Maannews, 22 febbraio 2022.
Ho conosciuto Hussein Al Sheikh negli anni Ottanta, quando ci siamo incontrati in prigione. Stava scontando una pena di dieci anni e aveva assunto incarichi nella leadership di Fatah nelle prigioni. Il movimento lo aveva incaricato di negoziare con i guardiani delle prigioni israeliane per conto dei detenuti ed era in gran parte riuscito a evitare ai prigionieri molti dolori e molte sofferenze.
Durante la prima Intifada, i palestinesi chiedevano una cosa sola: la fine dell’occupazione. L’Intifada è stata vittoriosa, ma prima che le truppe israeliane lasciassero le aree palestinesi nel 1995, in particolare Gaza e Gerico, Israele ha iniziato futili negoziati con l’OLP sulla base di trucchi e giochi mentali con i palestinesi.
Il negoziatore israeliano ha detto al negoziatore palestinese: Di cosa avete bisogno da noi per aiutarvi a stabilire il vostro stato?
I palestinesi hanno fatto questo passo falso con completa ingenuità e hanno iniziato a chiedere a Israele di organizzare la loro vita quotidiana e hanno messo tutti i problemi causati dall’occupazione sul tavolo dei negoziati (acqua, elettricità, attraversamenti, rifiuti, spostamenti tra città, anagrafe, ambulanze e protezione civile…), la lista è infinita viste le necessità quotidiane di cui ogni popolazione del mondo ha bisogno.
I palestinesi che hanno fatto la prima Intifada volevano solo la fine dell’occupazione, ma Israele ha fuorviato i negoziatori palestinesi con il trucco della “creazione di bisogni” e i palestinesi hanno abboccato, facendo la spunta alla lista dei loro bisogni e chiedendo all’occupazione di aiutarli: un errore imperdonabile.
La verità è che l’unica cosa di cui i palestinesi hanno bisogno da parte dell’occupazione è che essa se ne vada dalla loro terra e dalla loro vita.
Israele ha creato questa illusione nelle nostre menti al punto che le persone semplici ora credono che non possiamo vivere senza coordinarci con l’occupazione per gestire le nostre vite. I politici di alto livello in cima alla piramide politica credono persino che abbiamo bisogno dell’occupazione e che ci serva per aiutarci a gestire ogni parte della nostra giornata. A poco a poco, questa malsana convinzione è diventata un ritornello, ripetuto in ogni conversazione politica, ufficiale o popolare: siamo costretti a chiedere alle autorità israeliane visite e cure mediche, importazioni e cibo, polli, uova, patate e angurie!
Non c’è più nessuno che dice: non vogliamo niente da te; vattene da qui.
Chi afferma che i palestinesi hanno bisogno dei razzisti israeliani nella loro vita è politicamente fuori di testa e non si rende conto di essere caduto nella trappola dell’occupazione.
Ed ecco che siamo al punto in cui alcuni credono che un bambino palestinese, ancor prima di nascere, abbia bisogno per vivere del coordinamento civile con Israele. E questo è il senso della nostra sconfitta politica.
Se io fossi un negoziatore palestinese seduto di fronte a un funzionario israeliano che mi chiede di cosa ha bisogno il mio popolo che lui vuole aiutare, avrei solo una risposta: non abbiamo bisogno di niente da te e non avremo bisogno di niente da te nemmeno in futuro. Esci dalla nostra vita e basta.
E se questo funzionario israeliano rifiutasse la mia risposta, i negoziati finirebbero. Non ci sarebbe motivo di continuare.
Fratello Hussein Al Sheikh, Abu Jehad…
Ora siete sulla Via Dolorosa; la stampa israeliana vi sta facendo a pezzi e vi fa a pezzi ogni giorno con articoli che vogliono distruggere voi personalmente oltre all’autocoscienza del nostro popolo.
La stragrande maggioranza dei palestinesi non è favorevole a negoziati con l’occupazione e non si fida dei partiti sionisti. Giusto: hanno tutto il diritto di non fidarsi di un sistema di apartheid razzista.
Il Dott. Saeb Erekat era il mio amico ed ha sofferto per il razzismo dell’occupazione. Mi avrebbe spiegato nei minimi dettagli come Israele stava lavorando per distruggere intenzionalmente i negoziati e calunniare la leadership palestinese di fronte al suo popolo.
Non c’è famiglia che non voglia la riunificazione perché questo è un suo diritto; non c’è operaio che non voglia un lavoro onorevole e nessun paziente che non voglia cure.
Se l’AP fosse riuscita a costruire ospedali specializzati, nessun palestinese avrebbe mai chiesto di essere inviato per cure in Israele; e se l’AP avesse stabilito zone industriali, centinaia di migliaia di lavoratori non avrebbero chiesto permessi per lavorare all’interno di Israele. E se il primo negoziatore palestinese avesse lavorato soprattutto tenendo presenti gli obiettivi nazionali, non affogheremmo ora in tutti questi “bisogni” senza fine.
Il carico è pesante ma la direzione della bussola è chiara: l’intero progetto nazionale è in pericolo e le frustrazioni aumentano ogni giorno. Che Dio ci aiuti tutti.
Nota su HUSSEIN AL-SHEIKH
Hussein al-Sheikh, nato nel 1960 a Ramallah, è membro del Comitato Esecutivo dell’OLP dal febbraio 2022. È stato eletto nel Comitato Centrale di Fatah nell’agosto 2009.
Al-Sheikh è a capo dell’Autorità Generale per gli Affari Civili dell’Autorità palestinese dal 2007. In questa veste, è uno dei principali contatti con le autorità israeliane per quanto riguarda le questioni civili in Cisgiordania. Al-Sheikh è stato nel carcere israeliano per undici anni, tra il 1978 e il 1989. Mentre era in prigione ha imparato la lingua ebraica.
https://www.maannews.net/articles/2061279.html
Traduzione a cura di AssoPacePalestina
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