di MouinRabbani,
Jadaliyya, 18 aprile 2023.
Fin dall’inizio del suo mandato, l’amministrazione del Presidente USA Joe Biden si è dimostrata avversa ad impegnarsi nel dossier israelo-palestinese, riluttante in particolare a spendervi il suo capitale politico. Biden ha scelto di concentrare gli sforzi degli Stati Uniti in Medio Oriente sull’Iran e sulle condizioni alle quali Washington avrebbe ripreso a rispettare il Piano d’Azione Globale Congiunto (JCPOA), l’accordo internazionale del 2015 con Teheran a cui il suo predecessore, Donald Trump, aveva rinunciato unilateralmente nel 2018. Dall’inizio del 2022 in poi, a causa della guerra in Ucraina, gli Stati Uniti hanno spostato le priorità: il primo posto è stato assegnato all’indebolimento dell’influenza russa nella regione e a persuadere i propri fornitori di energia ad aumentare le esportazioni per compensare le sanzioni alle industrie russe del petrolio e del gas.
L’approccio politico scelto dall’amministrazione statunitense nei confronti di Israele e dei palestinesi è stato quello di perpetuare lo status quo, con il pretesto che le circostanze non sono favorevoli a iniziative per cambiarlo. Questa inattività strategica ha lo scopo di tenere la questione palestinese fuori dall’agenda regionale e internazionale, in modo che Washington possa occuparsi delle sue priorità, sia in Ucraina che nei confronti della Cina.
In pratica, questa politica equivale a un continuo sostegno degli Stati Uniti al consolidamento del dominio permanente di Israele sui palestinesi e dell’impunità di Israele nel perseguire i suoi obiettivi annessionistici. È interessante notare che, oltre ad aver ripristinato i finanziamenti statunitensi all’UNRWA (l’agenzia delle Nazioni Unite responsabile dei rifugiati palestinesi), l’amministrazione Biden si è rifiutata di revocare le numerose misure e iniziative attuate durante gli anni di Trump a sostegno dell’agenda annessionista di Israele. Ha inoltre messo in atto la sua politica di normalizzazione arabo-israeliana per emarginare ulteriormente la questione palestinese. E, cosa altrettanto significativa, Washington continua a opporsi alle iniziative legali palestinesi, come il ricorso alla Corte Penale Internazionale e alla Corte Internazionale di Giustizia, volte a contrastare l’annessione israeliana.
Questo approccio alla questione palestinese è stata una cosa naturale per Biden e il suo Segretario di Stato (e collaboratore di lunga data in politica estera), Antony Blinken, entrambi strenui sostenitori di Israele e delle sue politiche. (La coppia aveva anche promosso con energia l’invasione e l’occupazione dell’Iraq nel 2003 e in seguito si era schierata a favore della sua divisione). Blinken ha inoltre sostenuto l’intervento militare in Libia nel 2011, ha promosso il coinvolgimento degli Stati Uniti nella guerra contro lo Yemen guidata dai sauditi nel 2015 e ha lamentato la decisione dell’amministrazione Obama di astenersi dal bombardare gli obiettivi del governo siriano).
L’unica seccatura, rappresentata dal primo ministro israeliano Binyamin Netanyahu con la sua aperta identificazione con il nemico di Biden, Donald Trump, è stata rimossa dalla scena poco dopo l’insediamento di Biden. Rafforzare la coalizione frammentaria che aveva deposto Netanyahu è diventato un ulteriore incentivo per Washington a sostenere Israele che espandeva la sua colonizzazione della Cisgiordania e nel 2022 uccideva il più alto numero di palestinesi in quel territorio dalla conclusione della Rivolta di Al-Aqsa del 2000-2004.
Il problema per Washington è che lo status quo – l’annessione strisciante – è intrinsecamente dinamico piuttosto che statico. Pertanto, supponendo che lo scopo della negligenza strategica sia quello di consentire agli Stati Uniti di emarginare ulteriormente la questione della Palestina, lo status quo non si sta rivelando particolarmente sicuro. Questo è stato chiaramente dimostrato a Biden e Blinken durante i loro primi mesi di mandato, quando gli assalti israeliani al quartiere di Shaikh Jarrah a Gerusalemme Est e alla Moschea di Al-Aqsa si sono aggravati sotto forma di scontri in tutto Israele e nei territori occupati che hanno provocato diverse migliaia di vittime. Mentre le manifestazioni pro-palestinesi si espandevano su scala massiccia in tutto il mondo arabo e il Capo di Stato Maggiore USA, gen. Mark Milley, metteva in guardia da una “destabilizzazione più ampia” se la furia di Israele fosse continuata, è stato necessario un coinvolgimento ad alto livello degli Stati Uniti per fermarla.
Il 2023 si sta trasformando nell’ennesima dimostrazione della follia della politica di Washington e delle sue conseguenze letali. Con Netanyahu ancora una volta al timone della politica israeliana e una squadra di governo che si adatterebbe perfettamente a un gabinetto Mussolini, i leader israeliani si stanno impegnando in provocazioni sistematiche contro i palestinesi e hanno ulteriormente intensificato il livello di violenza in Cisgiordania.
Il leader palestinese Mahmoud Abbas, smascherato da questa realtà come un’appendice illegittima e inefficace del dominio israeliano, all’inizio di quest’anno ha risposto con una dichiarazione – la cui veridicità rimane non confermata – che l’Autorità Palestinese (AP) stava sospendendo il coordinamento con le forze di sicurezza israeliane e ha ordinato ai suoi diplomatici di promuovere una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che riconfermasse l’illegalità degli insediamenti israeliani. Poiché Washington non è disposta a censurare Israele per le violazioni del diritto internazionale, ma non vuole essere una voce solitaria a sostegno dell’annessione israeliana, quando chiede al resto del pianeta di denunciare l’annessione russa del territorio ucraino, funzionari e analisti hanno notato che i palestinesi si trovavano nell’invidiabile posizione di esercitare un’influenza sugli americani.
Ciononostante, gli Stati Uniti sono riusciti a far ritirare la bozza palestinese di risoluzione e a sostituirla con un’anodina dichiarazione presidenziale in cui l’unico “obbligo” è quello che l'”Autorità Palestinese rinunci ai suoi piani e collabori contro il terrore”. Il prezzo pagato dagli USA per evitare un imbarazzante veto è stato l’impegno a invitare Abbas alla Casa Bianca nel corso dell’anno.
Secondo il giornalista israeliano Barak Ravid, un’ulteriore “preoccupazione” degli Stati Uniti era che un voto del Consiglio di Sicurezza “avrebbe portato a un’ulteriore escalation tra israeliani e palestinesi prima del periodo storicamente delicato della Pasqua e del mese sacro del Ramadan”. Eppure l’escalation è proprio, e del tutto prevedibilmente, ciò che gli sforzi di Blinken per proteggere Israele dalla responsabilità delle sue azioni hanno prodotto. Il 22 febbraio, meno di 48 ore dopo che il Consiglio di Sicurezza aveva timidamente invitato “tutte le parti a osservare la calma e la moderazione” e a “smorzare la situazione sul terreno”, undici palestinesi sono stati uccisi in un massiccio assalto israeliano in pieno giorno a Nablus.
Washington ha risposto il 26 febbraio convocando, insieme a Giordania ed Egitto, colloqui israelo-palestinesi ad alto livello nel porto giordano di Aqaba, che hanno prodotto il primo comunicato congiunto da anni. In esso Israele si è impegnato ad astenersi temporaneamente da ulteriori iniziative di insediamento, le cui delibere erano comunque già state programmate dopo la scadenza dell’impegno. Netanyahu e altri alti funzionari hanno anche chiarito che il loro “impegno a lavorare per porre immediatamente fine a misure unilaterali” non influirà sull’attuazione delle decisioni esistenti sull’espansione degli insediamenti.
Mentre le parti hanno ringraziato Washington per il suo “ruolo indispensabile negli sforzi per prevenire il deterioramento e trovare orizzonti di pace”, il distacco tra gli accordi di Aqaba e la realtà a ovest del fiume Giordano, e l’irrilevanza dell’AP in questa realtà, sono stati sottolineati lo stesso giorno dall’uccisione di due coloni a Huwwara, sulla strada meridionale di Nablus, come rappresaglia per il raid di Nablus, e da un assalto dei coloni a Huwwara che la sera stessa è stato definito un “pogrom” da numerosi commentatori israeliani e dal maggior generale Yehuda Fuchs, il più alto comandante militare israeliano in Cisgiordania. Per sottolineare il successo ottenuto, il Ministro delle Finanze israeliano, Bezalel Smotrich, ha chiesto che Israele agisse “in modo da far capire che il padrone di casa è arrabbiato”, e alcuni giorni dopo la furia ha dichiarato che “Huwwara deve essere cancellata”.
Le affermazioni secondo cui l’esercito israeliano non è riuscito a prevenire l’assalto a Huwwara perché è stato colto di sorpresa dai coloni, i cui leader annunciavano apertamente le loro intenzioni sui social media, sono a dir poco risibili. La realtà è che i coloni armati sono stati costantemente autorizzati e protetti dall’esercito come fosse una normale procedura, e funzionano effettivamente come una milizia ausiliaria al servizio dello Stato israeliano. I coloni e i sostenitori del loro programma sono ben rappresentati all’interno dell’esercito israeliano e alcuni dei loro leader più fanatici occupano attualmente non solo terre palestinesi ma anche alte cariche di Stato. Se invece l’esercito fosse stato colto impreparato dai residenti di Huwwara che invadevano il vicino insediamento di Yizhhar costruito sulla loro terra, l’incidente non sarebbe durato più di qualche minuto.
Alcuni giorni dopo, l’esercito si è comportato con un’efficienza esemplare quando ha impedito a un gruppo di attivisti di entrare a Huwwara per esprimere la propria solidarietà ai residenti, maltrattando l’ex speaker del Parlamento israeliano, Avraham Burg. Tuttavia, il 6 marzo i soldati hanno nuovamente permesso a un gruppo di coloni di scatenarsi nella città, questa volta ballando con loro nelle strade per celebrare Purim. L’uccisione di altri sei palestinesi da parte dell’esercito israeliano a Jenin il giorno successivo e l’approvazione di Washington dell’attacco come “diritto legittimo” di Israele sono fatti del tutto coerenti con il flusso degli eventi.
Sebbene Israele sia il principale beneficiario e il popolo palestinese la principale vittima della politica di negligenza strategica di Washington, essa è soprattutto concepita per servire gli interessi più importanti degli Stati Uniti. Tuttavia, come gli eventi recenti hanno reso sempre più chiaro, essa si basa sulla premessa errata che Israele sia sufficientemente potente e razionale, e i palestinesi sufficientemente impotenti, per produrre una stabilità prolungata tra il Mar Mediterraneo e il fiume Giordano, e quindi tenere la questione della Palestina fuori dall’agenda regionale e internazionale. Come si svilupperanno le relazioni israelo-palestinesi nelle prossime settimane e mesi è difficile da prevedere e soggetto a numerose variabili. Tuttavia, è già evidente che la politica di Washington è destinata al fallimento e si sta dirigendo sempre più velocemente verso un precipizio.
Traduzione a cura di AssoPacePalestina
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