo, separata dalla soluzione dei due stati, la risposta è di solito: “Che bisogno c’è di un altro Paese corrotto e autoritario?”.

L’Autorità Palestinese continua a perdere legittimità. Una “sottile maggioranza” vede il suo crollo “come funzionale all’interesse nazionale”, ha detto Shikaki:

In realtà, abbiamo anche avuto una maggioranza, una grande maggioranza che ha affermato che il mantenimento dell’Autorità Palestinese serve gli interessi nazionali dello Stato di Israele, piuttosto che dei palestinesi. E questo non ha precedenti.

Traduzione a cura di AssoPacePalestina

Non sempre AssoPacePalestina condivide gli articoli che pubblichiamo, ma pensiamo che opinioni anche diverse possano essere utili per capire.

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