di: Jonathan Shamir e Nicolas Rouger,
Haaretz, 23 febbraio 2021.
L’attivista Sami Huraini, 23 anni, è uno dei coordinatori di un gruppo giovanile della Cisgiordania impegnato in manifestazioni settimanali. La sua storia familiare di proteste non violente ha prodotto alcune improbabili vittorie
Lo studente di legge palestinese Sami Huraini si reca ogni venerdì alla stazione di polizia di Kiryat Arba. Le condizioni di libertà provvisoria del 23enne attivista stabiliscono che deve comparire lì ogni settimana, nell’insediamento israeliano adiacente a Hebron, dalle 8:30 del mattino fino alle 15:00.
Di solito, in quelle ore, Huraini avrebbe partecipato alla dimostrazione settimanale dopo la preghiera nel –o vicino al– suo villaggio di At-Tuwani in Cisgiordania, per protestare contro l’occupazione e contro una recrudescenza nelle demolizioni di case da parte delle autorità militari israeliane in questa zona desertica delle Colline a sud di Hebron.
“Mi vogliono spaventare affinché non partecipi a manifestazioni di qualsiasi tipo, e vogliono usarmi come esempio per spaventare altri attivisti”, dice Huraini a proposito delle condizioni del suo rilascio su cauzione, condizioni che dureranno almeno fino alla sua prossima udienza in tribunale il 1 marzo.
Se viene scoperto a partecipare a una protesta, perderà la sua cauzione di 10.000 shekel (circa $ 3.000), equivalenti a due mesi e mezzo dello stipendio di suo padre. “Anche se sto camminando per strada e c’è una protesta, potrebbero arrestarmi”, dice Huraini. Se un tribunale militare israeliano ha motivo di credere che Huraini abbia contribuito a organizzare una protesta, dovrà anche consegnare altri 30.000 shekel (che suo padre e altri attivisti hanno promesso a garanzia). “Non è facile”, ha detto Huraini ad Haaretz in un’intervista telefonica dopo il suo rilascio. “Ma non voglio smettere.”
Come coordinatore di Youth of Sumud, un collettivo di 30 giovani attivisti di At-Tuwani e dei villaggi vicini, Huraini è una delle figure centrali nei tentativi locali di contrastare quella che vedono come una crescente pressione dell’occupazione israeliana, anche allo scopo di stimolare la gente del posto a rimanere nelle loro terre nonostante la stretta in atto.
Huraini è accusato di aver disturbato la pace, aver aggredito un soldato israeliano e aver violato un ordine di chiusura di zona militare durante una manifestazione non autorizzata l’8 gennaio, nei pressi del vicino villaggio di Al-Rakeez. Secondo un rapporto dell’Associazione per i Diritti Civili in Israele, la più antica organizzazione per i diritti umani del paese, l’imposizione di zone militari chiuse è usata quasi esclusivamente come “strumento per reprimere la protesta in Cisgiordania”. Anche Huraini vede la motivazione come una “scusa”. In quell’occasione, 200 attivisti palestinesi, israeliani e internazionali stavano protestando contro l’uccisione, avvenuta la settimana precedente, di Harun Abu Aram, 24 anni, da parte dei soldati israeliani.
Quindici soldati israeliani arrivarono a casa di Huraini la notte stessa, ci racconta. “Hai un coltello?” ricorda che chiedevano. “Mi tiri fuori dal letto e mi chiedi se ho un coltello?” ha risposto lui. Bendato e ammanettato, è stato portato da una base militare all’altra finché, alle 4 del mattino, è stato condotto alla stazione di polizia di Kiryat Arba per l’interrogatorio. Alle 9 del mattino, è stato scortato al carcere di Gush Etzion, dove è rimasto per sei giorni mentre la data della sua udienza in tribunale veniva continuamente posticipata.
Nonostante la sua età, questa non è la prima volta che Huraini si è scontrato con le autorità israeliane. In effetti, proprio come suo padre Hafez e sua nonna Fatima prima di lui, sa che può aspettarsi che tale trattamento continui fintanto che lui continuerà a protestare.
Cresciuto nell’attivismo
Poco più di 300 persone vivono ad At-Tuwani, un piccolo gruppo di case di cemento che abbracciano una collina rocciosa a sud di Hebron. Ma la scuola, la clinica e la moschea ne hanno fatto una sorta di centro per le piccole comunità che punteggiano le colline intorno. Gli Huraini vi si trasferirono nel 1948 dai dintorni della città di Arad, circa 20 chilometri a sud in linea d’aria e dall’altra parte della linea dell’armistizio che segna i confini di Israele riconosciuti a livello internazionale. Fuggendo dai conflitti della Guerra d’Indipendenza, acquistarono terreni da persone della vicina città di Yatta e continuarono come avevano sempre fatto: lavorando in agricoltura e pastorizia.
Le cose cambiarono completamente nel 1981. L’esercito israeliano costruì l’avamposto di Ma’on, a due passi da At-Tuwani, per un gruppo del Nahal, un’unità dell’esercito israeliano che combinava il servizio militare con l’agricoltura, e un anno dopo Ma’on divenne un insediamento. Nel 2001, i coloni radicali costruirono un’espansione non riconosciuta, chiamata Havat Ma’on, più vicina ad At-Tuwani.
Negli ultimi 30 anni, ad At-Tuwani è stato concesso di espandersi pochissimo e ora il vicino e ben curato insediamento, con i suoi quasi 600 abitanti, lo fa sembrare minuscolo. È stato appena costruito un nuovo quartiere israeliano, affacciato sulle piantagioni di ciliegi che scendono dolcemente nella piccola valle tra le due colline. “Quella era la terra della mia famiglia”, dice Sami Huraini.
Fatima Huraini, la nonna di Sami, ha superato gli ottant’anni. Anche quando l’insediamento era agli inizi, la violenza era già una sua caratteristica. Lei è stata spesso aggredita dai coloni mentre pascolava le sue pecore. In un’occasione è stata anche picchiata dall’esercito e ha perso l’udito, dice Sameeha Huraini, la sorella minore di Sami. Eppure è rimasta sul posto, a dimostrazione di ciò che i Palestinesi chiamano sumud (“fermezza” in arabo), un concetto centrale nella storia locale dell’attivismo. Suo figlio Hafez, ora sulla cinquantina, divenne anche un importante attivista della resistenza popolare in Cisgiordania, e in particolare nelle colline meridionali di Hebron. Ha anche affrontato incursioni notturne e arresti, racconta Sameeha.
“Sono cresciuto in questo contesto, sono stato allevato su quei principi”, dice Sami Huraini. “Mi ha insegnato ad avere fede e ad impegnarmi nella nonviolenza come un modo efficace e potente per raggiungere la pace e la giustizia”. Nel 2017, i giovani Huraini e alcuni dei loro amici hanno fondato Youth of Sumud. Praticano “la resistenza popolare pacifica come scelta strategica per porre fine all’occupazione israeliana”, spiega Sami, sebbene il loro obiettivo immediato sia più concreto: “L’IDF usa la violenza come scusa per demolire le case. Noi pratichiamo un’azione diretta per distruggere il loro piano per portarci via la terra”, ci dice.
Il piccolo movimento di attivisti si è formato al Sumud Freedom Camp, durante il quale attivisti palestinesi, israeliani e internazionali hanno occupato delle grotte nel vicino villaggio di Sarura, nel tentativo di riportarvi gli occupanti originali che erano stati cacciati per i continui attacchi dei coloni.
Le grotte sono ancora una cosa importante, ma Youth of Sumud ora si impegna anche in altre attività, tra cui documentare la violenza dei coloni e le demolizioni dell’esercito, fornire una presenza protettiva durante i percorsi casa-scuola e durante la stagione del raccolto, oltre ad ospitare seminari e conferenze sulla teoria e la pratica non violenta.
Secondo il gruppo israeliano per i diritti umani B’Tselem, le Colline a sud di Hebron sono di particolare interesse strategico per Israele perché sono scarsamente popolate e vi è contiguità territoriale con il Negev direttamente a sud. Sono anche un luogo del cuore biblico, un luogo dove i devoti coloni ebrei potrebbero provare un rinvigorente senso di appartenenza. Haaretz ha contattato il Consiglio regionale di Har Hebron, sotto la cui giurisdizione ricade Ma’on, oltre ad altre persone della comunità, al fine di comprendere meglio queste motivazioni. Ma non hanno accettato di rispondere alle domande.
Il clima desertico della zona fa sì che vi siano enclave palestinesi sparse, che spesso variano con le stagioni o le condizioni atmosferiche. Nel corso del tempo, ciò ha reso le comunità sempre più isolate, soprattutto perché vedono il loro sviluppo limitato dalla mancanza di infrastrutture essenziali, dall’impossibilità di ottenere permessi di costruzione e dalle continue molestie che dicono di subire sia da parte dei civili israeliani che dei militari.
Eppure Michael Carpenter, ricercatore presso l’Università canadese di Victoria, specializzato in resistenza civile, afferma che i residenti di At-Tuwani possono raccontare alcune “piccole vittorie”. Ad esempio, è uno dei pochi villaggi palestinesi con un “piano edilizio” approvato da Israele, che consente ai locali di costruire sulla loro terra; sono riusciti ad allacciarsi alla rete idrica, cosa altrettanto insolita; e nel 2006, dopo che lo Stato di Israele aveva costruito un muro alto un metro lungo la strada 317, tagliando le colline meridionali di Hebron da altre parti della Cisgiordania, i villaggi locali si sono uniti e hanno iniziato a manifestare su base settimanale per due anni, finché quel tratto di barriera è stato infine rimosso.
A differenza di altre forme di resistenza, “le proteste ripetute offrono uno spazio per l’attivismo politico … e hanno il vantaggio di costruire sostegno a livello locale e transnazionale, il che è cruciale”, dice Carpenter. “I soldati e i comandanti israeliani hanno detto che le videocamere dei manifestanti sono la loro kryptonite”, aggiunge, riferendosi alla documentazione delle proteste non violente.
Carpenter sottolinea anche le circostanze uniche delle proteste nell’Area C, la parte della Cisgiordania sotto il pieno controllo israeliano: “Dove c’è l’Autorità Palestinese, la resistenza popolare non c’è”, dice Carpenter. “La polizia palestinese, ma anche le infrastrutture palestinesi, agiscono come fattori pacificanti”.
Il prezzo della nonviolenza
La prigione di Gush Etzion è “particolarmente brutta”, ha detto ad Haaretz l’attivista locale Basil Adra mentre Huraini vi era detenuto. Dopo il suo rilascio, Huraini concorda. Gli è stato dato il permesso di parlare con la sua famiglia solo una volta durante i suoi sei giorni di detenzione. Ma fuori c’era sostegno per lui. Mentre il suo appuntamento in tribunale continuava a essere procrastinato, i suoi sostenitori palestinesi e israeliani hanno manifestato ogni giorno fuori dalla prigione.
La casa della famiglia Huraini ad At-Tuwani, nelle colline meridionali di Hebron. La famiglia ha acquistato il terreno nel 1948 mentre fuggiva dalla guerra che imperversava intorno ad Arad. Jonathan Shamir
Per spiegare l’arresto e l’incriminazione di Huraini, le forze di difesa israeliane hanno detto ad Haaretz che il giovane “ha preso parte a una protesta durante la quale ha usato violenza contro i soldati e ha incoraggiato altri manifestanti a fare lo stesso senza ascoltare gli ordini dei soldati. L’IDF [esercito israeliano] prende sul serio qualsiasi caso di violenza contro i suoi soldati e agirà per punire coloro che usano tale violenza”.
A parte le testimonianze delle forze di sicurezza, l’accusa non ha fornito prove che Huraini abbia compiuto gli atti violenti per i quali era stato incriminato. Si può vedere chiaramente che i soldati israeliani indossavano microcamere personali durante l’incidente dell’8 gennaio, ma non è stato reso disponibile alcun filmato, come spesso accade. Quando Haaretz ha chiesto specificamente di questo, l’esercito israeliano ha scelto di non rispondere.
Oltre ai filmati della manifestazione, anche secondo diversi testimoni oculari la protesta è stata largamente pacifica. “Abbiamo protestato pacificamente con attivisti internazionali e israeliani, cantando, suonando tamburi e sventolando bandiere”, ha detto l’attivista Basil Adra.
Cinque Israeliani che hanno partecipato alla manifestazione hanno persino presentato un affidavit [dichiarazione giurata] per l’udienza in tribunale di Huraini. Riguardo all’accusa secondo cui Huraini avrebbe violato l’ordine di chiusura di una zona militare, gli attivisti Oriel Eisner e Renana Na’aman, che hanno anche testimoniato alla polizia, hanno detto che nessun ordine di chiusura militare è stato presentato ai manifestanti.
Anche un’altra attivista presente, Karen Isaacs, si è sentita in dovere di presentare un affidavit. “Il divario tra le accuse e la realtà in questo caso mi sembrava così enorme che ho voluto fare la mia parte in quanto ero presente e vicino a Sami durante la dimostrazione”, ha spiegato. “L’avrei visto se avesse aggredito qualcuno, e di certo non l’ha fatto”, ha detto.
L’avvocatessa di Huraini, Gaby Lasky, ha detto che il fatto che l’esercito avesse arrestato il suo cliente, “presentando contro di lui un atto d’accusa per aver attaccato i soldati nonostante le numerose testimonianze di Israeliani che erano con lui sulla scena, indica il tentativo delle autorità di polizia nei Territori non solo di mettere a tacere le proteste e le critiche contro l’uccisione illegale [di Harun Abu Aram], ma anche di danneggiare gravemente la qualità della vita degli abitanti dei villaggi”.
La tentazione di andarsene
La tentazione di lasciare At-Tuwani per la gente del posto è enorme. Huraini, ad esempio, impiega più di 90 minuti per raggiungere l’Università di Hebron anche se da Ma’on è una corsa di 30 minuti sull’autobus per soli coloni.
Durante una visita al villaggio lo scorso novembre, Haaretz si è unito a Huraini in una delle attività regolari di Youth of Sumud: accompagnare a casa gli scolari del vicino villaggio di Tuba. Il percorso di mezz’ora passa per Ma’on e dal 2004 l’IDF fornisce una scorta armata per prevenire gli attacchi dei coloni. Quando l’IDF non si presenta, gli attivisti devono scortare loro i bambini, con un rischio considerevole. In tempi normali, gli attivisti internazionali spesso si uniscono a loro, ma questo non è possibile durante la pandemia.
Dopo aver aspettato quasi un’ora, abbiamo visto un furgone blindato bianco dell’IDF che alla fine si è diretto su per la collina. I soldati non sono scesi e il piccolo gruppo di scolari ha iniziato a camminare. Una delle ragazze, Shuruq, che indossava un velo bianco, camminava vivacemente in testa al gruppo. Un anno prima era stata colpita alla testa con un sasso ed era dovuta andare in ospedale. “Molti di loro abbandonano la scuola”, ci ha detto Huraini.
Anche Lo stesso Huraini è stato attaccato da coloni a bordo di un fuoristrada. Ci mostra il filmato dell’incidente, ma è sfocato. Riavvolge e ci fa guardare di nuovo, come se non volessimo credergli. Sebbene abbia presentato una denuncia e abbia affermato di poter identificare gli aggressori, dice che la polizia non lo ha mai contattato.
Mentre tornavamo per lo stesso sentiero, è passato un pick-up bianco. All’interno, un uomo calvo che indossava occhiali da sole ci ha fimato con una telecamera. Un mese dopo, Huraini è stato convocato alla stazione di polizia di Kiryat Arba e interrogato. Aveva violato il territorio di Ma’on “con quattro amici”, gli disse un ufficiale, e c’erano prove video. A quanto pare erano interessati solo a lui, non a quelli che lo accompagnavano.
Disse loro che se era entrato in Havat Ma’on, era stato per errore. Tuttavia, la sua avvocatessa per questo caso particolare, Riham Nassra della ‘Gaby Lasky & Partners’, ha poi chiarito: “Non esiste una cosa come la ‘violazione accidentale’, la violazione deve avere un elemento di intenzionalità … quindi non c’erano quasi certamente accuse legittime contro lui.”
Ha continuato: “Sebbene la polizia non sia obbligata a mostrare le prove, è ragionevole presumere che non abbiano nulla su di lui”.
A Huraini non sono mai state mostrate le prove, ma gli è stato detto che doveva pagare 500 shekel o andare in prigione. Aveva solo 100 shekel con sé e aveva un esame il giorno successivo. I funzionari hanno preso i soldi e lo hanno lasciato andare, ci dice, e non gli è stata data alcuna forma di ricevuta. Senza documentazione, Huraini non potrà reclamare i soldi indietro, come dovrebbe poter fare dopo 180 giorni. Per quanto riguarda l’apparente contrattazione, questo non è “kosher”, ha detto ad Haaretz una fonte della polizia. “È la polizia, non è il Carmel Market”, ha aggiunto la fonte.
Nel 2020, Youth of Sumud ha piantato alcuni ulivi proprio accanto a una foresta piantata dal Fondo Nazionale Ebraico tra Ma’on e At-Tuwani. L’obiettivo, ha detto Huraini, era cercare di arginare fisicamente la potenziale invasione dell’insediamento, dando ai giovani un rinnovato senso di proprietà sulla terra. Poche settimane dopo, quando gli alberelli sono usciti dal terreno, sono stati sradicati, e non era la prima volta che succedeva un atto simile. Chi l’aveva fatto? “I coloni – chi altri?” si è stretto nelle spalle Huraini.
Tuttavia, le sue radici in questa terra rimangono più salde che mai. “Vogliamo una vita normale nel nostro villaggio, per vivere dignitosamente”, ha detto Huraini. “Vogliamo solo lasciarci alle spalle il trauma e vivere in sicurezza. E che crolli il sistema dell’apartheid.” Questo venerdì, mentre lui farà nuovamente rapporto alla stazione di polizia di Kiryat Arba, i suoi giovani compagni attivisti saranno di nuovo per strada ad At-Tuwani, continuando la loro lotta.
Traduzione di Donato Cioli – Assopace Palestina