Il risultato delle elezioni israeliane è preoccupante per l’intera regione

Nov 17, 2022 | Notizie, Riflessioni

di Yossi Mekelberg,

Arab News, 15 novembre 2022.   

Il Presidente israeliano Isaac Herzog ha incaricato Benjamin Netanyahu di formare il prossimo governo (File/AFP)

La settimana scorsa, come previsto dal protocollo, i rappresentanti di tutti i partiti eletti alla 25esima Knesset israeliana si sono incontrati con il Presidente israeliano Isaac Herzog e gli hanno raccomandato un parlamentare a cui chiedere di formare il prossimo governo. Come ci si aspettava, visti i risultati elettorali, hanno raccomandato in modo schiacciante l’ex –e molto probabilmente prossimo– primo ministro Benjamin Netanyahu. Quanto a lui, Netanyahu non ha aspettato di essere nominato ufficialmente e ha avviato negoziati informali con i suoi possibili partner nella prossima coalizione di governo. Per ora, sembra che il probabile risultato sarà, prima o poi, il governo più di destra nella storia di Israele: una prospettiva che è profondamente preoccupante non solo per molti israeliani, ma anche per i palestinesi che vivono sotto l’occupazione e il blocco israeliano e per quelli che si trovano al di fuori di Israele.

È ironico, o più precisamente è una tragica svolta degli eventi, che l’elettorato israeliano, quasi tre quarti di secolo dopo che il Paese ha ottenuto l’indipendenza, abbia scelto di eleggere alcuni dei politici più di estrema destra e religiosi messianici per rappresentarlo, in un momento in cui lo Stato di Israele ha raggiunto un riconoscimento senza precedenti, formale e informale, da parte delle principali potenze della regione.

La maggior parte dei confini di Israele sono con Paesi con cui ha firmato accordi di pace decenni fa; le relazioni sono state normalizzate, in seguito agli Accordi di Abramo, con gli Emirati Arabi Uniti e il Bahrein e separatamente con il Marocco e il Sudan; mentre la cooperazione con altre potenze regionali su questioni di interesse comune, indipendentemente dalla mancanza di relazioni diplomatiche, è un segreto per modo di dire. Se si cercasse la logica in politica –anche se spesso si tratta di un mero desiderio– Israele avrebbe dovuto optare per un governo in grado di costruire sulle relazioni migliorate con il mondo arabo, di consolidare gli interessi comuni con i Paesi con cui ha già stretti rapporti e, tornando all’Iniziativa di Pace Araba, proposta per la prima volta nel 2002, di mettere a tacere una volta per tutte il conflitto con i Palestinesi.

Invece, Netanyahu sta cercando di formare un governo con coloro che nutrono obiettivi massimalisti deprecabili riguardo ai Palestinesi; obiettivi che variano dall’annessione dell’intera Cisgiordania al trasferimento fuori dal Paese di individui, non solo palestinesi ma anche rivali politici, che siano classificati come “sleali”. Paradossalmente, sebbene questi elementi di estrema destra abbiano spianato la strada per il ritorno al potere di Netanyahu, sono le persone con cui lui meno vorrebbe condividere il potere, sapendo che cercheranno di spingerlo verso posizioni che sono destinate a portare al confronto con gli amici di Israele nella regione e con il resto della comunità internazionale.

Finché la questione palestinese non sarà risolta pacificamente e con soddisfazione di tutte le parti coinvolte, la situazione rimarrà suscettibile di focolai di ostilità che dovranno essere gestiti con estrema cautela per evitare l’implosione in Cisgiordania e a Gaza. Ogni volta che si verifica un’esplosione di violenza tra Israele e i Palestinesi, che sia a Gaza, in Cisgiordania o anche all’interno di Israele, sono quasi inevitabili tensioni nei rapporti con il mondo arabo.

L’inclusione degli elementi più estremi anti-palestinesi e generalmente anti-arabi al posto di comando della politica israeliana –ideologi che credono che la forza sia l’unico modo per trattare con i Palestinesi e vorrebbero perseguire tali politiche ancor più accanitamente– è anche una minaccia per le relazioni tra Israele e gli altri Paesi della regione.

Sarebbe ingenuo sostenere che i palestinesi abbiano mai avuto molte speranze di raggiungere un accordo di pace con i precedenti governi israeliani, o anche che la loro situazione quotidiana potesse migliorare di una virgola, ma avere a che fare con un governo apertamente razzista e che dirige odio e derisione verso gli arabi in generale e i palestinesi in particolare, spingerà molti di loro nella disperazione, con tutte le conseguenze che ne potrebbero derivare.

Inoltre, ci sono richieste tra i partiti di destra israeliani per cambiare lo status quo di Al-Haram Al-Sharif [Monte del Tempio], che in passato è stato causa di scontri violenti non solo a Gerusalemme, ma è stato anche una causa scatenante di conflitti prolungati tra Israele e i Palestinesi nei Territori Occupati, inclusa Gaza, e nelle città miste in Israele. Questo potrebbe rappresentare un altro punto caldo.

Si dà anche il caso che alcuni di coloro che aspirano a posizioni di rilievo nel prossimo governo, come il Ministero della Pubblica Sicurezza o il Ministero della Difesa, sono quelli che rivendicano la sovranità israeliana su quello che chiamano il Monte del Tempio, come sul resto della Cisgiordania, e vorrebbero provocare ostilità con i musulmani, e così facendo probabilmente accendere un pericoloso confronto con l’intero mondo musulmano. Nelle immediate vicinanze di Israele, è la Giordania ad essere particolarmente preoccupata per le politiche israeliane a Gerusalemme, che potrebbero influenzare istantaneamente la stabilità all’interno del Regno Hashemita e portare a un punto di rottura la pace tra i due Paesi.

È anche vero che Netanyahu è stato molto critico nei confronti dell’accordo sui confini marittimi recentemente firmato tra Israele e Libano. Ha parlato soprattutto per motivi elettorali, ben sapendo che si tratta di un buon accordo che giova alla sicurezza e all’economia di entrambi i Paesi. Nonostante abbia promesso in campagna elettorale di ritirarsi dall’accordo col Libano se fosse tornato al potere, è molto improbabile che lo faccia davvero. Tuttavia, questo indica ancora fortemente che si tratta di un leader opportunista, la cui collaborazione con gli elementi più estremi della società israeliana e la cui dipendenza da loro per rallentare o insabbiare del tutto il suo processo per corruzione, possono facilmente offuscare il suo giudizio e lo rendono suscettibile alle pressioni di chi vuol perseguire politiche aggressive e irresponsabili.

Dopo oltre sei anni di indagini di polizia che hanno portato alla sua incriminazione e a un processo che si prevede continuerà per anni, è impossibile sapere se Netanyahu sia in grado di distinguere tra ciò che è bene per il Paese e ciò che potrebbe aiutarlo a evitare un periodo di carcere.

La minaccia iraniana alla stabilità regionale, ad esempio, accomuna Israele e la maggior parte dei Paesi del Medio Oriente. Tuttavia, c’è di nuovo il pericolo che un governo di destra radicale guidato da Netanyahu finisca per imbarcarsi in un’operazione militare contro l’Iran, la cui natura e tempistica imperfetta potrebbero rischiare una guerra totale per un misto di ragioni ideologiche e personali e non necessariamente per scopi operativi e strategici a lungo termine. Questo persistente sospetto sulle vere motivazioni di un governo israeliano contaminato dall’ideologia estremista è snervante per l’intera regione, e rimarrà tale finché Netanyahu sarà al potere.

Yossi Mekelberg è professore di relazioni internazionali e socio del Programma MENA di Chatham House. Collabora regolarmente con i media cartacei ed elettronici internazionali. Twitter: @Ymekelberg

https://www.arabnews.com/node/2200206

Traduzione a cura di AssoPacePalestina

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