di Pierre Haski,
Internazionale, 31 gennaio 2023.
Poco prima dell’ultima escalation di violenza tra israeliani e palestinesi un sondaggio d’opinione condotto all’interno dei due popoli ha fornito una delle chiavi di lettura per comprendere la nuova tragedia che si svolge davanti ai nostri occhi. Si tratta di un’indagine congiunta intitolata “Palestinian-israeli pulse” e realizzata da due centri di ricerca (uno israeliano e l’altro palestinese) che da anni rivolgono regolarmente le stesse domande su entrambi i fronti.
Il risultato è disastroso: non solo il sostegno per la soluzione dei due stati è ai minimi storici degli ultimi vent’anni, ma ormai una parte significativa dell’opinione pubblica, in entrambi i contesti, privilegia una soluzione “non democratica”, ovvero quella di un solo stato controllato dall’uno o dall’altro popolo.
Questa evoluzione riflette il pessimismo assoluto in merito alle possibilità di vedere un giorno realizzata l’opzione dei due stati (cosa che purtroppo corrisponde alla realtà) ma anche l’accettazione sempre più diffusa dell’impossibilità di vivere senza dominare l’altro e dunque l’assenza di prospettive di pace.
La perdita della speranza
“Il sostegno per un sistema non democratico ha superato per la prima volta quello nei confronti della soluzione dei due stati”, ha commentato Daliah Scheindlin, responsabile del sondaggio da parte israeliana per il Programma internazionale di mediazione e risoluzione dei conflitti dell’università di Tel Aviv. Il suo collega palestinese Khalil Shikaki, direttore del Centro palestinese di ricerca politica e d’opinione di Ramallah, ha sottolineato come diventi “sempre più difficile trovare un sostegno per la pace”.
Queste dichiarazioni sono state rilasciate il 24 gennaio durante una conferenza stampa congiunta di cui si è occupato il quotidiano israeliano Haaretz. Da allora il bilancio delle vittime è stato di una ventina di morti su entrambi i fronti.
Lo studio evidenzia inoltre il sostegno accordato da una consistente minoranza da entrambe le parti alla violenza come metodo di azione
Sul versante palestinese si registra ancora un lieve vantaggio per la soluzione dei due stati rispetto a quella di un unico stato dominato dai palestinesi, il 33 per cento contro il 30 per cento. Da parte israeliana, invece, lo studio evidenzia una netta separazione tra l’opinione della maggioranza ebraica e quella della minoranza araba: per quanto riguarda gli ebrei le percentuali sono invertite, con il 37 per cento favorevole a un unico stato dominato dagli israeliani e un 34 per cento schierato per la soluzione dei due stati. Solo gli arabi israeliani, che rappresentano il 20 per cento della popolazione di Israele, restano favorevoli in massa (60 per cento) alla soluzione dei due stati. Secondo lo studio, solo un quarto dell’opinione pubblica è favorevole a un unico stato democratico in cui tutti i cittadini abbiano gli stessi diritti.
Il deterioramento rispetto agli studi precedenti certifica la perdita della speranza e l’assenza di qualsiasi prospettiva di negoziato e di coabitazione pacifica. Questo lungo processo va avanti dal fallimento degli accordi di Oslo firmati nel settembre del 1993, esattamente trent’anni fa. Quell’intesa avrebbe dovuto portare alla nascita di due entità separate capaci di vivere fianco a fianco.
Evoluzione inquietante
Le difficoltà di attuazione degli accordi di Oslo hanno rapidamente minato la fiducia della popolazione, ma il colpo di grazia è arrivato soprattutto dall’opposizione feroce degli estremisti di entrambe le parti: da un lato Hamas, che ha portato a termine attentati sanguinari negli anni novanta; dall’altro gli estremisti religiosi ebrei come Baruch Goldstein, autore del massacro di Hebron del 1994, e soprattutto Yigal Amir, che nel 1995 ha assassinato il primo ministro Yitzhak Rabin. Sono loro ad aver vinto, uccidendo l’idea della pace.
Lo studio evidenzia inoltre il sostegno accordato da una consistente minoranza da entrambe le parti alla violenza come metodo di azione. Anche in questo caso si tratta di un’evoluzione inquietante rispetto alla storia, confermata dall’ingranaggio fatale che vediamo all’opera ormai da mesi, e non solo negli ultimi giorni. Nel 2022 sono stati uccisi 150 palestinesi. Il primo mese del 2023 è stato particolarmente tragico: 27 morti palestinesi e sette morti israeliani. Il ciclo di sangue e vendetta è stato rilanciato.
Circostanza aggravante, in Israele e nei territori palestinesi non esiste più una forza capace di invertire il corso degli eventi. Nello stato ebraico si è insediato da un mese un governo di cui fanno parte esponenti di estrema destra che sognano l’apocalisse (nel senso biblico del termine) perché la considerano un mezzo per espellere una parte dei palestinesi e annettere i loro territori. Il ministro della sicurezza Itamar Ben Gvir vive nella colonia ebraica di Kyriat Arba, alle porte della città palestinese di Hebron, a sud di Gerusalemme. È da lì che partì Baruch Goldstein per assassinare i fedeli musulmani raccolti in preghiera nel febbraio del 1994. La tomba di Goldstein, situata nella colonia, oggi è oggetto di culto. Sul fronte opposto l’Autorità nazionale palestinese di Abu Mazen, totalmente inerme e priva di legittimità, cede il passo a gruppi della società civile che in alcuni casi hanno scelto una lotta armata senza speranze.
La comunità internazionale (espressione desueta che da tempo ha perso qualsiasi significato in questa parte del mondo) non ha più alcun impatto su questa situazione. L’immobilità davanti alla tragica impasse in Israele e Palestina fa parte delle critiche rivolte dalle opinioni pubbliche dei paesi del sud agli occidentali nel momento in cui questi ultimi chiedono di difendere il diritto internazionale in Ucraina. Le risoluzioni dell’Onu sulla Palestina sono restate lettera morta negli ultimi cinque decenni. Tutti ormai distolgono lo sguardo, a cominciare dai paesi arabi firmatari degli accordi di Abramo.
Da dove arriverà il sussulto che eviterà il tracollo di una terra che ha già vissuto fin troppe tragedie? Chi potrà infondere un po’ di speranza in due popoli che non vedono più altra prospettiva se non quella della violenza? Oggi è impossibile dirlo. Il meccanismo dello scontro sembra difficile da arginare, ed è facile prevedere che se non ci saranno cambiamenti radicali il prossimo studio “ Palestinian-israeli pulse” mostrerà una riduzione ulteriore del desiderio di coabitazione e un aumento della volontà di dominazione esclusiva.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
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