di Alon Pinkas,
Haaretz, 17 febbraio 2023.
Mentre il nuovo governo israeliano porta avanti un programma estremo, non è chiaro quando Washington abbandonerà le frasi fatte e dichiarerà che sarà sempre più difficile difendere queste politiche nei forum internazionali.
Cinquantatré volte dal 1972 gli Stati Uniti hanno posto il veto in seno al Consiglio di Sicurezza dell’ONU per bocciare le risoluzioni o le condanne contro Israele. Questo è lo scudo diplomatico con cui Washington ha coperto il suo alleato per decenni.
Se volete saperlo, il presidente americano sotto il quale gli americani hanno posto il maggior numero di veti è stato Barack Obama: 21 volte. Ma è stato sempre Obama che nel dicembre 2016, poco prima di lasciare la Casa Bianca, ha dato istruzioni alla delegazione statunitense di astenersi su una risoluzione che condannava gli insediamenti.
Ciò che salta all’occhio non è quest’ultimo scostamento di Obama dalla norma, ma tutte le altre volte in cui la risoluzione contro Israele era del tutto coerente, a volte alla lettera, con la politica dichiarata dagli Stati Uniti; eppure gli americani hanno posto il veto.
Lunedì 20 febbraio, il Consiglio di Sicurezza discuterà una risoluzione degli Emirati Arabi Uniti (uno dei 10 membri non permanenti del Consiglio di Sicurezza) che condanna Israele. La bozza chiede a Israele di “cessare immediatamente e completamente tutte le attività di insediamento nei territori palestinesi occupati”. Essa “riafferma che la creazione da parte di Israele di insediamenti nei territori palestinesi occupati dal 1967, compresa Gerusalemme Est, non ha alcuna validità legale e costituisce una flagrante violazione a livello internazionale”.
Chiede inoltre di fermare “tutte le attività di insediamento israeliane e tutte le altre misure unilaterali volte ad alterare la composizione demografica, il carattere e lo status dei Territori Palestinesi occupati dal 1967, compresa Gerusalemme Est, inclusi, tra l’altro, la costruzione e l’espansione di insediamenti, il trasferimento di coloni israeliani nei Territori, la confisca di terre, la demolizione di case e lo sfollamento di civili palestinesi”.
In una dichiarazione congiunta con i ministri degli Esteri di Francia, Germania, Italia e Gran Bretagna, il Segretario di Stato americano Antony Blinken ha dichiarato: “Siamo profondamente turbati dall’annuncio del governo israeliano di promuovere quasi 10.000 unità di insediamento e di voler avviare un processo di normalizzazione di nove avamposti precedentemente considerati illegali dalla legge israeliana. Ci opponiamo fermamente a queste azioni unilaterali che serviranno solo ad esacerbare le tensioni tra israeliani e palestinesi e a minare gli sforzi per raggiungere una soluzione negoziata a due-stati”.
Giovedì 16 febbraio la Casa Bianca ha rilasciato una sua dichiarazione: “Siamo profondamente costernati dall’annuncio di Israele di promuovere migliaia di nuovi insediamenti e di legalizzare retroattivamente nove avamposti in Cisgiordania che finora erano illegali secondo la legge israeliana. Gli Stati Uniti si oppongono fermamente a queste misure unilaterali, che esacerbano le tensioni, danneggiano la fiducia tra le parti e minano la fattibilità geografica della soluzione dei due-stati”.
“Profondamente costernati” si è aggiunto all’affollato campo di luoghi comuni innocui come “profondamente turbati” e “fortemente contrari”, per non parlare dei vecchi e affidabili “gli Stati Uniti sono contrari a passi unilaterali” e “gli Stati Uniti chiedono moderazione e stabilità”.
Queste insipide espressioni non comportano alcuna conseguenza. Non sono molto diverse dai “pensieri e preghiere” che i politici americani offrono dopo una sparatoria di massa nel loro paese. Queste vuote dichiarazioni di Washington sono diventate la versione di politica estera del “non c’è niente da vedere qui, gente; circolare”.
Sempre giovedì, il Dipartimento di Stato ha dichiarato di ritenere “inutile” la risoluzione degli Emirati Arabi così come è stata redatta, ma ha rifiutato di dire se intende porre il veto al documento o cercare di attenuarlo per evitare un voto controverso.
Lunedì 20 sarà un test per vedere se gli Stati Uniti continueranno con i soliti luoghi comuni o mostreranno segni di un cambiamento di politica, almeno retorico. Le azioni di Israele in Cisgiordania nell’ultimo decennio e le chiare intenzioni del nuovo governo Netanyahu contraddicono totalmente la politica statunitense. Non si tratta di un disaccordo sui metodi o sui toni, ma di una disparità strategica. Sarà interessante vedere se e come gli americani penseranno di poter conciliare queste differenze con una dichiarazione.
Molte delle 53 risoluzioni a cui è stato posto il veto USA erano dichiarazioni palesemente anti-israeliane, che se la prendevano con Israele mentre certi regimi assassini venivano ignorati dalle Nazioni Unite. Ma altre, riguardanti specificamente l’occupazione, gli insediamenti o le attività militari in Cisgiordania, erano in sintonia con la politica statunitense dal 1967 in poi.
Gli Stati Uniti hanno cercato di sanare la contraddizione utilizzando due argomenti principali: 1) Il conflitto israelo-palestinese non dovrebbe essere giudicato dalle Nazioni Unite, dove le questioni non vengono trattate nel merito perché ci sono sentimenti anti-israeliani, oltre a considerazioni irrilevanti e blocchi di potere. 2) Israele e i palestinesi dovrebbero condurre tra di loro negoziati bilaterali, mentre le Nazioni Unite non sono il forum per risolvere qualcosa.
Le risoluzioni bocciate andavano quasi sempre oltre la condanna degli insediamenti e menzionavano Gerusalemme, per cui Washington era giustificato a sostenere che le Nazioni Unite stavano in realtà mettendo in discussione il legame di Israele con Gerusalemme, cosa che meritava ovviamente il veto.
Tuttavia, l’imminente risoluzione del Consiglio di Sicurezza giunge in un momento in cui non c’è stato alcun “processo di pace” per almeno nove anni, a partire dalla “spola diplomatica” dell’allora Segretario di Stato John Kerry nel 2014. E ora un nuovo governo di destra si sta impegnando a espandere l’impresa degli insediamenti ed è convinto che l’annessione sia solo una questione di tempo, mentre un “processo di pace” non lo è. Cosa possono fare ora gli Stati Uniti?
Evidentemente, molto. Realisticamente, sulla base delle precedenti esperienze, non ci si deve aspettare una grande e improvvisa transizione politica, anche se è chiaro che l’amministrazione Biden è irritata per il fatto di dover spendere tempo e capitale politico su questo tema. L’instabilità in Cisgiordania si accompagna a una crisi costituzionale e politica in Israele che Washington non sopporta di dover affrontare.
Per cominciare, l’amministrazione USA potrebbe mostrarsi riluttante riguardo a una visita a Washington di Benjamin Netanyahu in tempi brevi. Questi viaggi sono una cerimonia di incoronazione per i primi ministri israeliani appena insediati, specialmente per Netanyahu.
Gli Stati Uniti possono chiarire che sarà sempre più difficile difendere Israele nelle sedi internazionali per quanto riguarda gli insediamenti. La cooperazione e il coordinamento tra i due paesi possono essere ridotti gradualmente ma in modo tangibile. Gli americani potrebbero prendere in considerazione la possibilità di differenziare tra Israele propriamente detto e la Cisgiordania per quanto riguarda i prodotti di esportazione.
Scrivendo sul sito web dell’Israel Policy Forum, l’editorialista Michael Koplow è stato inequivocabile: “Quando Blinken è andato a Gerusalemme, è successa una di queste due cose. O ha inviato chiaramente al governo israeliano il messaggio che gli Stati Uniti si oppongono fermamente a questa iniziativa e Netanyahu lo ha ignorato, oppure ha inviato il messaggio in modo più obliquo e Netanyahu ha capito che non è una cosa che interessa davvero agli Stati Uniti. In entrambi i casi, gli Stati Uniti si trovano ora nella posizione di apparire del tutto privi di spina dorsale, essendo stati ignorati in modo particolarmente umiliante dal loro più stretto alleato nella regione, proprio sulla scia della visita di Blinken”.
Nonostante l’attenzione alla politica statunitense e all’impatto che le azioni israeliane hanno sulle relazioni tra Stati Uniti e Israele, c’è anche una peculiare angolazione politica da parte israeliana. Si suppone, cioè, che questa sia un’occasione d’oro per il governo di destra di Netanyahu per far valere la propria politica e la propria ideologia.
Coraggio, passate dalle parore ai fatti. Invece di lamentarvi dei pregiudizi e dell’ipocrisia delle Nazioni Unite, invece di fare pressioni su Washington affinché ponga il veto alla risoluzione, alzatevi in piedi e fate vostra la politica.
Questo governo si è impegnato a espandere gli insediamenti. Nelle sue “Linee Guida Fondamentali” afferma esplicitamente che il popolo ebraico ha “diritti esclusivi sulla Terra d’Israele”. I ministri del governo hanno ripetutamente affermato che non ci sarà mai uno Stato palestinese tra il fiume Giordano a est e il Mar Mediterraneo a ovest.
E allora, dov’è il problema? Andate alle Nazioni Unite e ditelo chiaramente, ad alta voce e senza mezzi termini. Prendete in mano la politica e affrontate le conseguenze, conigli!
Traduzione a cura di AssoPacePalestina
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