di Raja Abdulrahim,
The New York Times, 22 ottobre 2022.
La Corte Suprema di Israele ha ordinato l’allontanamento di circa 1.200 palestinesi dai loro villaggi nella Cisgiordania occupata, dove cercano di resistere agli sforzi israeliani per sfollarli. L’ONU dice che questo potrebbe configurarsi come un crimine di guerra.
KHIRBET AL-FAKHEIT, Cisgiordania – Di fronte all’espulsione dai loro villaggi e alla demolizione delle loro case da parte delle autorità israeliane, centinaia di palestinesi stanno cercando di rimanere sul posto tornando a una forma più antica di alloggio: vivere in grotte sotterranee.
“Non abbiamo una casa in cui vivere e nemmeno una tenda; non abbiamo altra scelta che vivere nella grotta”, ha detto Wadha Ayoub Abu Sabha, 65 anni, residente del villaggio di Khirbet al-Fakheit, in un’area rurale della Cisgiordania occupata da Israele che l’esercito sta pianificando di confiscare. “L’inizio della mia vita è stato in una grotta e la fine della mia vita sarà in una grotta.”
“I residenti del villaggio di Abu Sabha e delle comunità di pastori circostanti, i cui antenati hanno vissuto a lungo nelle grotte che punteggiano l’area, stanno combattendo contro i tentativi di sfollamento dalle case in cui le loro famiglie hanno vissuto per decenni. Alcuni hanno atti di proprietà sulla loro terra risalenti a prima della creazione dell’attuale Israele nel 1948.
Ma, a maggio, la Corte Suprema israeliana ha approvato l’espulsione di circa 1.200 Palestinesi dai villaggi, in modo che l’esercito israeliano possa utilizzare la terra per un campo di addestramento militare a fuoco vivo. Questo potrebbe essere l’inizio di una delle più grandi espulsioni di palestinesi dal 1967, una cosa che secondo l’ONU potrebbe configurarsi come un crimine di guerra.
I residenti nei villaggi sparsi sulle dolci colline dell’area conosciuta come Masafer Yatta aspettano con ansia di vedere cosa succederà, e intanto preparano le loro grotte.
Israele sostiene che i Palestinesi che vivevano lì non erano residenti permanenti e che quindi ha il diritto di dichiarare l’area una zona militare chiusa. Le autorità israeliane hanno da tempo demolito case e altre strutture nell’area, citando violazioni come la mancanza di permessi di costruzione, che il governo israeliano concede raramente ai palestinesi. I residenti hanno sempre ricostruito.
Ma dopo la terza volta che la casa di Abu Sabha è stata demolita, la sua famiglia si è trasferita temporaneamente in una clinica inutilizzata e ha iniziato a preparare una grotta sotto il villaggio per viverci stabilmente.
L’accesso alla grotta avviene attraverso un recinto dove la famiglia tiene le pecore, scendendo per scivolosi gradini di pietra resi lisci dal passare del tempo e dei piedi.
La cugina di Abu Sabha, Inshiraah Ahmad Abu Sabha, 58 anni, è entrata nella grotta di recente, apparentemente ottimista, come se stesse recitando la parte dell’arredatrice in un reality show di ristrutturazione d’interni.
“Ci vorrà ancora molto lavoro”, ha detto, accennando alle pareti di pietra e suggerendo l’aggiunta di una fila di scaffali. Guardando il soffitto basso e pieno di ragnatele, da cui pende una lampada elettrica, ha detto: “Lassù ci vuole una presa d’aria”.
Seduta su un masso e indossando una tunica viola e una kefiah rossa e bianca come hijab, la cugina ha indicato una nicchia, la più piccola delle tre aree della grotta.
“Quella sarà una stanza per Zainab”, ha detto, rivolgendosi alla nipotina di 3 anni di Abu Sabha, che stava giocando sul pavimento di terra battuta. “Cosa ne pensi, Zainab? Una stanza per te?”
Ahmad Abu Sabha ricorda l’aspetto delle grotte durante la sua adolescenza, quando la sua famiglia vi ha vissuto per l’ultima volta. Negli anni ’80, i residenti si sono trasferiti in superficie, prima erigendo delle tende e poi, negli anni 2000, costruendo delle case.
“Dicono che non eravamo qui prima degli anni ’80, ma io sono nata qui nel 1964, in un’altra grotta”, ha detto.
All’inizio degli anni ’80, l’esercito israeliano ha dichiarato gran parte di Masafer Yatta zona di tiro vincolata, affermando che aveva caratteristiche uniche che nessun’altra area aveva, secondo una decisione del tribunale a favore dell’esercito. Israele sostiene da sempre che i palestinesi della zona non erano residenti permanenti prima della dichiarazione dell’area di tiro.
Oltre alle demolizioni, Israele ha adottato quelle che le Nazioni Unite chiamano “misure coercitive” per rendere la vita difficile ai palestinesi dell’area, confiscando veicoli, limitando l’accesso delle organizzazioni di assistenza e istituendo tra i villaggi posti di blocco che possono rendere difficile ai bambini e agli insegnanti raggiungere le scuole, hanno detto i leader locali e i gruppi di aiuto.
“Il trasferimento forzato è contrario alle Convenzioni di Ginevra, e trasferimento non significa sempre ammucchiare le persone nei camion e portarle via”, ha detto Noa Sattath, direttrice esecutiva dell’Associazione per i Diritti Civili in Israele. “Un lento e progressivo maltrattamento della popolazione per spingerla ad andarsene è considerato ugualmente un trasferimento forzato.”
“L’Autorità Palestinese ha affermato che lo sfratto dei residenti dell’area equivarrebbe a una pulizia etnica, un’accusa spesso mossa dai palestinesi e dai loro sostenitori nella Cisgiordania occupata, compresa Gerusalemme Est, in quanto le leggi sulla terra e sull’edilizia li spingono ad andarsene lasciando spazio ai coloni e agli insediamenti ebraici”.
Due anni fa, i leader della comunità decisero che le grotte potevano essere l’unica opzione per gli abitanti del villaggio di rimanere a Masafer Yatta. Anche se sarebbero rimasti ancora a rischio di espulsione, sarebbe stato più difficile per l’esercito israeliano rimuoverli.
Il lavoro di ristrutturazione delle grotte è stato lento e costoso per la maggior parte delle famiglie. Molte grotte non hanno accesso all’elettricità o a spazi con prese d’aria per cucinare. I gruppi di aiuto hanno dato il loro contributo, gettando cemento sulla terra battuta, rivestendo le pareti e dividendo le grotte in più stanze.
Gli abitanti del villaggio sostengono che Masafer Yatta è terra palestinese, una rivendicazione che, secondo loro, è supportata da atti di proprietà che alcuni residenti hanno e che risalgono a prima della creazione dello Stato di Israele nel 1948.
Gli avvocati dei residenti hanno presentato ai tribunali israeliani delle immagini aeree che, secondo loro, mostrano un insediamento continuo nei villaggi negli ultimi 45 anni, comprese le tracce dei veicoli che conducevano alle grotte.
Ma il Ministero della Difesa israeliano ha affermato che le immagini non dimostrano che i palestinesi stavano lì in modo permanente prima del 1980, e ha sostenuto che vivevano nell’area solo stagionalmente. Il tribunale è stato d’accordo.
“Nel corso degli anni, l’ordine di chiusura è stato violato dai Palestinesi, che hanno iniziato a costruire illegalmente nell’area”, ha detto l’esercito israeliano in risposta alle domande inviate dal New York Times. “Il tribunale ha stabilito che i firmatari hanno agito in malafede e hanno costruito illegalmente nell’area mentre era stato emesso un ordine provvisorio, e hanno respinto qualsiasi tentativo di compromesso offerto loro.”
Il Ministero della Difesa ha affermato che dichiarare l’area una zona di tiro è coerente con il diritto internazionale che regola l’occupazione militare.
Tuttavia, il coordinatore umanitario delle Nazioni Unite, Samer Abdel Jaber, ha affermato durante una visita a Masafer Yatta a maggio che “in quanto potenza occupante, la responsabilità delle autorità israeliane è di proteggere i civili palestinesi”.
“Ha aggiunto: “Costringere 13 comunità ad andarsene per fare spazio agli addestramenti militari è in contraddizione con questo imperativo, ed è semplicemente disumano e illegale”.
Il governo degli Stati Uniti sta osservando da vicino gli sviluppi a Masafer Yatta, secondo l’Ufficio degli Stati Uniti per gli Affari Palestinesi, e ha espresso al governo israeliano le sue preoccupazioni sulle espulsioni di Palestinesi e sulle demolizioni delle loro case.
Secondo gli Accordi di Oslo, l’accordo di pace degli anni ’90 che avrebbe dovuto aprire la strada alla creazione di uno Stato palestinese, due terzi della Cisgiordania sono sotto il controllo temporaneo di Israele. Israele avrebbe dovuto ritirarsi gradualmente dalla maggior parte di quell’area e trasferire il controllo ai Palestinesi.
Invece Israele ha mantenuto la sua occupazione militare e ha permesso, nell’area che controlla, la costruzione e l’espansione degli insediamenti, illegali secondo il diritto internazionale, spingendo fuori i palestinesi. I palestinesi affermano che questo rappresenta un’annessione strisciante della Cisgiordania.
“Questo è un chiaro piano per sloggiare persone dalla zona”, ha detto Jaber Ali Dababseh, in piedi sulle fondamenta di cemento su cui ha costruito e ricostruito la sua casa cinque volte nel villaggio di Khalet al-Dabe a Masafer Yatta. “Ma non ci lasceremo intimidire”.
Intorno alla sua casa c’era un piccolo frutteto di mandorli, albicocchi e ulivi. Jaber Dababseh, che vive facendo il piastrellista e ha cinque figli, ha detto che la sua famiglia ha documenti dell’epoca ottomana che dimostrano la sua proprietà della terra.
A luglio, l’esercito israeliano ha effettuato un addestramento militare con fuoco vivo ed esplosioni nella valle sottostante il frutteto di Dababseh.
Secondo B’Tselem, un gruppo israeliano per i diritti umani, durante le esercitazioni un grosso proiettile di una mitragliatrice pesante ha colpito il tetto di una casa mentre la famiglia era all’interno. L’associazione israeliana, che conduce la battaglia legale, ha chiesto al tribunale un’ingiunzione d’emergenza per fermare l’addestramento. La richiesta è stata respinta.
Gli avvocati dicono che, esaurite tutte le vie legali, sperano che le pressioni diplomatiche possano essere d’aiuto.
Ora i residenti del villaggio, anche se continuano a preparare le grotte per le loro abitazioni, tengono d’occhio le strade per vedere se si avvicinano i bulldozer.
“Se non facciamo le grotte, dove andremo a vivere?” ha detto Dababseh. “Una casa la possono demolire e una tenda la possono confiscare. Questi figli di puttana ci hanno riportato alle condizioni di vita dei nostri antenati”.
Raja Abdulrahim è corrispondente da Gerusalemme e si occupa di questioni palestinesi. @RajaAbdulrahim
https://www.nytimes.com/2022/10/22/world/middleeast/israel-palestinians-caves.html
Traduzione a cura di AssoPacePalestina