di Gideon Levy e Alex Levac,
Haaretz, 24 settembre 2021.
Gli attivisti che sono stati attaccati dai soldati israeliani nelle colline a sud di Hebron stavano portando acqua alla famiglia Hamamdi, a cui Israele nega tale risorsa. Di fronte alla proprietà degli Hamamdi ci sono i tubi dell’acqua e i cavi elettrici di un avamposto illegale di coloni.
L’acqua giallastra nella grande brocca di plastica serve per irrigare i raccolti. L’acqua limpida nelle bottiglie di plastica da un litro e mezzo è potabile. Ahmad Hamamdi, un contadino di 71 anni, mostra il misero sistema idrico della sua fattoria ben curata e quasi miracolosa. Su per la collina c’è il recinto mezzo distrutto che ha cercato di costruire per le sue 10 pecore. Di fronte alla piccola cabina in cui risiede ci sono le rovine di un’altra stanza che ha costruito. In mezzo ci sono sedili sdruciti rimossi da vecchie auto, insieme ad altre cianfrusaglie. La vista evoca un villaggio sulle montagne afgane. Ma non siamo a due ore da Kabul, siamo a due ore da Tel Aviv, di fronte all’avamposto di coloni non autorizzati chiamato Avigayil, che è ovviamente collegato alla rete idrica e alla rete elettrica, e a cui conduce una strada costruita illegalmente, qui nelle colline a sud di Hebron.
Umm al-Shukkhan ospita tre anziani: Ahmad Hamamdi, un uomo resistente e dalla schiena dritta con un apparecchio acustico; Halimi, sua moglie, 67 anni; e sua sorella, Zarifi, una donna disabile mentale, di 52 anni. Zarifi è uno spettacolo pietoso. Non emette un suono, il suo sguardo è per lo più fisso a terra, ogni tanto si stringe il viso tra le mani. Sua sorella e suo cognato si occupano di tutti i suoi bisogni: indossa una bella veste a righe pulita. I 12 figli di Ahmad e Halimi si sono tutti sposati e hanno lasciato la casa, e contro ogni previsione e malgrado la violenza delle autorità di occupazione e l’ostilità dei coloni locali, la coppia rimasta ha creato una splendida fattoria unifamiliare.
Ahmad aveva costruito un recinto attorno all’albero di pomelo, e quando le truppe dell’Amministrazione Civile del governo militare arrivarono per sradicarlo, due anni fa, implorò in nome dell’anima dell’albero, gridò haram (abbi pietà) e riuscì a fermare la mano del carnefice. Sono sopravvissute anche le piante di pomodoro, gombo e cetriolo, insieme ai cinque alveari e all’albero di limoni. Al posto dei 150 ulivi sradicati due anni fa, ne ha piantati subito alcune decine di nuovi, che ora stanno fiorendo. E tutto questo nella terra rocciosa del deserto, nel caldo dell’estate che finora ha rifiutato di placarsi.
Combatants for Peace, una ONG israelo-palestinese, ha scelto di venire qui venerdì scorso, non perché questo sia l’unico posto nelle colline a sud di Hebron che reclama acqua (non lo è), ma perché l’apartheid qui grida al cielo più forte che mai. Acqua illimitata e allacciamento alla rete elettrica per l’avamposto abusivo di Avigayil, che dispone anche di una grande piscina dove sguazzano i bambini, e di fronte c’è il recinto della famiglia Hamamdi, che si aggrappa alla terra dei genitori di Halimi, senza allacciamento all’acqua o all’elettricità.
Questo video di Combatants for Peace illustra la situazione dell’acqua in Palestina:
I Combatants for Peace volevano portare acqua a questa famiglia, ma il maggiore Maor Moshe, vice comandante di battaglione del Genio dell’esercito israeliano, non ha visto di buon occhio questo progetto. I suoi soldati hanno sparato su di loro granate stordenti e lacrimogeni, uno anche puntando direttamente su di loro, li hanno respinti con violenza e in un impeto di rabbia incredibile hanno ferito sei di loro e arrestato alcuni altri, in uno dei più brutti e ripugnanti spettacoli dell’IDF che si ricordino. Tutto ciò che è rimasto a terra dell’incidente di questa settimana sono alcune bottiglie di plastica e manette di plastica.
La famiglia Hamamdi vive qui da cinque anni, dopo essersi trasferita dal villaggio di Taban, che è più a ovest. Le colline a sud di Hebron si trovano completamente nell’Area C della Cisgiordania, in cui ai palestinesi non è permesso costruire nulla, e dove Israele ha dichiarato che quasi tutto era terra dello stato o zona di tiro, per meglio espellere i palestinesi.
Ahmad ci offre uva Argaman scura dalla vite sotto la quale siamo seduti: grande, carnosa, dolce come il miele. La scorsa settimana ha messo un telo di copertura sul recinto di pietra che aveva costruito, per creare ombra per le sue poche pecore, ma ben presto sono comparsi due soldati israeliani e gli hanno ordinato di rimuovere la copertura se voleva evitare l’arresto. A quanto pare i coloni di Avigayil avevano segnalato questa grave violazione della sicurezza. Il telo di copertura ora giace ripiegato, svergognato, in un angolo del portico improvvisato; Ahmad ha spostato le pecore presso uno dei suoi figli nella vicina città di Yatta fino a quando il caldo non sarà cessato. Le riporterà dopo la raccolta delle olive, in ottobre. La notte dopo che gli era stato detto di rimuovere la copertura, i coloni si sono presentati e hanno demolito parte delle pareti del recinto: le pietre ora giacciono sparse sul terreno.
Il gruppo Combatants for Peace ha comprato dell’acqua per lui e Ahmad ha trasportato il container con il suo trattore dal vicino villaggio di Tawani. Di solito, dopo aver portato un container, versa l’acqua nella cisterna e da lì la pompa in un recipiente rialzato da cui l’acqua scorre verso i suoi raccolti. È un piccolissimo lembo di terra, in cui ogni albero e ogni arbusto è straordinariamente ben coltivato, come gli orti urbani dei parchi israeliani.
L’accesso alla proprietà di Ahmad avviene tramite la strada asfaltata per Avigayil, costruita illegalmente dai coloni, e poi tramite un sentiero sterrato estremamente accidentato fino al complesso di Ahmad. Venerdì scorso, pochi metri prima del bivio per il sentiero sterrato, il maggiore israeliano ha fermato il trattore, ha aggredito Ahmad che lo guidava, e ha sequestrato le chiavi. Non riceverà l’acqua, questo è un ordine, nemmeno dopo che il deputato Mossi Raz (Meretz), che era presente, ha raggiunto un accordo con l’ufficiale in base al quale i manifestanti di Combatants for Peace si sarebbero ritirati e il contenitore dell’acqua avrebbe potuto continuare il suo tragitto. Subito dopo, però, i soldati hanno iniziato a sparare granate e poi il Magg. Moshe si è avventato su uno dei manifestanti, buttandolo a terra. Moshe è stato successivamente rimproverato. L’IDF ha dichiarato il giorno successivo che un’indagine, condotta dal Brig. generale Yaniv Alalouf, aveva rilevato che “l’esercito ha sbagliato quando ha deciso di usare mezzi di dispersione della folla del tipo stordente e gas contro i manifestanti, che erano decisi a compiere provocazioni. L’ufficiale che è stato filmato mentre spingeva un manifestante è stato rimproverato dai suoi superiori”.
Hamamdi paga 500 shekel (155 dollari) per 20 metri cubi d’acqua, che dura appena due settimane. Sono 1.000 shekel al mese per l’acqua, che ad Avigayil è quasi gratuita. “L’acqua è vita”, afferma Nasser Nawaj’ah, residente nel vicino villaggio di Susiya e ricercatore locale sul campo per l’organizzazione israeliana per i diritti umani B’Tselem. Nawaj’ah era presente anche quando i soldati hanno attaccato il gruppo Combatants for Peace. Nawaj’ah racconta di non sapere che il nuovo ufficiale, che presta servizio nella regione da alcuni mesi, si chiama Maor Moshe – i palestinesi pensavano che si chiamasse Itai, perché è così che si è presentato. C’erano già stati diversi incidenti violenti con lui, racconta Nawaj’ah, aggiungendo che “non mantiene la parola data”. In questa remota regione, dove ogni villaggio palestinese è circondato da alcuni avamposti fuorilegge e la battaglia è per la ripulitura dagli abitanti indigeni, ogni ufficiale è un re.
Agenti di polizia giunti sul posto hanno preso le chiavi del trattore dall’ufficiale e le hanno restituite ad Hamamdi, ma non gli hanno permesso di tornare a casa. È stato costretto a girare indietro, riportare l’acqua a Tawani e lasciarla lì. Ora ha molta paura di trasportare container a casa sua: dall’incidente in poi ha usato solo bottiglie di plastica. Lo scorso aprile, durante il Ramadan, la polizia ha sequestrato il suo furgone Toyota, che era mashtuba (un veicolo senza documenti) e ora ha un nuovo mashtuba, un traballante furgone Mitsubishi di cui Hamamdi dice: “Cammina a malapena”. Il trattore e il container sono ora dai suoi figli a Yatta, perché teme che qui verrebbero confiscati. Ora pensa di trovare una strada diversa per trasportare l’acqua, aggirando Avigayil con un percorso molto più lungo. Invece di un quarto d’ora, da Tawani ci vorrà un’ora, pur di aggirare ad ogni costo i suoi vicini di Avigayil.
Hamamdi riceve elettricità dai pannelli solari che gli sono stati dati dalla meravigliosa ONG Comet-ME, che fornisce tali pannelli alle remote comunità di pastori e ai villaggi che Israele non permette di allacciare alla rete. Finora quei pannelli non sono stati confiscati, come lo sono stati in molti altri luoghi.
Un magro gatto rossiccio si aggira affamato per il complesso. Il soggiorno della famiglia assomiglia a una cella di prigione particolarmente affollata: 13 metri quadrati, inclusa una mini-cucina. Questo è lo spazio in cui vivono tre adulti, nessuno dei quali giovane, una con bisogni speciali. Tre letti d’acciaio sono disposti a U intorno alla stanzetta, al centro della quale pende dal soffitto un sacco di pane fissato a un gancio con una corda. Alcuni pomodori verdi giacciono su un vassoio arrugginito. La stanza è oscura, il soffitto è di lamiera, la cucina è striminzita, anche i vestiti sono appesi alle pareti, non c’è nessun tipo di armadio. Una minuscola grotta un po’ più in basso rispetto a questa struttura contiene un pollaio e una colombaia. Un’altra stanza, chiusa, è utilizzata per le visite dei 12 figli della coppia e delle loro famiglie. Sono circondati su tre lati da Havat Maon, Avigayil e Mitzpeh Yair, tutti avamposti non autorizzati, con alcuni residenti violenti.
Il posto preferito di Ahmad è all’estremità del suo piccolo complesso. Lì, all’ombra di un giovane eucalipto, c’è una sedia di plastica grigia a tre gambe legata al tronco dell’albero. Al posto della quarta gamba mancante, Ahmad ha messo un mattone grigio. Qui siede solitario e silenzioso, guardando il paesaggio desertico che viene saccheggiato davanti ai suoi occhi.
Traduzione di Donato Cioli – AssoPacePalestina
.