Uno Stato, due popoli

di Vera Pegna,

Adista, 27 maggio 2021. 

Mentre scrivo, i Palestinesi uccisi durante gli 11 giorni di bombardamenti israeliani su Gaza hanno raggiunto finora la cifra di 248 e 1.948 sono i feriti; dalle macerie continuano a essere estratti corpi di persone disperse e il bilancio totale delle vittime continua a salire; 800mila persone non hanno accesso all’acqua pulita poiché quasi il 50% della rete idrica è stata danneggiata nei recenti combattimenti.

Questo è il bilancio provvisorio dell’ennesima immane tragedia inflitta ai Palestinesi dal governo israeliano. Indignarsi, denunciare, condannare non serve se non a confermare la propria impotenza o a giustificare il proprio disimpegno.

L’unica cosa che serve, anzi che urge, è cercare di configurare un futuro politico stabile che metta fine alla colonizzazione israeliana…  dia al popolo palestinese un obiettivo di vita per cui lottare. Per fare ciò è necessario partire dalla realtà sul terreno, questa.

L’intero territorio della Palestina storica, cioè Israele e la Cisgiordania cui si aggiunge Gaza, è governato dal punto di vista politico, militare e amministrativo da un’unica autorità, quella dello Stato di Israele, essendo limitata e di tipo amministrativo l’autonomia di cui godono i Palestinesi. Ne discende che l’intera Palestina è oggi de facto un unico Stato in cui i due gruppi maggiori, quello palestinese e quello israeliano, vivono sotto regimi politici diversi mentre un terzo gruppo, i Palestinesi d’Israele (chiamati arabi israeliani, cristiani, drusi, sì da confondere la loro comune identità nazionale) vengono legalmente discriminati dalla legge dello Stato-Nazione che esclude i Palestinesi israeliani dalla piena cittadinanza, riservata solo agli Ebrei.

Su questa realtà e sul futuro politico delle popolazioni presenti, da parte israeliana e occidentale il silenzio è totale mentre Israele continua, passo dopo passo, ad annettere quel che resta della Cisgiordania per portare a compimento il progetto sionista di uno Stato ebraico sull’intera Palestina storica, espellendone quanti più abitanti possibile. Da parte palestinese, la cui dirigenza è uscita più delegittimata che mai dall’ultima aggressione israeliana a Gaza, si continua a sostenere la tesi “due popoli due Stati”, pur sapendo che non ci sono i presupposti minimi per costituire uno Stato sovrano; chi sostiene questa proposta lo fa o perché è privo di un’alternativa o perché ritiene che i Palestinesi devono accontentarsi di vivere su un territorio di ben meno del 20% della Palestina, frammentato dagli insediamenti di 700.000 coloni israeliani e sotto la totale dipendenza di Israele per l’energia elettrica, la telefonia mobile, l’accesso alle falde acquifere e ad altre risorse essenziali. Lo sa perfettamente l’Autorità Nazionale Palestinese e lo sanno i Paesi europei, l’UE e gli Stati Uniti il cui presidente Biden ieri, 21 maggio, ha dichiarato che «la soluzione “due popoli due Stati” è l’unica risposta possibile alla situazione attuale»: una risposta che sa di turlupinatura sia del popolo palestinese, sia dell’opinione pubblica informata e che serve a dare ad Israele il tempo di appropriarsi impunemente dell’intero territorio palestinese. La nostra classe politica annuisce ed esprime la propria solidarietà allo Stato ebraico recandosi non, si badi bene, all’ambasciata israeliana, bensì alla sinagoga, avallando quindi l’aggressione israeliana in atto e sostenendo l’amalgama fra ebreo e israeliano, caro ai sionisti poiché permette loro di parlare a nome di tutti gli ebrei del mondo.

Insomma lo Stato del mondo che più ha violato il diritto internazionale e il diritto umanitario, che ha commesso e continua a commettere crimini gravissimi a danno di un popolo che opprime da 70 anni, trova il sostegno –e quindi la garanzia della propria impunità– da parte di Paesi fin qui riconosciuti come i campioni del diritto internazionale e di quella democrazia che, per giunta, vogliono esportare. Come mai si è arrivati a tanto? All’inizio del secolo scorso, i governi europei diedero il loro appoggio al progetto di uno Stato ebraico in Palestina, presentato loro come un «baluardo di civiltà contro la barbarie», poiché comportava due vantaggi: avere in Medio Oriente un cuneo europeo utile a dividere i Paesi arabi sì da assicurare la difesa degli interessi europei e, favorendo l’emigrazione dei loro Ebrei, risolvere finalmente la sempre presente questione ebraica. Per i sionisti, invece, l’adesione al loro progetto da parte dei governi europei significava avere sia mano libera nella loro impresa coloniale, sia l’appoggio necessario sul piano militare, diplomatico e della propaganda. Seguirono gli eventi che conosciamo; la colonizzazione d’insediamento, la spartizione della Palestina, la proclamazione unilaterale dello Stato d’Israele, le conquiste territoriali, gli insediamenti, le annessioni; ogni tappa raggiunta con efferatezza per cacciare quanti più Palestinesi possibile, con la violenza della menzogna, del sopruso, delle armi più sofisticate della cui efficacia Israele è garante, avendole ormai sperimentate su Gaza. Grazie a un formidabile apparato di propaganda, finanziato con prodigalità e incaricato di curare l’immagine di Israele e del suo “esercito più umano del mondo”, e grazie alla cassa di risonanza dei nostri media, ci viene spiegato che i colpevoli sono sempre gli altri, che Israele è sempre la vittima e che l’antisionismo è una forma di antisemitismo. E con ciò l’impunità di Israele è assicurata.

La pubblicistica sulle fabbriche del falso ha chiarito i meccanismi di una guerra continua e sistematica contro la verità. La Palestina è avvolta, dilaniata, sconvolta dalle nebbie oscure della strategia della menzogna della politica contemporanea, sempre più raffinate e scientifiche.

Tuttavia, mentre sul terreno la colonizzazione va avanti e su Gaza piovono le bombe, i Palestinesi di Israele e quelli della Cisgiordania scendono per le strade e Hamas, con la sua azione militare, esce vincitore dall’ultimo attacco israeliano e si presenta come l’unico difensore dell’intero popolo palestinese.

Con quale futuro?

Preso atto che lo Stato unico esiste nei fatti poiché Palestinesi e Israeliani vivono su un unico territorio (Israele non ha mai fissato le sue frontiere) e sono governati da un unico governo, piaccia o no ai difensori dello “Stato ebraico” e della sua “sicurezza”, è la composizione delle due popolazioni e il loro andamento demografico che sta delineando il futuro, indipendentemente dalle turlupinature dei potenti e dai tatticismi delle organizzazioni palestinesi.

Succede perché attualmente il popolo israeliano è costituito da un 20% di Ebrei di varie origini europee e americane (l’establishment), da un 50% di Ebrei di origine mediorientale, cioè arabi e sefarditi fuggiti dalla Spagna durante l’Inquisizione (fra questi i miei avi) e da un 20% di Palestinesi con cittadinanza israeliana. Se a costoro aggiungiamo i 5 milioni di Palestinesi della Cisgiordania e di Gaza –il cui incremento demografico attuale è del 3,04% contro quello dell’1,06% degli Israeliani– constatiamo che la popolazione attuale dell’intero territorio è araba all’80%.

Qui sta il vero problema la cui soluzione inaggirabile, cioè un unico Stato per i due popoli, quello israeliano e quello palestinese, scardinerebbe i malefici equilibri geopolitici mettendo a repentaglio gli interessi occidentali e segnerebbe la fine dello Stato ebraico, ovvero del cuneo europeo nel Medio Oriente arabo. Ciò spiega il silenzio dei potenti. Un’utopia? Diversamente dalla storia dell’Europa, quella del Levante ci racconta della convivenza pacifica fra popoli e fedeli di varie provenienze: un messaggio di umanità e di speranza per i popoli in marcia per la loro liberazione.  

Vera Pegna è scrittrice, traduttrice e attivista politica impegnata nella lotta alla mafia e per la causa del popolo palestinese. Il suo ultimo libro: Autobiografia del Novecento. Storia di una donna che ha attraversato la Storia, Il Saggiatore, 2018.

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 21 del 05/06/2021

https://www.adista.it/articolo/65580

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